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Si chiamano figure retoriche i diversi aspetti che il pensiero assume nel discorso per trovare efficace e viva espressione.
Considerate nel mondo classico come modi di espressione lontani da quelli della comunicazione ordinaria e quotidiana e per questa ragione ascritti solamente al campo della poesia in virtù del loro peculiare "ornato", oggi le figure retoriche vengono intese in un'accezione più vasta come espressioni particolarmente pregnanti e tali da imporre un'interpretazione che tenga conto del di più di significato di cui sono specificamente portatrici.
Da questo punto di vista, dunque la funzione delle figure diventa essenziale all'interno di un discorso, non tanto per abbellirlo, quanto piuttosto per comunicare ad esso una particolare carica emotiva che incrementi il senso del messaggio.
A evidenziare il particolare valore, da esse, di volta in volta, veicolato, la Retorica, che è la scienza che studia le proprietà del discorso, le ha distinte, tradizionalmente, in figure di parola (a loro volta divise in tropi, figure grammaticali, e figure di costruzione) e figure di pensiero (tra le quali, la similitudine, l'allegoria, l'apostrofe, l'interrogazione e la perifrasi).
adynaton: avvalorare l'impossibilita' che si realizzi un evento
ipotizzando per assurdo la realizzazione di un altro fatto che non potrà mai
verificarsi. Es. 'è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che
un ricco entri nel regno dei cieli.
Un altro esempio di una simile tecnica espressiva è offerto da una lirica di
Leopardi:
Prima
divelte, in mar precipitando
spente nell'imo strideran le stelle,
che la memoria e il vostro
amor trascorra o scemi.
(dal greco allegoréin, "parlare diversamente"): figura retorica consistente nella costruzione di un discorso in cui i significati letterali dei singoli termini passano in secondo ordine rispetto al significato simbolico dell'insieme, che generalmente rinvia a un ordine di valori metafisici, filosofici e morali. La peculiarità di un simile procedimento consiste, quindi, essenzialmente nella capacità di trasformare nozioni astratte e significati morali in immagini spesso intensamente pittoriche, che vanno ben oltre il significato di base dei termini che le costituiscono e si sviluppano in una trama pregnante e allusiva. In questo senso, secondo alcuni, l'allegoria sarebbe una sorta di metafora continuata, estesa ad abbracciare un'intera composizione, come è il caso di apologhi, parabole e favole, nonché di opere quali la Divina Commedia di Dante e il Faust di Goethe. Oggi, a questa interpretazione, che affida all'allegoria il compito di trasmettere valori sovrasensibili e nascosti, ma comunque universalmente riconoscibili all'interno di un determinato codice, si sostituisce un'interpretazione più soggettiva, in cui personaggi, esperienze e situazioni particolari, rappresentati come reali e concreti, diventano allusivi di una realtà diversa e più generale senza caricarsi necessariamente di spiegazioni dimostrative e didattiche.
consiste nell'affermare una cosa con l'intenzione di farne intendere un'altra, che con la prima ha un rapporto di somiglianza. Un simile procedimento può trarre origine da un evento storico (per esempio, l'espressione una vittoria di Pirro per indicare una vittoria inutile e pagata a caro prezzo, come quelle ottenute dal re dell'Epiro, Pirro, contro i Romani) oppure può derivare da eventi e personaggi del mito e della letteratura, come nelle espressioni un labirinto, per alludere a una situazione indecifrabile o a luogo intricato oppure Don Abbondio, per indicare una persona vile e paurosa
anacoluto: (dal greco anakólothos, 'che non
segue') indica una frase il cui andamento risulta irregolare, a causa di
un cambiamento di soggetto nel corpo dell'enunciato. Un simile uso, tipico per
lo più dei poeti, è invalso anche presso gli scrittori in prosa, che lo
adottano nell'intento di riprodurre i modi della lingua parlata e per
caratterizzare determinati personaggi.
Classificato nelle grammatiche scolastiche come un errore in assoluto,
l'anacoluto rappresenta in realtà una struttura di larghissima diffusione nella
nostra e in altre lingue, compreso il latino (dove prendeva il nome di
nominativus pendens; un es. dal Vangelo di Matteo: «Qui habet, dabitur illi»).
