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Decameron
di Giovanni Boccaccio
Questionario:
Riflettere sulla struttura complessiva del Decameron.
Il Decameron è una raccolta di cento novelle ambientate nel periodo in cui la peste stava devastando Firenze, ovvero nel 1348.
Vengono raccontate le vicende di una brigata composta da sette ragazze e tre ragazzi che, per sfuggire alla peste, si ritirano in campagna. Quotidianamente viene scelto, tra loro, un re a cui tocca fissare un tema che i narratori dovranno rispettare.
Nell'introduzione ad ogni giornata viene descritta la vita della brigata, in cui non vi sono mai particolari avvenimenti, ma tutto si svolge secondo precisi rituali. Questa cornice è di fondamentale importanza, è un elemento essenziale alla struttura di tutto il Decameron, essa documenta il clima di civiltà e di gusto da cui nascono e a cui si rivolge ogni novella.
I gesti dei personaggi si compongono in un immobile spettacolo di grazia, i discorsi sono sempre funzionali allo svolgimento delle azioni e al raggiungimento di un preciso fine.
Nelle novelle prevale l'ambiente cittadino, mentre nella cornice l'unica sede è la campagna che offre uno sfondo idilliaco. Caratteristica della cornice è un'atmosfera contemplativa, immobile e distaccata, mentre nelle novelle domina l'azione. Questo permette di filtrare la realtà, percorsa da conflitti e tensioni, e distanziarla in modo da consentire una contemplazione distaccata. La principale funzione della cornice è, quindi, ricomporre il caos del molteplice in un'unità in cui regna armonia e tranquillità. Per ricreare quest'unità le stesse novelle non sono state disposte in modo casuale, ma secondo precise simmetrie. È da rilevare la contrapposizione che lega la prima giornata e l'ultima, la prima è dedicata al peggior uomo vissuto sulla terra, Ser Ciappelletto, e in essa vengono narrati i vizi e i gesti più meschini, e l'ultima è dedicata alla sublime quasi sovrumana virtù di Griselda. Simmetricamente rispetto alla VI giornata si pongono due giornate dedicate all'amore ( IV-V ) e due dedicate all'intelligenza umana, espressa attraverso le beffe ( VII-VIII ).
Queste simmetrie, spesso, si manifestano tra novelle consecutive, è il caso dell'intelligenza aristocratica di Guido Cavalcanti, collocata su uno sfondo di cortesia, e l'intelligenza volgare di frate Cipolla, sullo sfondo di una realtà rusticane.
Uno stesso tentativo di ricreare una realtà unita si può riscontrare nella Divina Commedia; in Dante, però, tutto proveniva e rimandava alla volontà di Dio, nel Decameron, invece, vi è una visione estremamente più laica.
Le cento novelle del Decameron presentano forme di narrazione molto diverse tra loro: c'è la novella avventurosa, ad es. quella riguardante Landolfo Rufolo, che elenca brevemente gli eventi, e c'è la novella che si risolve in scene vivide e animate dal dialogo, ad es. la confessione di Ser Ciappelletto.
Riflettere sulla lingua e sullo stile del Decameron.
Essendo la realtà, descritta all'interno del Decameron, ricca di vari personaggi molto diversi tra loro anche i registri stilistici sono svariati. Bisogna fare una distinzione tra la lingua del narratore e quella dei personaggi. Il discorso dei vari narratori è caratterizzato da uno stile alto e sostenuto, costituito soprattutto da periodi molto lunghi in cui sono presenti molte subordinate, disposte in modo gerarchico attorno alla proposizione principale. Vi sono, poi, inversioni, disposizioni di membri paralleli, costruzione con verbo all'infinito, anafore, procedimenti retorici. Questa, è una scrittura che richiama la prosa latina, Cicerone, Quintiliano e Tito Livio che per Boccaccio sono un esempio come del resto è sempre stato Ovidio ma anche Dante, Tetrarca e la tradizione cortese.
Anche dal punto di vista lessicale la lingua del poeta è ricca di componimenti e di registri, si possono trovare latinismi, gallicismi, termini tecnici ma anche popolareschi. In questo, Boccaccio è simile a Dante, entrambi si esprimono attraverso un plurilinguismo che mette in risalto la varietà della lingua, ma Boccaccio non si spinge agli estremi, non arriva cioè all'aulico e al plebeo ed evita le tensioni cercando di restare su un livello medio ma pur sempre decoroso.
