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GIOVANNI BOCCACCIO
Nacque probabilmente a Firenze nel 1313; durante l'adolescenza e la giovinezza, soggiornò a lungo a Napoli, presso la corte angioina: qui, poiché il padre intendeva avviarlo al mondo degli affari mercantili, studiò dapprima le tecniche commerciali e bancarie, poi il diritto, ma infine, annoiato da queste discipline, cominciò a dedicarsi alla letteratura. Risalgono al periodo napoletano le sue prime opere: il poemetto mitologico Caccia di Diana, il poema narrativo Filostrato, il romanzo Filocolo.
Intorno al 1340 ritornò a Firenze, dove scrisse vari testi in prosa e in poesia, secondo il gusto dell'epoca: la Commedia delle ninfe fiorentine, l'Amorosa visione, l'Elagia di Madonna Fiammetta, il Ninfale fiesolano. Nel 1348, a causa della terribile epidemia di peste, perse il padre, la matrigna e numerosi amici. Segnato da tale dramma, tra la fine del 1348 e il 1350 si dedicò alla stesura del suo capolavoro: il Decamerone. Conseguita grande fama come scrittore e come studioso, svolse per conto del Comune di Firenze numerose ambasciate e missioni diplomatiche: in Romagna, ad Avignone presso papa Innocenzo VI e papa Urbano V, a Napoli e in Lombardia. Nel 1350 dopo aver conosciuto Francesco Petrarca a Firenze, e influenzato dalla sua poetica, iniziò a dedicarsi alla letteratura latina; nacquero così testi eleganti, dotti e raffinati come la Genealogia deorum gentilium (Genealogia degli dei pagani), il Buccolicum carmen (Carme bucolico), il De casibus virorum illustrium (Vicende di uomini illustri). All'inizio degli anni sessanta, con l'aiuto del monaco calabrese Leonzio Pilato, iniziò a studiare anche il greco. Nel 1366 scrisse il Corbaccio, un'aspra e cruda invettiva contro le donne; nel 1373 il Comune di Firenze gli affidò l'incarico di leggere e commentare pubblicamente la Divina Commedia di Dante, ma pochi mesi dopo fu costretto a interrompere le lezioni per motivi di salute. Si ritirò quindi nella casa di Certaldo, dove morì nel 1375.
IL DECAMERONE: LA FORMA E LA STRUTTURA DELL'OPERA
La stesura del Decamerone risale agli anni compresi tra il 1348 e il 1350; tuttavia è probabile che Boccaccio già ne periodo precedente avesse scritto parte delle novelle poi raccolte nell'opera, e anche dopo il 1350 egli tornò a lavorare sul testo, tramite ritocchi e integrazioni. Il titolo è ricalcato sul greco e significa "dieci giornate", alludendo in tal modo alla struttura complessiva della raccolta: il Decamerone, infatti, è costituito da cento novelle che si finge siano raccontate da dieci giovani nell'arco di dieci giorni. La cornice, che introduce e lega fra loro i singoli racconti, presenta le figure di dieci narratori (tre uomini e sette donne), che si sono rifugiati in una villa presso Fiesole per salvarsi dal contagio della peste che infuria a Firenze: qui decidono di ingannare il tempo raccontando a turno una novella per dieci giornate. L'opera è preceduta da un proemio, in cui Boccaccio illustra le motivazioni e gli obiettivi del testo; segue una introduzione generale, dove si espongono le drammatiche circostanze che hanno costretto i giovani a fuggire da Firenze e radunarsi in campagna. Nelle dieci arcate successive vengono presentati i cento pezzi del libro, i quali non si susseguono casualmente, bensì secondo un ordine rigido e omogeneo: per ogni giornata infatti, a turno, ogni giovane sceglie l'argomento al quale dovranno riferirsi i racconti presentati dai compagni.
I TEMI DEL DECAMERONE
Dal punto di vista tematico, l'autore dispone i cento racconti del Decamerone in una rigida struttura, che assegnava a ciascuno dei dieci narratori il compito di stabilire l'argomento delle novelle delle singole giornate. Ognuno dei dieci personaggi, già presenti nella produzione giovanile di Boccaccio, imponeva agli altri, di volta in volta, di trattare il proprio tema preferito. Questo stratagemma consentiva a Boccaccio di ordinare i motivi dell'opera, secondo uno schema preciso.
L'alternanza di temi gioiosi e tristi e la presenza di una variegata schiera di narratori serviva a Boccaccio per raggiungere uno scopo preciso: esaurire nell'arco di cento novelle la rappresentazione di tutta la gamma delle esperienze umane. I racconti del Decamerone approfondivano quindi i valori risvolti, materiali e spirituali, dell'esistenza: i vizi e le virtù più diffusi, l'intelligenza e la stupidità degli uomini, le passioni e le debolezze delle donne. In particolare, agli occhi di Boccaccio, la natura di ogni individuo provava la propria grandezza o miseria attraverso l'amore e l'ingegno. L'amore era analizzato in tutte le sue manifestazioni: folle passione, docile accondiscendenza, brutale sensualità, raffinata ammirazione; è così erano indagate le molteplici forme dell'ingegno: prontezza di spirito, immorale perfidia, astuzia beffarda, freddo raziocinio.
Osservando la ricchezza e la varietà della natura umana, da un lato Boccaccio celebrava i valori tipici della classe borghese e mercantile, a cui egli stesso apparteneva: l'intraprendenza, il coraggio, l'entusiasmo, la schiettezza, la produttività. Dall'altro, però, molti testi del Decamerone erano dedicati a illustrare il mondo aristocratico, cavalleresco e cortese; l'autore ne coglieva, in particolare, gli ideali e i valori che più l'affascinavano: la cultura raffinata, la liberalità, la grandezza d'animo, l'eleganza. Come celebrava i lati migliori della società feudale e comunale, così Boccaccio non mancava di criticarne la degenerazioni, nelle forme dell'avidità, della prevaricazione, della violenza che uomini e donne esercitavano con cinico egoismo. Questo era il bersaglio preferito dell'amara ironia di Boccaccio: di fronte ai comportamenti più criticabili e discutibili egli rideva, osservando come la condotta degli uomini del suo tempo spesso fosse contraria ai valori che ciascuno, a parole, difendeva.
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