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Leopardi
Se Manzoni interpreta del Romanticismo la tendenza realistica, che si manifesta nella invenzione di personaggi diversi dall'autore e nella rappresentazione delle masse, Leopardi rappresenta la tendenza intimistica, tutta volta a scrutare l'interiorità dell'individuo e a celebrarne i diritti. La sua partecipazione allo spirito romantico consiste soprattutto nel bisogno che egli sentì di concentrare il suo pensiero sul problema dei fini e del significato della vita umana.
Leopardi si chiude in una desolata meditazione di fronte alla realtà che, secondo lui, annulla gli ideali,senza riuscire a trovare alcun superamento, sia esso di matrice religiosa o filosofica, al senso doloroso della vita. In Foscolo c'è l'insurrezione della vita contro la morte, in Manzoni il trionfo della giustizia divina sull'ingiustizia umana, in Leopardo invece ogni tentativo di ribellione è vano, perchè l'uomo è destinato a soccombere di fronte al suo destino di infelicità.
Egli non fu filosofo nel vero senso della parola, in quanto non creò alcun sistema filosofico ; lo fu tuttavia nel senso che manifestò una tendenza costante a meditare sui più importanti problemi della vita e realtà.
Carattere fondamentale del pensiero leopardiano fu la inclinazione al pessimismo . L'uomo di natura aspira alla felicità, nella quale dovrebbe identificarsi l'esistenza,ma siccome tale desiderio tende ad un piacere eterno ed infinito, e quindi inattingibile, l'esistenza diventa infelicità. L'uomo infatti, che si illude di essere nato per il piacere, si accorge invece che la vita è un procedere inesorabile verso l'infelicità ed il dolore, dove il piacere 'figlio d'affanno', è considerato la cessazione di qualsiasi dolore o disagio.
La verità è per l'uomo irraggiungibile e l'universo è un mistero impenetrabile, di cui non conosce nè il principio nè il fine. La realtà è pura natura strettamente legata alla materia, la quale è soggetta ad un continuo moto meccanico.
Le anime nobili sono le più infelici e l'uomo lo è più di tutte le altre creature; quando per lui la vita non è dolore, infatti, è noia.
In un primo tempo egli pensa che la Natura, madre benigna creò l'uomo come creatura semplice, ignara e tuffata nelle sue illusioni. Ma l'uomo, sempre insoddisfatto, volle uscire dalla sua condizione originale ed usò la ragione per 'elevarsi' ad un livello più alto e scoprire la dura verità : la vita è dolore. Il destino dell'uomo è quindi nell' opposizione tra la Natura, benigna verso gli uomini a cui vuole celare la verità e la Ragione, che va inesorabilmente verso l'orrido vero ( pessimismo storico ).Quando però Giacomo si chiede chi ha creato l'uomo con quel desiderio insaziabile di felicità e chi soprattutto l'ha fornito di ragione, non può che rispondere : la Natura, che non appare più benigna, ma perfida matrigna che illude l'uomo perchè più cocente sia la sua delusione al momento della scoperta della verità.Tutto è male ciò che Natura crea e l'infelicità, quindi, investe tute le creature ( pessimismo cosmico )
La morte diventa quindi l'unico mezzo liberatore dagli affanni terreni.
Canto notturno di un pastore errante dell' Asia
Metro: sei strofe libere di endecasillabi e settenari variamente alternati; tutte le strofe presentano rime al mezzo (soprattutto la quarta) e si chiudono con la medesima rima in -ale.
Il poeta usa un codice poetico lineare e significativamente semplice: in rapporto inverso con la semplicità riscontriamo la drammaticità della condizione dell'uomo che nulla sa del proprio destino. Solo alcune parole, come /cuna/, /calle/, /albòre/, ecc., sono tipiche del codice poetico. L'uso del linguaggio semplice ci porta più facilmente a cogliere la speranza del poeta di poter alleviare in qualche modo l'angoscia originata dalla propria limitata conoscenza e dalla noia
Nel Canto Notturno Leopardi adombra se stesso e per mezzo del pastore manifesta il suo pensiero, che si può condensare nell'affermazione: tutto in questo mondo è solo vanità e miseria, dopo essere passati per i 'Tre stati della gioventù' :
1. speranza, forse il più affannoso di tutti
2. disperazione furibonda e renitente
3. disperazione rassegnata
È indubbiamente uno dei più bei canti scritti dal Leopardi. In esso troviamo tutta la forza dell' infelicità che da uno stato sentimentale di ansia furibonda passa ad uno stadio di rassegnazione, di coscienza del male che incombe sugli uomini. Non un attimo di piacere, ma un rendersi progressivamente conto che la vita nulla riserva di bene all'individuo, un ripiegarsi continuo e sempre più profondo su se stesso, su una realtà che ormai ben poco concede al mondo e alla natura.
I temi principali sono :
1) allegoria della vita umana
2) conoscenza e non conoscenza
3) la noia
4) la natura
Il concetto della poesia - scrisse il De Santis - è il motto di Saffo : 'Arcano è tutto, Fuor chè il nostro dolor'.
