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G. PASCOLI
Pascoli, Giovanni (San Mauro di Romagna, Forlì 1855 - Bologna 1912), poeta italiano. Un tragico evento toccò la sua infanzia: nel 1867 il padre fu assassinato in circostanze mai chiarite. L'episodio segnò indelebilmente la sensibilità del piccolo Giovanni, che perdette in breve tempo altri familiari: la madre, la sorella maggiore, i fratelli Luigi e Giacomo. Avvicinatosi agli ideali socialisti, Pascoli aderì all'Internazionale e frequentò Andrea Costa. Nel 1879 fu arrestato per aver partecipato a una manifestazione di protesta, ma dopo tre mesi di prigione, e dopo che anche Giosue Carducci si era schierato a suo favore, fu assolto. Iscrittosi all'Università di Bologna grazie a una borsa di studio vinta al liceo, si laureò in letteratura greca nel 1882. Iniziò allora un'apprezzatissima attività di poeta in latino e vinse vari concorsi internazionali. Dopo aver insegnato latino e greco presso i licei di varie località (Matera, Massa, Livorno), acquistò la casa di Castelvecchio di Barga, in Garfagnana, dove trascorse gran parte della sua esistenza. Sua compagna nella vita domestica fu la sorella Maria, detta Mariù.
MYRICAE
L'opera di Pascoli si incentra su tre linee espressive: quella della poesia
in italiano, quella della poesia in latino (nel complesso scrisse circa una
ventina di poemetti) e quella dell'attività di critico e commentatore di Dante,
confluita in vari volumi fra i quali Minerva oscura (1898) e Sotto il velame
(1900). Nel 1905 succedette a Carducci alla cattedra di letteratura italiana
all'Università di Bologna. In conformità alla sua idea di letteratura
universale, Pascoli lavorò a testi latini, greci, neogreci e sanscriti, e
nell'ambito della sua attività editoriale diresse una collana intitolata
'Biblioteca dei popoli'.
Nel 1891 fu pubblicata la raccolta Myricae, il cui titolo è una citazione dalla
quarta egloga delle Bucoliche di Virgilio, testo classico che canta la pace
della vita agreste. Con ciò Pascoli volle alludere a una lirica delle cose
semplici, fatta di oggetti comuni presi soprattutto dalla campagna ('sono
frulli d'uccelli, stormire di cipressi, lontano cantare di campane') e
cantati con un lessico e un metro molto originali per la tradizione poetica
italiana. Questo risultato fu ottenuto con grande perizia tecnica: Pascoli si
rifece alla lezione dei classici (oltre appunto a Virgilio, anche Catullo e
Orazio), ma guardò anche all'esperienza simbolista non solo francese. La sua
poesia non è infatti descrittiva ma allusiva, e parte dalla convinzione che si possa
cogliere l'ineffabile solo con mezzi formali rigorosi e grazie a una nuova
lingua poetica, che attinge al latino, alla lingua parlata, al lessico tecnico.
L'effetto complessivo dà voce a una sensibilità che intende cogliere
soprattutto gli echi di morte e di lutto che la realtà racchiude in sé, in modo
non sempre manifesto.
LO SPERIMENTALISMO LINGUISTICO
I Primi poemetti
(1904) e i Nuovi poemetti (1909) segnarono una diversa tendenza, basata sulla
volontà di 'raccontare'. Oltre ai temi già sperimentati (il mondo
della campagna, la contemplazione della natura, l'aspirazione a una vita
semplice), risalta lo spazio dato alla rappresentazione delle vicende degli
emigranti verso l'America: il lessico si fa particolarmente sperimentale, una
commistione di italiano e inglese assolutamente estranea alla tradizione lirica
italiana. Di alto livello sono anche i Canti di Castelvecchio (sette edizioni,
l'ultima nel 1914), nei quali la ricerca pascoliana proseguì su una linea ormai
ben definita. Nei Poemi conviviali (1904) l'attenzione si spostò sul mondo
classico e sui suoi miti, anche in forma di riflessione, e con una precisa
ricaduta sulle tecniche della versificazione, che ricalcano modelli antichi.
Con Odi e inni (1906), l'ultima produzione pascoliana si avvicinò alle
tematiche nazionalistiche, chiaramente sostenute in La grande Proletaria si è
mossa (1911), discorso favorevole all'impresa coloniale in Libia.
LA POETICA DEL FANCIULLINO
Le idee fondamentali
di Pascoli sulla poesia si leggono in un testo molto importante intitolato Il
fanciullino (apparso nel 1897 sulla rivista 'Il Marzocco'). La poesia
è una disposizione infantile a stupirsi, ed è dunque una qualità irrazionale
dell'uomo; grazie a questa sensibilità è possibile cogliere analogie sottili e
nascoste fra gli oggetti e le forme di vita più semplici: il poeta deve perciò
calarsi in una situazione 'infantile' per poter cantare, stupito, il
mistero delle piccole cose. Grazie a questa poetica Pascoli allargò i confini
della realtà degna di diventare soggetto di poesia e conferì nuova libertà al
verso, trasformandolo in un luogo ricco di suggestioni sonore.
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