Il non collegamento sintattico tra due strutture ha la sua ragion d'essere
nello svolgersi di un discorso che non è pianificato e definito sintatticamente
ma è già costruito dal punto di vista semantico. Queste condizioni sono tipiche
della comunicazione parlata e rispondono alla necessità di procedere più
speditamente nella manifestazione e concatenazione delle idee. Oltre che nel
parlato, l'anacoluto è accettabile nelle forme di scrittura che lo seguono
molto da vicino o lo imitano espressamente, mentre è chiaramente incompatibile
con le esigenze dei testi che devono avere univocità ed esplicitezza di
significato. Gli esempi abbondano nei classici di tutte le epoche: a cominciare
da qualche caso in Dante (almeno nel Fiore, a lui attribuito: «E que' che
guarderà tuttor la strada / certana sie che gli parrà morire»), passando per
Machiavelli (nel famosissimo brano della lettera a F. Vettori: «mi pasco di
quel cibo, che solum è mio, e ch'io nacqui per lui») e giungendo a Manzoni (che
costellò di anacoluti i dialoghi e le parafrasi di dialoghi della redazione
finale del romanzo; tre esempi: «noi altre monache, ci piace sentir le storie
per minuto»; «cose che le più gran dame, nelle loro sale, non c'eran potute
arrivare», «Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro») e a Saba («La
bocca / che prima mise / alle mie labbra il rosa dell'aurora / ancora / in bei
pensieri ne sento il profumo»). All'anacoluto possono essere assimilati anche
il tipo, molto frequente: mangiare, il bambino mangia; e, spec. nei titoli
giornalistici, il tipo "Lira e borsa, un altro tonfo"
(dal greco anadìplosis "raddoppio"): figura retorica consistente nella ripresa, all'inizio di un verso, di una parola o di un gruppo di parole poste in conclusione del verso precedente, con un significativo effetto di insistenza e di risalto, come è possibile verificare nel seguente verso di U. Saba, Questa voce sentiva / gemere in una capra solitaria // In una capra dal viso semita (vedi La capra, vv 9-11).
Anafora : ripetizione della stessa parola all'inizio di versi o di frasi consecutive per conferire risalto al vocabolo ripetuto. Es. Dante 'Per me si va nella città dolente, per me si va nell'eterno dolore.'
Anastrofe: rivolgimento. Consiste nell'invertire l'ordine normale di due parole per mettere in risalto uno dei due termini. Es. in greco polemou peri anziché perri' polemou o anche 'di me più degno' invece di 'più degno di me'.
(dal greco amphibolìa e lògos, "discorso collocato intorno"):consiste in un enunciato che può essere interpretato in due modi diversi, o per l'ambiguità di una parola, o per una particolare costruzione sintattica. Nella frase ad, esempio è scattato il cane, l'anfibologia è a livello di costrutto sintattico, può rinvenirsi nel primo verso di un celebre sonetto del Petrarca, Vincitore alexandro l'ira vinse, in cui a stento si riesce a identificare, a una prima lettura, il soggeto nella frase in l'ira.
vedi Climax
Figura retorica, detta dai grammatici latini anche conversio, consistente nel far terminare più membri di un periodo con la medesima parola; per es. Frumenti maximus numerus e Gallia peditatus amplissimae copiae e Gallia, equites numero plurimi e Gallia.
(dal greco antìthesis, "contrapposizione"):accostamento che non di rado è reso più incisivo e netto dalla struttura simmetrica della frase come nella celebre terzina dantesca Non fronda verde , ma di color fosco; / non rami schietti ,ma nodosi e'nvolti; /non pomi v'eran ma stecchi con tosco.
Antonomasia: figura retorica che consiste nel sostituire al nome proprio di una persona o cosa una perifrasi o un termine che indichi la qualità che caratterizza per eccellenza quella persona; Garibaldi per es.. eroe dei due mondi.
Nome classico, detta comunemente reticenza
Apostrofe: rivolgersi direttamente ad una persona o cosa personificata, presente o assente, interrompendo lo sviluppo del discorso. Es. Dante, purg.: Ahi serva Italia etc.
Asindeto: coordinazione tra vari elementi di una frase senza congiunzioni.