Anche la folla multiforme dei personaggi si esprime con svariati linguaggi.
Boccaccio ama la parola e cerca di esaltarne il potere di plasmare la realtà, riproducendola con estrema precisione e fedeltà.
Nelle novelle di materia tragica Boccaccio riproduce ampi discorsi in stile sostenuto, ad es. il discorso tra Federigo degli Alberghino e monna Giovanna. Anche in contesti comici, però, è possibile trovare un tono elevato; in essi le battute del dialogo possono farsi rapide e frizzanti, un es. è il dialogo tra Maso del Saggio e Calandrino.
Dalla lettura delle novelle che hanno come protagonisti dei mercanti individuare gli aspetti significativi dell'ideologia mercantile.
Nelle novelle di Boccaccio molto spazio è occupato dalle figure dei mercanti, vengono quindi necessariamente descritte: la realtà del calcolo prudente, lo scambio vantaggioso, accumulo di ricchezze e il maneggio accorto di denaro. A differenza di Dante, Boccaccio non vede nel comportamento mercantile una fonte di peccato, anzi, si compiace dell'abilità umana che è manifestata dalla difesa e dall'acquisto di denaro.
Secondo l'autore la vita del mercante è sottoposta costantemente all'imprevisto che può favorire un'iniziativa o portarla al fallimento. Un ruolo preponderante è svolto dalla Fortuna che è considerata la grande antagonista dell'"industria" umana. Essa è vista in modo laico e considerata solo come un complesso accidentale di forze che esula da qualsiasi volontà superiore.
Nella quinta novella della IV giornata intitolata "Lisabetta da Messina" si vede come l'interesse economico sia anteposto a tutti gli altri valori, si parla qui di "ragion di mercatura".
I fratelli di Lisabetta uccidono l'innamorato di questa, pur di mantenere le proprie ricchezze, non badando alla sofferenza della sorella che per sentirsi vicina al suo amato si sente costretta a conservarne la testa in un vaso. L'interesse economico cancella anche l'amore fraterno solo Lisabetta con il suo sentimento sincero supera la ragion di mercatura.
Come detto in precedenza un ruolo fondamentale spetta alla Fortuna, questa è presente in "Landolfo Rufolo" (quarta novella della II giornata) il quale si trasforma in pirata per recuperare le ricchezze perdute affidandosi al mare. Ed è proprio il mare a rappresentare la fortuna, al termine della novella vi è, poi, la rinuncia da parte di Landolfo al ruolo di mercante. In "Andreuccio da Perugina" la fortuna si accanisce sul protagonista che per rifarsi della somma che gli era stata sottratta ruba il prezioso anello dell'arcivescovo.
Nel Decameron c'è una continua celebrazione dell'intelligenza: vedere in quali personaggi e con quali modalità questa opera.
Landolfo Rufolo, protagonista della quarta novella della II giornata, è un esempio del mercante che con la sua intelligenza e accortezza si arricchisce sempre di più. Egli è un mercante e in quanto tale non agisce a caso, ma valuta tutti i fattori in gioco, per ridurre al minimo l'imprevisto e il rischio. La Fortuna, infatti, non basterebbe a risolvere gli eventi, se la virtù dell'uomo non fosse pronta a abile nel cogliere le opportunità che le vengono offerte.(Andreuccio approfitta del coperchio aperto dai ladri per uscire dal sepolcro e spaventa il prete afferrandolo per le gambe). Nella novella "Landolfo Rufolo" l'azione umana appare poco influente sulla vicenda perché per ben due volte viene sopraffatta dalla Fortuna.
La protagonista della prima novella della IV giornata, "Tancredi e Gismunda", Gismunda è caratterizzata da alcune caratteristiche quali: la magnanimità di sentire, la decisione nell'eseguire, il coraggio di fronte a una sventura quale l'uccisione del proprio amato e l'intelligenza nell'architettare. Al contrario di ella il padre Tancredi è debole, privo di dignità e questo è provato dal suo piangere continuo.
