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Che si parli




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CHE SI PARLI.






Motivazioni:

La tematica del linguaggio ha sempre destato in me grande interesse.

Attingendo dal tema generale dell'area di progetto ("La società dell'immagine: essere o apparire?"), la mia riflessione, seppur restando ancorata all'aspetto della rappresentazione della realtà, si è spostata sull'ambito del linguaggio.

Un'occasione come quella del colloquio orale d'esame, ove viene richiesta l'elaborazione individuale di un'idea, di un ragionamento, mi è sembrata l'opportunità migliore nella quale poter originare, forse per la prima volta concretamente, un mio personale lavoro di ricerca e analisi.


















CHE SI PARLI.



Il linguaggio secondo Wittgestein: Tractatus logico-philosophicus (.tutto ciò che può essere detto, si può dire chiaramente. Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.)



Mezzi tramite cui trascendere la cruda parola:

o      Il mito - Significato del Mito della caverna di Platone;

o      La favola - Jean De La Fonteine: favola della formica laboriosa e della cicala scansa fatiche;

o      Le metafore - Dalle Confessiones di S. Agostino: riflessione sul concetto di tempo;

o      La poesia - analisi e differenze del linguaggio di Montale ed Ungaretti. Analisi delle poesie Non chiederci la parola e Il porto sepolto




Non chiederci la parola (Ossi di seppia, 1925)


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.


Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!


Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.







Il porto sepolto (Il porto sepolto, 1916)



Vi arriva il poeta
E poi torna alla luce con i suoi canti
E li disperde

Di questa poesia
Mi resta
Quel nulla
Di inesauribile segreto




La psicologia dell'età evolutiva: sviluppo del linguaggio secondo Piaget e Vygotskij.



































Ragionando attorno al linguaggio, è certamente opportuno volgere la mente all'opera del matematico e filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein. Egli fu un grane pensatore del Novecento; si occupò principalmente di filosofia del linguaggio e da tali suoi interessi maturò la capitale opera intitolata Tractatus logico - philosophicus che segnò inevitabilmente il pensiero filosofico successivo in ambito logico e linguistico.

Nel Tractatus, Wittgestein afferma e sostiene che il linguaggio, in quanto insieme di proposizioni dotate di senso, non è altro che la rappresentazione della realtà. Esso è composto di elementi minori (le parole) anch'essi dotati  di senso; ad ogni parola corrisponde un fatto, un elemento della realtà. Vi è, quindi, una perfetta adeguazione logica tra parole e cose: il mondo è la totalità dei fatti, il linguaggio è la totalità delle proposizioni che significano i fatti.

Nell'opera si conclude che tutto ciò che può essere detto, si può dire chiaramente, Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.


Analizzando l'opera ed il pensiero di Wittgestein, si deduce che all'interno del linguaggio sono contenuti tutti gli elementi che permettono una sufficiente ed esaustiva rappresentazione della realtà; ogni proposizione dotata di senso, e quindi ogni parola, si lega con esatta logica a ciascun fatto reale. Da ciò deriva che il linguaggio ha la capacità di esprimere ogni fenomeno. Ciò che il linguaggio non è in grado di esprimere è perciò noumeno, ovvero inesprimibile poiché non esistente in quanto fatto del reale. Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.


Secondo Wittgenstein, quindi, concetti come "la morte", "il sentimento", "l'angoscia", "il tempo", di cui, sì esistono le parole ma esse non rimandano logicamente ad un fatto (ad esempio, la parola "morte" non richiama un fatto determinato, bensì suggerisce solamente una condizione ignota di cui non si può avere conoscenza. La parola "albero", invece, richiama chiaramente il fenomeno riconoscibile come vegetale dotato di radici, tronco, foglie eccetera) sono di vacua consistenza e perciò di essi non vi è possibilità, né senso, di trattare.


L'uomo, però, fin dalle prime testimonianze scritte e raffigurative di cui siamo in possesso, si è sempre interrogato su questioni ineffabili come, appunto, la morte, la possibile presenza di un'entità suprema, i limiti della conoscenza, le origini della vita.

Però, nonostante la difficoltà concreta di esprimere ed esteriorizzare tali intuizioni, quasi fossero un lampo che velocissimo ed inconsistente guizza nella mente, l'uomo creativo ha sempre trovato un mezzo alternativo alla semplice e cruda parola per  rappresentare il flusso dei propri pensieri.

Si pensi al mito, primordiale ma efficace mezzo mediante cui è possibile convertire in immagini un'idea. Nell'antichità, il saggio proponeva modelli teorici di moralità, concetti filosofici, grandi interrogativi alle menti meno adatte al ragionamento sotto forma di mito.