Baritonesi: fenomeno per cui l'accento tende a spostarsi quanto più possibile verso l'inizio della parola.
Figura retorica che consiste nel ripetere la parola o le parole finali del verso precedente nei versi succcessivi; si contrappone all'anafora
figura retorica che consiste nella disposizione incrociata degli elementi costitutivi di una frase, in modo che l'ordine logico delle parole risulta invertito. Così nel verso di G. Carducci Pianto antico vv 15-16: nè il sol più ti rallegra / nè ti risveglia amor si ha un chiasmo tra la parte nominale delle due proposizioni parallele (il sol e amor) e la parte verbale (ti rallegra e ti risveglia).
Figura consistente nel terminare il periodo con la stessa parola con cui è cominciato:
(dal greco climax, "scala"): procedimento retorico che consiste nella disposizione di frasi, sostantivi e aggettivi in una progressione "a scala", secondo cioè una gradazione ascendente, a suggerire un effetto progressivamente più intenso: es buono, migliore ottimo (dal grado normale dell' aggettivo si passa al grado comparativo e infine a quello superlativo); due, tre quattro (che costituisce la più semplice gradazione, in quanto attuata sul piano numerico). Un simile procedimento risulta particolarmente efficace soprattutto in poesia, dove l'intensificazione del concetto attraverso la progressione naturale dal vocabolo più debole al più forte è incrementata in modo significativo dai valori fonici e ritmici delle parole, come è dato verificare nella celebre chiusa dell' Infinito leopardiano, Così tra questa immensità / s' annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare.,in cui si attua una gradazione in senso discendente (Anticlimax) attraverso immensità-s'annega-naufragar,che anche ritmicamente riproducono un progressivo abbandono della mente.
Costruzione ad sensum: consiste nel concordare un verbo nella forma del plurale con un termine che, pur essendo di forma singolare esprime una valenza di pluralità. Costruzione contestata da alcuni puristi.
(dal greco deiknumi, "mostro, indico"): procedimento mediante il quale si richiama l'attenzione del lettore o dell' ascoltatore su un oggetto particolare, cui si fa riferimento mediante elementi linguistici, detti deittici, che concorrono a identificare in modo preciso l' oggetto in questione. Ad esempio nella frase questo è un libro, il pronome questo è usato in senso deittico
(dal greco diaphoros "diverso"): consiste nel ripetere una parola usata in precedenza con un nuovo significato o una sfumatura di significato diversa. Così, ad esempio, nella frase il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (B.Pascal), la parola ragione è usata dapprima nel significato di "motivo" e successivamente in quello "di facoltà di pensare e giudicare".
dialisi [dià-li-si] sostantivo f. inv. Figura retorica consistente nell'interrompere la continuità del periodo con un inciso . gr. diálysis "scioglimento", deriv. di dialyein "separare" . sec. XVII
Nella retorica classica, figura per cui una serie di argomenti portano alla stessa conclusione. . dal lat. diallagen, gr. diallage deriv. di diallássein "cambiare"
Figura retorica che consiste nel ripetere una o più parole in modo da ottenere maggiore efficacia espressiva . gr. dilogía, comp. di dís "doppio" e lógos "parola, discorso"; diloghia riproduce la pronuncia gutturale di -g- propria del gr.
opposta all'eufemismo, per cui si sostituisce (come uso abituale o come coniazione scherzosa momentanea) una parola normale, spesso gradevole o addirittura affettuosa, con altra per se stessa sgradevole od offensiva, senza dare tuttavia all'espressione un tono ostile: p. es. vigliacco per 'innamorato'; ragazze tutte in coppietta col lor vigliacco (Pavese); birbante per 'vivace'; questi birbanti di ragazzi.
(dal greco dittologia, "ripetizione di parola"): consiste nell' utilizzare una coppia di vocaboli dal significato affine o dalla forma morfologica equivalente, collegati tra loro dalla congiunzione e, per conseguire un particolare effetto ritmico oltre che semantico.
(dal greco elleipsis, "mancanza"): consiste nell' eliminazione all' interno di un particolare enunciato, di alcuni elementi, per conseguire un particolare effetto di concisione e icasticità.