Nella terza novella della VIII giornata, "Calandrino e l'elitropia", l'intelligenza assume una particolare funzione ovvero mira alla beffa. La burla può funzionare solo grazie al calcolo accorto, alla prontezza nell'agire e alla capacità illusoria della parola. L'intelligenza dispiegata nella beffa a Calandrino è diversa da quella usata per superare un ostacolo. Nella beffa di Maso, Buffalmacco e Bruno si ha un esercizio puro, mentre in quella di frate Cipolla, ai danni, dei contadini l'intelligenza è utilizzata a fini economici. Le beffe della VII giornata hanno un fine pratico ovvero dissimulare un adulterio. Nella beffa a Calandrino l'uso dell'intelligenza è come un esperimento di laboratorio che prescinde da ogni vantaggio pratico. Attraverso la beffa l'intelligenza crea una sorta di realtà parallela prodotta interamente dall'uomo. La beffa, insomma, diventa una metafora della capacità dell'uomo di costruire e dominare il reale attraverso l'intelligenza, l'azione e la parola.
Il tema della beffa nel Decameron. Individuare le variazioni del tema tra le varie novelle.
Quello della beffa è un tema che ha una gran importanza nel Decameron, ad essa sono dedicate ben due giornate, la VII e l'VIII. Nella beffa trionfa la virtù dell'industria e dell'intelligenza che è il valore fondamentale della società mercantile trattata dall'autore. Alcuni esempi di novelle in cui domina questo tema sono:
"Ser Ciappelletto", prima novella della I giornata, vede la beffa, della falsa confessione del protagonista, motivo di discussione in quanto viene tirata in causa l'autorità religiosa. Per alcuni è un azione disinteressata, per altri scaturisce dalla ragion di mercatura.
"Frate Cipolla", decima novella della VI giornata, è un altro esempio di "beffa religiosa".due ragazzi rubano al frate una reliquia che egli avrebbe dovuto mostrare al pubblico, egli non si fa prendere dallo sconforto e finge di possedere i carboni con cui è stato bruciato San Lorenzo. Il frate è un rappresentante della virtù umana, pur essendo un truffatore. Dante lo avrebbe destinato alle Malebolge, ma Boccaccio ne considera solo le virtù.
La figura del frate truffatore presente in entrambe le novelle sopra accennate sembra contenere una polemica antiecclesiastica, contro la degenerazione degli ordini religiosi. Ma non vi è in Boccaccio l'assunzione di un'autentica responsabilità religiosa e morale. È lontano dalle aspre condanne Dantesche nei confronti della corruzione del clero. Per Boccaccio la corruzione ecclesiastica è una realtà scontata, per cui diviene oggetto di riso.
In "Calandrino e l'elitropia", terza novella della VIII giornata, la beffa consiste nel far credere ad una persona semplice le realtà più inverosimili. Calandrino è sciocco e ingenuo a tal punto di credere nell'esistenza di una pietra che rende invisibili.
Nella seconda novella dell' VIII giornata, "Il prete da Avarlungo", la beffa torna ad interessare l'ambito ecclesiastico: il protagonista è un prete che è attirato dalle passioni terrene, dall'amore fisico per una contadina.
In "Monna Tessa" la beffa è indirizzata al marito, la donna per nascondergli il proprio amante finge che ci sia un fantasma che da giorni la disturba, dice anche di aver trovato un rito per scacciarlo e manda il marito a cenare in giardino.
"Biondello e Ciacco" sfruttano il comune difetto della ghiottoneria per beffarsi a vicenda. La beffa di Ciacco, però, assume un significato diverso rispetto a quella del primo, infatti, questa è più architettata e mira, in un certo senso, a pareggiare i conti.
In "Melchisede e il Saladino" si torna ad avere uno sfondo religioso, infatti, Saladino chiede a Malchisede quale sia la migliore religione ed egli gli risponde narrandogli una novella che tratta di un uomo molto ricco. Egli possiede un anello che simboleggia il potere che, però, non sa a che figlio donare quindi ne fa fare due copie e ad ognuno dei tre figli ne dona una. I figli non sanno quale sia l'originale, tutti ambiscono al potere ma restano sempre allo stesso livello così come le religioni.
In "Cecco Fortarrighi e Cecco Angiolieri" la beffa diventa l'elemento di rottura, di limite all'amicizia. Fortarrighi ruba il denaro all'amico portando Cecco Angiolieri a vendicarsi e a metter fine all'amicizia che li univa.