È di grande impatto il Mito della caverna (è omessa la narrazione dei vari passaggi del mito) con cui Platone si propose di delineare il profilo dell'uomo capace di ragionare, attribuendo di conseguenza a questi il compito di diffondere la sapienza attraverso i propri simili non ancora in possesso della luce guida della ragione.

Si pensi, ancora, alla fiaba che ha il compito di presentare ai fanciulli, incapaci di astrazione, grandi tematiche esistenziali in chiave visiva, ed apparentemente più leggera (ad esempio la celebre favola di Jean De La Fonteine che vede come protagoniste la formica laboriosa e la cicala scansa fatiche).

O ancora la poesia che, attraverso ricercate ed artificiose costruzioni letterarie (musicalità, metafore, figure retoriche e l'impatto emotivo) tenta di trascendere il limite che la cruda parola possiede.


Si porta come esempio S. Agostino che, all'interno delle Confessiones, dedicò ampio spazio alla riflessione sul tempo. Scriveva: [.] Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti esplicare velim nescio [.].

È dunque fondata la tesi di Wittgestein: ciò di cui il linguaggio non ha pieno controllo, non è concretamente esprimibile. Agostino, oltre un millennio e mezzo prima, affrontò il medesimo problema. Il concetto di tempo è un'intuizione che, fin quando risiede nella mente, è comprensibile ma, qualora si dovesse tentare la sua esteriorizzazione, essa subito viene meno.

Considerati i tre atteggiamenti di cui, secondo Agostino, l'animo umano dispone per approcciarsi al tempo, l'autore ricorre ad un'efficace metafora: la percezione del tempo è come la percezione di una canzone, ovvero, mentre quest'ultima viene recitata, si ha consapevolezza di una sua parte che ancora deve venire, di una presente, in continuo avanzamento, e di una passata. Così l'animo umano misura il tempo (in te, anime meus, tempora metior).


Nell'ambito letterario, il linguaggio viene utilizzato differentemente dai diversi autori.

Si consideri il linguaggio utilizzato da Montale e quello utilizzato da Ungaretti: il primo considera la parola come detentrice, in ultima analisi, di un significato assoluto capace di condurre al senso ultimo delle cose. Da ciò, anche il più piccolo elemento ha la forza di divenire immenso deposito di significato (si pensi alle piccole espressioni della natura, come il limone, il girasole, che per Montale divengono portatrici di inestimabile valore).

Ungaretti, invece, stravolge la struttura convenzionale del linguaggio poetico, da prima nell'impostazione dei versi (vi sono componimenti aventi versi formati da anche un solo vocabolo), di conseguenza nel significato attribuito alla parola; essa è difatti. non più portatrice di valori assoluti come in Montale, bensì cruda rappresentazione di ciò a cui effettivamente essa allude. Solo la poesia presa nella sua totalità è capace di andare oltre il significato della parola, assumendo così valori allegorici e metaforici.

Seguiranno l'analisi ed il confronto delle poesie Non chiederci la parola ed Il porto sepolto.


La psicologia dell'età evolutiva, studiando lo sviluppo infantile dell'individuo, ha inevitabilmente analizzato il ruolo che il linguaggio possiede nella crescita mentale del bambino. È noto, a tal proposito, il dibattito tra Piaget e Vygotskij: il primo ritiene che il linguaggio, che assume consistenza solamente nella cosiddetta fase pre - operatoria (che va dai tre ai sei, sette anni), sia un'attività mentale paragonabile al gioco simbolico e all'imitazione differita, per questo motivo, non rivestendo un'importanza particolare nello sviluppo mentale, non deve essere oggetto di eccessive sollecitazioni esterne, come da parte della scuola o della famiglia. Il linguaggio è quindi subordinato al pensiero.

Vygotskij, invece, sostiene la tesi opposta: il linguaggio si presenta nella mente del bambino fin dai primi mesi di vita subordinando così, nel corso dello sviluppo, il pensiero stesso. Il linguaggio, quindi, assume cruciale importanza e necessita di allenamento costante così da acutizzare l'attività del pensiero.
































BIBLIOGRAFIA:


E. Montale, Ossi di seppia: Non chiederci la parola, ed. Paravia, Varese 2005;

G. Ungaretti, Il porto sepolto: Il porto sepolto, ed. Paravia, Varese 2005;

L. Wittgestein: Tractatus logico - philosophicus, ed. Atlas, Bergamo 2002;

S. Agostino: Confessiones, ed. Edizioni scolastiche Bruno Mondatori, Torino 2003.


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