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DINO BUZZATI: DAVANTI ALLA PIANURA SOLITARIA E VUOTA
L'avventura immaginata
Il brano (e buona parte del romanzo) è costruito sull'alternanza fra sequenze di descrizioni realistiche dei luoghi e delle situazioni tipiche della vita militare (il cambio della guardia, il falso allarme ecc.) e le pause costituite da sequenze riflessive dedicate ai pensieri del protagonista. Sono proprio le sue fantasticherie nell'ora del tramonto (rr. 37-63), davanti alla pianura deserta, a costituire in un certo senso il motore dell'intera vicenda: «Era l'ora delle speranze. E lui ritornava a meditare le eroiche fantasie tante volte costruite nei lunghi turni di guardia e ogni giorno perfezionate con nuovi particolari» (rr. 41-43). Drogo ha già capito quanto ripetitivo e noioso sia il suo incarico e da buon soldato sogna una disperata battaglia (r. 43) in cui dimostrare tutto il suo valore. Il dialogo con Tronk (rr. 75-137)rappresenta il brusco ritorno a una realtà meschina, dove anche l'eventuale avvistamento notturno (la piccola macchia nera)viene considerato dal protagonista un pasticcio (rr. 84-86), una 'rogna» d'ufficio da allontanare a colpi di regolamento (rr. 129-segg.),grazie all'aiuto del diligente e ottuso sergente maggiore.
Il fascino del paesaggio
La riuscita del libro è dovuta in gran parte all'abilità di Buzzati di creare un ipotetico paesaggio e utilizzarlo come simbolo, di comunicare il fascino inquietante di una pianura settentrionale e di farne un'immagine della condizione umana: Adesso la poteva invece scorgere tutta, fino ai limiti estremi dell'orizzonte dove ristagnava la solita barriera di nebbia» (rr. 26-27). La nebbia che ne vela l'orizzonte è l'ignoto che circonda l'esistenza degli uomini: mistero sul significato della vita, ma anche inevitabile ignoranza del futuro che produce nello stesso tempo speranza e angoscia.
La sorda inquietudine (r. 36) del personaggio tocca il culmine nella scena della veglia notturna (rr. 138-segg.),quando dalla valle buia risale il soffio della paura (r. 147). Si tratta della paura della morte che si materializza nelle ombre inafferrabili del deserto oscuro, ombre minacciose per l'uomo piccolo e solo che le scruta dal parapetto del ridotto. I linguaggio del romanzo ha spesso (soprattutto quando descrive i pensieri del protagonista) una sua carica poetica che, in questo caso, rende le immagini del paesaggio simili a un sogno. Certo, non si tratta di un incubo spaventoso, ma comunque di un mondo lontano dalla rassicurante vita diurna, e popolato di presenze sottilmente
inquietanti: «Lingue di nebbia si andavano intanto formando nella pianura, pallido arcipelago sopra oceano nero. Una di esse si stese proprio ai piedi della ridotta », (rr. 152-153).
Un racconto allegorico
Eppure la presenza di qualcosa nella sterminata pianura, solitaria e vuota (r. 168) che si stende davanti alla ridotta, rappresenta per tutti i soldati un'opportunità in qualche modo attesa. Lo si vede il mattino successivo (rr. 169-182)nell'eccitazione che colpisce tutti davanti al cavallo che riporta le antiche leggende del Nord, ovvero la possibilità di vedere apparire i nemici.Lo stesso tenente, che pure alla fme si convince che il cavallo non annuncia l'arrivo dei Tartari, vivel'episodio come un segnale positivo: «si senti improvvisamente disposto a qualsiasi avventura e lo riempiva di gioia il presentimento che il suo destino era alle porte», (rr. 216-218). Il romanzo è a tutti gli effetti un' allegoria, cioè una storia che ha un doppio significato: quello letterale, che è la vicenda militare ambientata nella Fortezza Bastiani, e quello simbolico per cui la storia di Drogo è una metafora della vita umana, che secondo l'autore si consuma nell'attesa di un evento (l'arrivo dei Tartari) in grado di darle un significato. Nel corso del romanzo il giovane tenente pieno di speranze prende coscienza che non ci sarà nessuna avventura: annoiato e deluso, invecchia precocemente, vittima del tempo che scorre vuoto proprio come vuota è la pianura che gli sta davanti.
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