In "Una burla a un giudice marchigiano" il tema della burla è accostato dal tema dell'amore: Calandrino si innamora di Nicolosa, ma Bruno gli fa uno scherzo dicendogli che lei è sposata.
Individuare gli elementi che caratterizzano la concezione dell'amore per Boccaccio, i debiti che Boccaccio contrae con la tradizione precedente.
Il tema dell'amore ha un gran peso, all'interno dell'opera, e questo è intuibile già dal fatto che l'intero Decameron è dedicato alle donne che soffrono per esso. L'amore è visto in una prospettiva tutta laica e terrena, ma la realtà della carne e del desiderio sensuale è sempre osservato con occhio sereno e privo di malizia.
La vicenda di "Tancredi e Gismunda" poggia sul tema dell'amore contrastato. Il sistema dei personaggi riproduce il classico schema triangolare: Amante
Oggetto amato Antagonista
L'uomo, in questa novella, ha una funziona passiva, è la donna a provare passione, ad amarlo.
La contrapposizione che nasce tra padre e figlia scaturisce dalla gelosia provata dal genitore. Gismunda, però, si difende rivendicando il suo diritto alla soddisfazione dei desideri carnali, che, in quanto naturali, non vanno contrastati. Emerge qui il naturalismo Boccacciano per quanto riguarda il tema amoroso. Gismunda può essere paragonata a Francesca (V canto dell'inferno), ma l'atteggiamento di Boccaccio è opposto a quello di Dante. Nella Divina Commedia vengono severamente condannati i peccatori di lussuria, Boccaccio, ivece, in nome del suo laico naturalismo, esclude ogni idea di peccato in relazione all'amore carnale e propone Gismunda come un'eroina che si sacrifica per amore.
Il suicidio di Gismunda rappresenta un motivo ricorrente nella narrativa cortese, il binomio "amore-morte": gli amanti separati in vita possono congiungersi solo nella morte. Anche il rituale di bere il veleno nella coppa contenente il cuore dell'amato rimanda ad atmosfere tipicamente cortesi. Di fronte a questo gesto, compiuto dalla protagonista, Boccaccio prova una profonda ammirazione per i gesti eroici.
La quinta novella della IV giornata, "Lisabetta da Messina", è simile, per struttura, a quella precedente, ma ci sono varie differenze tra cui il fatto che Gismunda è un'eroina, Lisabetta no, accetta silenziosamente l'oppressione dei fratelli che uccidono il suo innamorato.
Le due eroine sono, però, accomunate da una sorta di culto delle reliquie dell'amante, il cuore di Guiscardo e la testa di Lorenzo, sempre secondo i moduli di un patetismo romanzesco che risale alla tradizione cortese. Si può invidiare all'interno della novella un antagonismo tra l'amore e la ragion di mercatura. La prima si incarna in Lisabetta, che obbedisce solo alla forza irrefrenabile della natura giovanile, la seconda nei fratelli, che contrastano l'amore solo perché potrebbe danneggiare il loro buon nome.
Oltre all'aspetto di opposizione tra amore e morte Boccaccio ne approfondisce altri tra cui l'amor cortese in "Federigo degli Alberghi", in "Nastagio degli Onesti", in "Monna Sismonda" invece, viene messo in risalto l'ingegno così come ne "La Badessa e le Brache".
L'amore descritto in "Federigo degli Alberghi" è un amore a lieto fine, infatti, dopo vari ostacoli Federigo riesce a sposare la sua amata Giovanna e come Nastagio sperpera i suoi averi pur di ottenere l'amore della donna.
Verificare in quale modo viene trattato nel Decameron un aspetto particolare dell'intelligenza, ovvero il culto della parola.
Il potere della parola nella società borghese è illustrato soprattutto in alcune novelle della VI giornata.
Un esempio è dato da Cisti che è uno dei tipici eroi di Boccaccio, possiede la virtù dell'industria, si rivela padrone della parola, dimostrandosi capace di motti arguti e pungenti.
Anche Guido Cavalcanti possiede la virtù borghese dell'industria, la capacità di superare situazioni difficili anche per mazzo della parola. Ma in più lui possiede un'ulteriore virtù, ovvero la cultura in cui risiede quindi l'essenza dell'uomo, ciò che lo distingue dagli altri esseri. La cultura è indispensabile a rendere l'uomo armonico e perfetto, è la sua presenza che invera le virtù mondane della cortesia e dell'industria e conferisce ad esse definitivo valore.