Enallage:(greco: scambio, inversione) Consiste nell'adoperare una parte del discorso al posto di un'altra per conferirle maggiore efficacia; si effettua lo scambio di tempi e modi de verbo, dell'aggettivo al posto dell'avverbio, del sostantivo al posto del verbo. Es. Respira profondo.
(dal greco hen dia dyoin "una cosa per mezzo di due"): consiste nell'adoperare, per esprimere un concetto, due termini complementari, coordinati fra loro (due sostantivi o due aggettivi),in sostituzione di un unico sostantivo accompagnato da un aggettivo o da un complemento.Così vedo splendere la luce e il sole sta per "vedo splendere la luce del sole"
(dal greco emphainein "dimostrare") consiste nel mettere in rilievo una parola o un'espressione,grazie ad una particolare sottolineatura, che può trdursi a livello fonologico in forma esclamativa, affettata o sentenziosa e a livello sintattico, invece, in una particolare costruzione , come ad esempio nella frase Lui, lui si è un amico !
Figura retorica consistente nell'iniziare e terminare un verso o una frase con la stessa parola.
(dal greco epanalepsis "riprendere"): ripetizione dopo un certo intervallo, di una o più parole per sottolineare un particolare concetto, come nel verso dantesco Ma passavam la selva tuttavia, / la selva dico di spiriti spessi.
Figura retorica consistente nel riprendere con aggiunta di particolari una o più parole enunciate precedentemente . gr. epánodos "regressione", comp. di epí "verso", aná "indietro" e hodós "strada"
(dal greco epanorthosis "correzione"): consiste sul ritornare su una determinata affermazione, vuoi per attenuarla, vuoi per correggerla, come ad esempio nella frase è un brav' uomo che dico un santo!
Figura retorica consistente nella ripetizione delle stesse parole alla fine di più frasi o versi
termine della retorica classica per indicare la ripetizione della medesima parola alla fine di più versi o di più membri di un periodo (cfr. Dante, Paradiso XII, 71-75; XIV, 104-108; XIX, 104-108; XXXII, 83-87).
(dal greco euphemismo "parola di buon augurio"): figura retorica adoperata per attenuare una espressione ritenuta troppo cruda, irriguardosa, come ad esempio, convenzione di usare il verbo andarsene al posto di "morire". Talvolta rientra nell' ambito di questa figura l'uso di un termine dal significato addirittura opposto a quello che si vuole intendere, come nella frase Antonio davvero un gentiluomo, per significare che il personaggio in questione è un gran mascalzone.
consiste nell' usare a scopi a espressivi, nell' ambito della stessa frase, due parole aventi in comune l' etimologia, come ad esempio nel dantesco selva selvaggia.
(dal greco hysteron proteron "l'ultimo come primo"): consiste nell'inversione dell' ordine temporale degli avvenimenti, per cui viene posto prima ciò che logicamente andrebbe posto dopo, per conseguire un particolare effetto espressivo.
Proposizione espressa in forma interrogativa, che non chiede però risposta in quanto la contiene già in sè, affermativa o negativa; serve ad aggiungere efficacia all'argomentazione e a indurre il lettore o l'interlocutore ad accogliere la nostra opinione.
fenomeno linguistico consistente nello spostamento degli elementi costitutivi di una frase in una disposizione che capovolge la normale struttura sintattica, per conferire all'elemento anteposto un particolare risalto espressivo. Così ad esmpio nel celebre verso leopardiano Dolce e chiara è la notte e senza vento, si ha una evidente inversione nell'ordine normale dei singoli termini della frase.
consiste nel rivolgersi improvvisamente e vivacemente a persona o cosa presente o assente, con un tono di aspro rimprovero o di accusa, come nei versi danteschi Ahi Pisa, vituperio delle genti / del bel paese là dove 'l si suona
(dal greco hypallassein, "scambiare"):figura retorica che consiste nell' attribuire a un termine di una frase qualcosa (qualificazione, determinazione o specificazione) che logicamrùente spetterebbe a un termine vicino.Così nei versi di G.Pascoli (Arano, vv 5-6): un ribatte / le porche con la sua marra paziente,l' aggettivo paziente è riferito all' arnese marra ma logicamente va riferito a un cioè al contadino che usa la marra e che è paziente. Cfr anche Enallage figura retorica con cui l'ipallage spesso coincide.
