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Dalla Mitologia All'Arte:
"Apollo E Dafne" E.
"Apollo e Dafne" è uno dei quattro gruppi marmorei scolpiti tra il 1619 e il 1625 da Bernini[1] per il cardinale Scipione Borghese, famoso collezionista romano, fondatore dell'omonima galleria. Caratteristica importante di questa scultura è che a seconda del punto di vista dal quale la guardiamo essa presenta aspetti diversi: per avere una sua visione complessiva infatti, bisogna girarci intorno. Un'altra particolarità va ricercata nel dinamismo che la attraversa: Bernini infatti riesce a introdurre il movimento, e quindi la dimensione del tempo, nel marmo, materia di per sé statica e pesante. Contemporaneamente rende in maniera notevole la graduale transizione dall'umano al vegetale: la gamba sinistra di Dafne è già diventata corteccia, le chiome e le braccia si stanno trasformando in foglie e fronde, mentre il resto del corpo non è ancora tramutato, sebbene dal piede destro spuntino già le radici dell'albero. La diversità della materia viene resa con eleganza creando un gioco di superfici ora lisce ora rugose che riflettono in modo differente la luce sotto la quale sembrano animarsi. Il movimento viene percepito attraverso lo slancio verticale di Apollo, accentuato dal panneggio della stoffa, che si intreccia con il movimento ad arco di Dafne, i cui estremi sono i piedi e il capo. La parte del suo corpo che si è già trasformata in albero è ormai radicata nel terreno e bloccata nel movimento, che invece continua nel bacino incurvato e nel braccio. Le due figure sono unite armonicamente dalla disposizione secondo una linea obliqua che, partendo dalla gamba sinistra del dio, ancora sollevata, culmina nella mano destra della ninfa già trasformata in fronda.
Bernini è riuscito a sintetizzare nell'unitarietà dello spazio una molteplicità di avvenimenti e di sentimenti che si succedono nel tempo: l'inseguimento, la fuga, la metamorfosi, il dolore di Dafne e lo stupore di Apollo.
."
"l'immagine di Narciso sfuma finché non si fa del tutto invisibile. La metamorfosi avviene proprio in quest'attimo; l'immagine di Narciso si trasforma improvvisamente nell'immagine di una mano, impietrita nell'acqua, che regge con la punta delle dita un uovo, un seme, il bulbo dal quale nascerà il nuovo narciso, il fiore."
" Metamorfosi di Narciso" è il dipinto di Dalì[2] realizzato nel 1937, conservato alla Tate Gallery di Londra. La scelta iconografica del quadro deriva dalle suggestioni artistiche ricevute durante il viaggio in Italia che l'artista ha compiuto nel 1936, (così come le figure dei nudi sullo sfondo che evocano pose classiche e atteggiamenti formali tipici dell'arte rinascimentale e manierista).
Il quadro si ispira al personaggio mitologico ovidiano del giovane Narciso, il quale si innamora della propria immagine che veniva riflessa in uno specchio d'acqua; è perciò impossibile per lui possederla e alla fine si trasforma in un fiore (che porta il suo nome). Dalì riesce a riprodurre la metamorfosi ovidiana dando vita a un'ambigua relazione tra illusione e realtà.
Le fasi della metamorfosi si succedono in forma narrativa da sinistra a destra e analogamente accade per i colori opachi e le forme inizialmente trasparenti che via via acquistano una connotazione realistica e concreta: la splendida figura di Narciso che si rispecchia nel lago subisce una trasformazione per cui assume l'aspetto di una mano pietrificata che regge un uovo crepato dal quale nasce il fiore narciso.
Dalí pubblica in seguito un lungo poema con lo stesso titolo della tela in cui sottolinea i significati nascosti nella doppia immagine iniziale di Narciso che pensa e della mano pietrificata.
Ricavato da 'https://it.wikipedia.org/wiki/Metamorfosi_%28Salvador_Dal%C3%AD%29'
Indubbiamente, il mito di Narciso attiene a un aspetto della psiche umana a cui Dalí non è certo estraneo, ma questa componente della vicenda narrata da Ovidio non esaurisce le motivazioni dell'interesse del pittore: la sua attenzione si rivolge anche a quel riflesso ingannevole che Narciso vide nell'acqua, e che causò la sua tragica fine.
In "Metamorfosi di Narciso", la vicenda del giovane è scandita in tre sequenze temporali: sullo sfondo il ragazzo compare in piedi su un plinto, soddisfatto della sua bellezza, mentre poco lontano si raccoglie un gruppo di persone che invocano vendetta per la ninfa Eco, morta d'amore per lui; in primo piano avviene invece la punizione decretata da Nemesi: a sinistra il giovane si sporge sulle acque, scorgendovi fatalmente il proprio riflesso, mentre la sua immagine si sdoppia, e sulla destra sorge una mano che sostiene un uovo, da cui nasce il fiore che porta il nome di Narciso.
Gian Lorenzo Bernini, architetto, scultore, pittore, scenografo e autore del teatro italiano (Napoli 1598- Roma 1680). È uno degli artisti più importanti del Seicento: basti ricordare che a lui si devono opere quali il colonnato di piazza San Pietro e il baldacchino bronzeo collocato al centro della stessa basilica.
Salvador Dalì, pittore spagnolo, scrittore, illustratore di libri, scenografo, disegnatore di gioielli e di mobili (Figueras 1904-1989). Dalì è stato una delle personalità più complesse, singolari, eccentriche di tutto il Novecento. Dopo aver frequentato a Madrid l'accademia San Fernando e aver tenuto due personali a Barcellona, nel 1927 Dalì si reca a Parigi dove conosce Picasso (un anno prima Dalì era diventato neocubista dipingendo le formazioni geologiche della costa catalana). In un secondo soggiorno parigino entra in contatto, tramite l'amico Mirò, con i surrealisti. E qui, nel 1929 nasce il grande Dalì: se prima le sue modelle preferite erano state la sorella Ana Maria e la cugina, d'ora in poi la sua musa ispiratrice diventerà Melena Deveclina Diakanoff, figlia di un impiegato di Mosca, da tutti chiamata Gala, moglie di Paul Eluard (pseudonimo di Eugène Grindel, poeta francese). L'apparizione della donna costituisce per lui la tanto attesa rivelazione: Gala incarna infatti la donna dei sogni della sua infanzia. La riconosce dalla sua struttura fisica e dalla schiena nuda: "ella era destinata a essere la mia Gradiva (riferimento alla novella di Wilhelm Jensen), la mia dea della vittoria, colei che con la forza indomabile del suo amore sarebbe riuscita a guarirmi". Ma questa sua passione per una donna già sposata (che poi divorzierà) causa la rottura definitiva con il padre, la fine della propria giovinezza e il progressivo allontanamento dal proprio nucleo familiare. Nonostante i giudizi contrastanti che coinvolgono le sue opere, in ogni caso Dalì riesce nell'intento di fondere la tradizione barocca spagnola e la fredda precisione della metafisica, con le implicazioni della psicoanalisi. Dal 1930 al 1940 è intensa la sua attività di scrittore: nel 1941 pubblica a New York (dove si era stabilito l' anno precedente) la sua famosa autobiografia "La vita segreta di Salvador Dalì". Tra le numerose opere di pittura troviamo "Presagio della guerra civile" (1936), "Leda atomica" (1948), "Concilio ecumenico"(1960), "Battaglia di Tetuan" (1962).
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