Infatti il pastore rappresenta l' uomo d'ogni tempo di fronte al mistero dell'esistenza sua e dell'universo; l' idillio quindi è una meditazione sopra i principi della vita universale infatti il pessimismo che prima investiva la situazione personale del poeta e poi quella dell'umanità, qui comprende tutto l'universo. E' dunque il canto del dolore universale, della disperata angoscia dell'uomo sperduto nel cosmo ed incapace di spiegarsi la ragione dell'esistenza delle cose e del proprio dolore. Tema dell' idillio è quindi anche 'l'eterno ed il caduco', il destino ed il fine degli esseri, il rapporto fra noi e l'universo.
Il canto è divisibile in quattro momenti
Descrizione del contenuto dei versi
Questi 38 possono essere divisi in due distinte parti: la prima che ha come centro la luna e la seconda che ha come centro l'uomo: abbiamo quindi nella prima parte la tematica della vita cosmica e nella seconda la tematica della vita umana. Le domande che il poeta si pone sono di tipo retorico, cioè non hanno in sé l' esigenza della risposta. L'esigenza è nell'uomo, e il bisogno nasce da una dissacrazione religiosa e dal contatto diretto con la realtà. E' una tematica dominata dal contrasto fra natura e ragione, un contrasto che è la prima fonte dell'infelicità umana. La tematica della vita umana sfocia in quella della vita cosmica perché l'uomo nella natura non trova più alcuna dolcezza, alcun sollievo, perché anche la natura è dominata da quella condizione di amarezza e di infelicità che domina l'uomo: è il pessimismo cosmico nel quale tutto è avvolto senza soluzione.
39-60 Anche questa seconda parte è divisibile in due sezioni, entrambe basate sulla tematica della vita umana. La prima (vv. 39-51) contiene la descrizione dell'esistenza soprattutto nei primi momenti che seguono la nascita: la prima manifestazione di vita è il pianto e il primo atto d'amore nei suoi confronti è rappresentato dalla consolazione che i genitori rivolgono al neonato.
La seconda (vv. 52-60) contiene una serie di domande retoriche dal tono profondamente drammatico, in cui il poeta si chiede come mai l'uomo continua a procreare sapendo che per tutti la vita è sventura. La chiusura contiene il paragone fra la vita mortale dell'uomo e la vita immortale della luna. Nel complesso cogliamo quasi l'impotenza dell'uomo che si evidenzia proprio nell'atto suo forse più delicato: quello di consolare il bambino dell'esser nato: un atto che ci appare subito inutile e vano (il verbo /consolare/ è ripetuto per ben tre volte nei vv. 44, 49 e 54 quasi a sottolineare il profondo senso di impotenza dell'uomo, ma anche di mancanza di razionalità).
La terza parte è tutta incentrata sulla tematica della vita cosmica, e mette in evidenza il pessimismo 'cosmico' appena velato dal fatto che comunque il cosmo, e in particolare la luna, conoscono la serie di risposte alle domande retoriche precedentemente formate. E non solo il cosmo conosce l'origine della vita dell'uomo, perché l'uomo nasce e muore, cos'è 'lo scolorar del sembiante', perché l'avvicendarsi delle stagioni, ma anche perché l'aria, l'infinito sereno, le stelle, nella profonda suggestione di un mondo surreale nel quale illusoriamente tutto può essere risolvibile. E il dolore del poeta aumenta, sapendo che lui del 'tutto' nulla sa, mentre è cosciente della fragilità della sua esistenza e che la vita per lui altro non è che il dolore, anche se qualcuno potrà vivere in qualche modo dei momenti più o meno felici. Ancora una volta ritorna la figura della luna, intatta, giovinetta immortale che partecipa del moto stesso dell'universo, parte integrante di quella surrealtà alla quale sempre l'uomo nella sua fragilità tende.
105-143 La quarta parte è tutta incentrata sulla tematica della vita umana, in un rapporto non più possibile sul piano della conoscenza (delle leggi perfette che regolano il cosmo), ma sul piano dell'esistenza con la 'greggia', la quale posa senza pensiero, sull'erba o sotto l'albero in una condizione di quasi beatitudine, mentre il poeta soffre per la sua condizione di tedio e di noia. I versi 133-138 offrono uno spiraglio per il superamento della dolorosa situazione in cui il poeta si trova e che ha descritto precedentemente; ma questo spiraglio viene distrutto dai versi seguenti e specialmente dagli ultimi: 'forse in qual forma, in quale / stato che sia, dentro covile o cuna, / è funesto a chi nasce il dì natale'. Se precedentemente il poeta punta la sua attenzione sul fatto che qualcun altro un poco di gioia o 'contento' può assoporare nella vita, con l'ultimo tremendo verso toglie ogni possibilità all'uomo di credere che comunque la vita possa offrire un poco di felicità. Cadono le illusioni, e al poeta e all'uomo non resta che l'attesa della morte.
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