Iperbato: rottura dell'ordine naturale della frase o del periodo per ottenere particolari effetti di espressività.
Iperbole: consiste nell'esprimere in termini esagerati un concetto per difetto o per eccesso.
(dal greco hypostasys, "materia condensata"): nell' ambito della linguistica indica il passaggio di una parola da una categoria grammaticale a un'altra. Come figura retorica indica la concretizzazione e personificazione di un concetto astratto.
Figura retorica che consiste nel descrivere qlco. con particolare evidenza e vivacità . gr. hypotyposis "abbozzo", deriv. di hypotypoûn "delineare" . nella forma ippotiposi sec. XVII
Consiste nell' affermare una cosa che è esattamente il contrario di ciò che si vuole intendere. Si tratta di un tipo di comunicazione che richiedenel lettore e nell' ascoltatore la capacità di cogliere l'ambiguità sostanziale dell' enunciato.
(dal greco isókôlon, composto di isos 'uguale' e kôlon 'membro') Figura della retorica classica, che consiste nella perfetta corrispondenza fra due o più membri di un periodo, per numero e disposizione di parole
composto di hysteron "posteriore" e lógos "discorso". Figura retorica che consiste nell'invertire l'ordine logico delle frasi, anticipando ciò che si dovrebbe dire dopo.
Ripetizione di parole o di frasi, spesso con valore espressivo così da costituire una figura retorica.
Litote: attenuazione di un concetto mediante la negazione del contrario.
Metafora: (trasposizione) sostituzione di un termine con una frase figurata legata a quel termine da un rapporto di somiglianza. Es. 'Stanno distruggendo i polmoni del mondo (per boschi)
Nella retorica moderna, figura riguardante il livello del contenuto e dei valori di verità (p.e. l'iperbole "bello da morire" è un metalogismo)
Metonimia o metonomia: consiste nell'usare il nome della causa per quello dell'effetto Es. bevo un bicchiere.
Omoteleuto: utilizzo di termini vicini o successivi che terminano con lo stesso fonema finale.
Ossimoro: forma di antitesi di singole parole che vengono
accostate con effetti paradossali (es. paradiso infernale, ghiaccio bollente)
. gr. oksymoron, neutro sost. di oksymoros comp. di oksys "acuto" e morós
"sciocco" come modello di unione di concetti discordanti.
(dal greco para "contro" e doxa "opionione"): figura retoricaconsistente in un' affermazione che appare contraria al buon senso, ma che in realtà si dimostra valida a un' attenta analisi. Nell' ambito della letteratura, si chiama in questo modo un' opera che presenti situazioni assurde e incredibili, in contrasto con il buon senso e con le convenzioni culturali di una determinata epoca.
vedi preterizione
vedi preterizione
vedi preterizione
( dal greco para "vicino" e onoma "nome"): accostamento di due o più parole di suono simile, ma di diverso significato. Es. Traduttore traditore.
Paronomasia: accostamento di parole che hanno suono simile ma significato diverso usate con l'intento di ottenere particolari effetti fonici. Es. Amore amaro; Traduttore traditore.
(dal greco periphrasis, "locuzione intorno"): detta anche comunemente "giro di parole",consiste nell' usare, invece del termine proprio, una sequenza di parole per indicare una persona o una cosa. Un simile procedimento può rispondere a diverse esigenze e finalità: può, infatti, essere usato per evitare una inutile ripetizione oppure per sostituire un termine eccessivamente crudo (vedi Eufemismo) o anche soltanto per conferire un particolare colore poetico alla frase, come, ad esempio, nel verso leopardiano 'incontro là dove si perde il giorno', per dire 'verso occidente, verso il tramonto'.
vedi Prosopopea.
(dal greco pleonàzein, 'sovrabbondare'): espressione sostanzialmente non necessaria, in un dato contesto: espressione, cioè, che non aggiunge niente dal punto di vista qualitativo alla frase in cui è inserita. Il suo uso all'interno del discorso letterario risponde a particolari esigenze espressive, che di solito vengono evidenziate dal contesto. Ridondanza che consiste nell'utilizzo di un termine superfluo. Es. A me mi piace.