Cavalcanti può essere messo a confronto con fra Cipolla. L'uno è un frate truffatore, campagnolo, ignorante, l'altro coltissimo poeta, raffinato e aristocratico; ma hanno anche alcune caratteristiche in comune quali l'industria, la capacità di superare ostacoli grazie alla capacità di dominare la realtà con la parola.
Questa è una virtù della civiltà mercantile urbana e soprattutto fiorentina ed accomuna vari personaggi non necessariamente colti o intelligenti, ne è un esempio fra Cipolla.
Riflettere sul significato della Fortuna nel Decameron.
La Fortuna è una delle forze che muovono il mondo all'interno del Decameron, insieme all'amore, in quanto la vita dei mercanti, che sono i principali protagonisti, è continuamente sottoposta all'imprevisto. L'idea che la realtà è dominata da una forza imprevedibile già presente nella coscienza medievale, ma essa era ritenuta una forza subordinata al superiore disegno della provvidenza divina. Nella visione della società mercantile, invece, la Fortuna appare come un complesso accidentale di forze, indipendente da qualsiasi entità superiore. È perciò una visione laica anche se non esclude l'esistenza di Dio, ma che ritaglia una sfera autonoma che è quella dell'agire umano. La fortuna è la risultante oggettiva di una serie di forze naturali e sociali, essa si può manifestare attraverso fenomeni naturali o azioni umane. Essa può essere favorevole o avversa all'agire dell'uomo ed è la grande antagonista dell'industria. Ad esempio in "Landolfo Rufolo" il mare a rappresentare la fortuna perché è proprio il mare a "decidere" gli insuccessi del protagonista.
Verificare come sono delineate le figure femminili nel Decameron. Confrontare questi personaggi con le donne della precedente tradizione stilnovistica e con la Laura petrarchesca.
Prendendo come esempio due figure femminili del Decameron quali Ghismunda e Lisabetta si può dire che per quanto diverse sono accomunate dall'essere, entrambe, soggetti d'amore.
Le differenze, però, sono molto evidenti: Ghismunda vive in un ambiente aristocratico e feudale mentre Lisabetta vive in un mondo modesto, borghese, mercantile. Anche caratterialmente sono due persone totalmente opposte: la prima è un'eroina che si ribella all'oppressione del padre, difendendo i propri diritti con fierezza e determinazione scegliendo volontariamente di morire per "seguire" il proprio amato, la seconda, invece, non compie gesti eroici, accetta in silenzio o con il pianto il comportamento dei fratelli. In gran parte degli autori stilnovisti come Cavalcanti e in seguito in Petrarca la donna assume un contorno negativo perché allontana da Dio, dalla salvezza. Per Dante, invece, Beatrice è la via giusta per la salvezza, è la donna angelo che anche solo con uno sguardo può nobilitare l'animo del poeta. Ma anche Dante sarà attratto della filosofia e per questo rimproverato da Beatrice stessa in Paradiso. Se Dante mette fine al conflitto "cielo-terra" amando colei che lo avrebbe portato alla salvezza eterna, Petrarca non ci riesce. Laura, la sua amata, è diversa da Beatrice, non è una donna-angelo e in quanto figura terrena invecchia. Laura è più concreta anche se stilizzata dalle sue descrizioni. Petrarca è cosciente del peccato che compie ed è proprio la consapevolezza di non saper allontanarsi dalle passioni terrene, a causare il dissidio interiore che lo accompagnerà per tutta la vita. In Boccaccio scompare il dissidio, la paura di commettere un peccato, ma allo stesso tempo scompare la figura incombente di Dio che assume un ruolo in disparte. Nel Decameron è descritta la realtà ed è inevitabile, quindi, anche se il ruolo principale è affidato alla figura del mercante, che ci siano protagonisti aristocratici come Gismunda e borghesi come Lisabetta.
Verificare in quale modo Boccaccio concilia gli ideali mercantili della società a lui contemporanea con quelli aristocratici della società precedente.
La risposta a questa domanda è data dalla nona novella della V giornata, "Federigo degli Alberghi".
