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Giacomo Leopardi - "Il passero solitario"




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Giacomo Leopardi  "Il passero solitario"



La fase del pensiero di Leopardi del cosiddetto "pessimismo cosmico" si avviò con l'ideazione della lirica Il passero solitario. La lirica è imperniata sul parallelismo tra la vita del passero solitario e la vita del poeta. Il paesaggio esterno diventa paesaggio interiore dell'anima.



PARAFRASI


Nella prima strofa la commozione di chi avverte l'incanto della primavera e della giovinezza e si avvede di li lasciarla fuggire di perdere l'unica gioia della vita. Si affaccia il motivo dell'essenza della vita che fu certamente tipico del Leopardi ma che si ripete in misura minore per ogni uomo, per l'impossibilità di compenetrarsi pienamente in quella idea della giovinezza che è in ognuno.

Nella seconda strofa è posto il confronto tra il passero solitario e il poeta: come il passero vive solitario, e pensoso contempla il tripudio dei compagni, così il poeta solitario "alla campagna uscendo, rimanda ad altro tempo gioia e diletto".

Il tema della solitudine, uno dei più ricorrenti il Leopardi esercitò una suggestione sul poeta, continuamente vagheggiata e respinta, nei modi stessi dialettici propri di quel canto: unità cioè sempre alla proposizione di un tema opposto, quello dell' amante compagnia, della possibilità tra gli uomini di realizzare un incontro positivo, tema che perverrà alla sua espressione più conseguente nei versi della Ginestra.

Nella terza strofa è posto il contrasto tra il poeta e il passero. La solitudine del passero deriva dal suo istinto, è figlio della natura stessa, il poeta invece rimpiangerà di vivere gettando il tempo migliore.



ANALISI


Tutta la poesia è incentrata su analogie, più o meno palesi, fra il passero solitario e la vita del poeta. L'analogia più evidente è senz'altro l'esclusione dal tempo felice della primavera : come il passero trascorre solitario la stagione più bella, spandendo il suo canto per la campagna, così cantando (scrivendo versi) il poeta passa in solitudine la stagione della sua gioventù. L'armonia errante attraverso la valle è il canto del passero cui si richiama quello del poeta, anch'egli solo e vagabondo per la campagna.

La campagna diventa qui per entrambi il luogo del ritiro, dell'esclusione dalla vita festosa del paese nel clima primaverile. Il movimento del passero e del poeta è quello dell'allontanamento dallo spazio umano, per trovare rifugio in aperta campagna. I due versi iniziali recitano e pongono subito l'allontanamento del passero dal campanile che rintocca, così come più avanti il poeta dice di se : «Io solitario in questa/ remota parte alla campagna uscendo». Il campanile è il simbolo della vita sociale e civile, senza contare che in Leopardi la campana con il suo rintoccare è l'annuncio della festa imminente. In questa poesia la parola vaghezza ha il senso di desiderio necessario, di un «istinto», voluto dalla natura. Alla fine della sua vita il passero non avrà niente da cui trarre rimorso, perché ogni sua «vaghezza», compresa quella di vivere in disparte la primavera, è fuori dalla sua portata di decisione, è un comportamento naturale.

La «voglia» del poeta, invece, è l'incomprensibile decisione di escludersi dal periodo bello della vita. Si tratta però di una scelta consapevole, anche se, in qualche inspiegabile modo, inevitabile. La «voglia», la scelta consapevole del poeta, a differenza della «vaghezza» del passero, si porterà dietro, nella vecchiaia, una scia faticosa di rimorso e di rimpianto. Il tema della vecchiaia è introdotto da un cambiamento dello scenario naturale, il tramonto che sopraggiunge sulla campagna. Si rafforza così la corrispondenza, molto cara al Leopardi, tra il giorno di festa e la stagione felice della vita, che volge al termine, e tra l'anno di vita del passero e la sua stagione migliore, la primavera.

Quello che si vuole sottolineare è la transitorietà del tempo migliore della vita, ed il rimorso inevitabile cui va incontro chi non lo vive, se ne esclude in modo volontario e inspiegabile. Il poeta spiega la sua attuale condizione di infelicità con la consapevolezza di non aver approfittato, e di non potervi più porre rimedio, dell'unico periodo bello della vita, quella gioventù che egli accosta ad una primavera passata. Questo contrasta con l'idea principale del pessimismo cosmico maturato da Leopardi, e cioè che non vi è nessun periodo bello della vita, mai. Il mondo e la Natura sono potenze sovrumane e indifferenti, che dell'uomo non hanno cura alcuna, e che all'uomo non possono che infliggere sempre e solo sofferenza. Al contrario del tema di questa poesia, per il pessimismo cosmico di Leopardi non c'è mai stata nessuna primavera felice da vivere, ecco dove sta l'elemento di contraddizione.

Il movimento temporale del canto inizia dal giorno presente, un giorno festoso di inizio primavera, in cui la vita rinnovata brilla nell'aria ed esulta nei campi. Non partecipa però a questa vita il passero solitario che, come il poeta, ne è escluso. Mentre anche nei paesi le feste salutano l'arrivo della primavera, il poeta se ne sta solo in aperta campagna, come estraneo. C'è dunque un presente di festa e di gioia, a cui il poeta, inspiegabilmente, non partecipa. Giungono a introdurre la prospettiva del futuro i raggi del tramonto, che feriscono lo sguardo del poeta e gli ricordano che il giorno sta per finire. Si allungano allora sul giorno le ombre del futuro, che si prospetta come vecchiaia e rimpianto. Mentre il passero non avrà rammarico della sua indole solitaria, perché data per natura, il poeta invece si troverà, vecchio, con la consapevolezza di non aver vissuto il periodo più bello della vita.





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