Polisindeto: contrario dell'asindeto e consiste in una sequenza molto marcata di congiunzioni fra due o più parole o enunciati.
Figura retorica che consiste nel ripetere, in un giro di frasi relativamente breve, una parola, cambiandone le funzioni morfo-sintattiche [p.e. «e li 'nfiammati infiammar sì Augusto» (Dante)]
Figura retorica consistente nel controbattere preventivamente alle possibili obiezioni dell'interlocutore
(dal latino praeterire, "passare oltre"): figura retorica che consiste nel fingere di voler tacere ciò che in realtà si dice. Ad esempio: Non ti dico il calore, l'affetto, la cordialità con cui siamo stati accolti.
(dal greco prolambanein, "prendere prima"): anticipazione di un termine che sintatticamente andrebbe posto dopo, per sottolineare
(dal greco prósopon, 'volto' e poiéin, 'fare') figura retorica, di gusto classico, consistente nell'introdurre a parlare un personaggio assente o defunto, o anche cose astratte e inanimate, come se fossero persone reali. Molti e celebri sono gli esempi, che evidenziano come la poesia abbia sempre fatto un largo uso di una simile tecnica espressiva, dalla personificazione della Fama nell'Eneide virgiliana, a quella della Frode nell'Orlando Furioso di L. Ariosto, fino ai cipressi introdotti a parlare in una celebre lirica (Davanti San Guido) di Carducci.
figura retorica consistente nel ripetere uno stesso concetto con altre parole.
(dal latino reticere, 'tacere'): consiste nell'interrompere e lasciare in sospeso una frase facendone intuire al lettore o all'ascoltatore la conclusione, conclusione che comunque viene taciuta deliberatamente per creare nell'ascoltatore o nel lettore una particolare e viva impressione (cfr. G. Verga, La morte di Mastro Don Gesualdo).
Figura retorica della grammatica classica, secondo la quale ciò che si riferisce soltanto a una cosa o persona viene arbitrariamente esteso ad altra cosa o persona che, nell'enunciato, segue alla prima: ad esempio: 'Borea e Zefiro che soffiano nella Tracia' (ma soltanto Borea soffia nella Tracia)
(dal latino similitudo, 'somiglianza'): figura retorica consistente in un paragone istituito tra immagini, cose, persone e situazioni, attraverso la mediazione di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (come, simile a, a somiglianza di).
[sìn-chi-si] sostantivo f. inv. Figura retorica consistente
in una modificazione dell'ordine sintattico normale di una frase
. dal lat. tardo synchysim, gr. synkhysis deriv. di synkhêin "mescolare" . sec.
XVIII
(dal greco synekdékhomai, 'prendo insieme'): figura semantica consistente nell'utilizzazione in senso figurato di una parola di significato più o meno ampio della parola propria. Fondata essenzialmente su un rapporto di estensione del significato della parola, questa figura esprime:
Vedi anche Metonimia.
(dal greco syn, 'insieme' e aisthánestai, 'percepire'): procedimento retorico che consiste nell'associare, all'interno di un'unica immagine, sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che in un rapporto di reciproche interferenze danno origine a un'immagine vividamente inedita: ad esempio:
Un simile procedimento, non estraneo alla poesia antica, diviene particolarmente frequente a partire dai poeti simbolisti e costituisce poi uno stilema tipico dell'area ermetica della poesia italiana del Novecento. Tra gli innumerevoli esempi che si potrebbero addurre, basti il celebre 'urlo nero della madre' di S. Quasimodo, in cui due sensazioni diverse, che interessano, la prima (urlo), il campo sensoriale dell'udito, la seconda (nero), quello della vista, si fondono in un'immagine che suggerisce l'idea di angoscia, di disperazione e di paura, in una temperie cupamente drammatica.
figura retorica consistente nel lasciare volutamente interrotto un discorso.
Zeugma: (legame) collegamento di un verbo a due o più termini della frase che invece richiederebbero ognuno singolarmente un verbo specifico. Es. 'parlare e lagrimar vedraimi insieme', dove parlare avrebbe dovuto avere 'mi sentirai' e non 'mi vedrai'.
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