Il protagonista incarna perfettamente gli ideali dell'aristocrazia cortese. Federigo, infatti, spende senza ritegno il suo denaro per conquistare la donna da lui amata, secondo il principio cortese del "servizio d'amore", pur sapendo bene di non poter ottenere nulla da lei. Boccaccio ammira queste virtù, ma non ne vuole fare solo una celebrazione.Egli porta in primo piano quello che la letteratura cortese aveva da sempre ignorato ovvero le basi materiali della borghesia, che per essere perfetti cavalieri occorre molto denaro. La poesia trobadorica aveva sempre evitato questo tema tanto da far sembrare le ricchezze dei cavalieri illimitate.
Boccaccio, però, è ormai fuori da quel mondo, è figlio della civiltà mercantile e conosce bene il valore del denaro. Per questo, pur ammirando profondamente la civiltà cortese e i suoi valori, vede anche i limiti che la indeboliscono. In questa novella viene condotta una dimostrazione per assurdo, mettendo in luce il paradosso della cortesia: praticata con rigore e spinta ai suoi limiti estremi, essa giunge ad autodistruggersi. Federigo, infatti, quando ha l'occasione di onorare la donna che ama, non può farlo perché, nel servirla cortesemente, ha dissipato tutti i suoi averi.
Riflettere sul valore del realismo boccacciano, sulla molteplicità dei temi trattati.
Il realismo di Boccaccio riguarda ogni aspetto della vita la società ma anche la geografia, la storia e la cronaca. Infatti, il Decameron ha proprio inizio per una questione che riguarda tutta la comunità, la peste sta dilagando a Firenze e dieci giovani sentono la necessità di isolarsi in campagna, per fuggirne il pericolo. Boccaccio è solito legare la narrazione alla realtà consacrata dalla storia e convalidata dalla sua esperienza personale, per questo indica nomi, luoghi, fatti con estreme precisione. Il poeta studia l'uomo libero da ogni peccato, Dante descriveva un mondo passato, Boccaccio parla della realtà contemporanea.questi due autori sono, però, più vicini tra loro a differenza di Petrarca che riflette sempre su se stesso e non è in grado di uscire dalla propria interiorità. Boccaccia accetta tutti i temi del reale e dedica il Decameron alle donne perché, non avendo molti impegni per distrarsi, soffrono per amore. I due temi principali sono: il piacere e l'ingegno. Le novella che trattano il primo tema sono: "Federigo degli Alberghi", "Nastagio degli Onesti", "Monna Sismonda", "la Badessa le Brache", "Lisabetta da Messina", "Guglielmo da Rossiglione", "La Lisa e il re Piero", "Tancredi e Gismunda".
Tutte le altre novelle trattano di ingegno e con questo termine può indicare la fortuna o la beffa. Quest'ultima sarebbe stata sicuramente punita da Dante, ma Boccaccio capovolge la situazione considerando solo l'ingegno che essa nasconde.
Individuare gli aspetti tipicamente medievali dell'opera e quelli che preannunciano l'Umanesimo.
I critici, di fronte al Decameron, hanno definito Boccaccio il "laico cantore della terrena commedia". La distanza dalla religiosità di Dante è grande così come la distanza che lo separa dal dissidio di Tetrarca. Boccaccio ha una serena accettazione della vita terrena di cui analizza tutto senza giudicare, senza aver paura del peccato. Riconosce che l'uomo vive sulla terra ed è inutile opporsi alle leggi terrene. Prima il cristiano doveva rinnegare i piaceri, elevarsi; con Boccaccio l'uomo si trova in armonia con la terra, si pacifica con la propria natura, assecondando i propri istinti. Questo è, già, una visione naturalistica. Boccaccio, per questo, è già un umanista a differenza di Petrarca che troppo tormentato dal peccato non riesce a guardare oltre a sé stesso. Quelli che prima erano i vizi, ad esempio la lussuria, diventano qualcosa di naturale che gli uomini devono perseguire trasgredendo anche il sacerdozio e il matrimonio. L'adulterio è trasgressione, è unione fisica, non più gioco di sguardi. Boccaccio cerca di rendere questi temi dignitosi e non peccaminosi. I temi trattati: l'amore, la fortuna, non sono temi nuovi ma sono visti da un altro punto di vista che è quello di occhi laici.
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