Carducci Giosuč
(Valdicastello, Lucca 1835 - Bologna 1907),
poeta e saggista, fu il primo italiano a ricevere il premio Nobel per la
letteratura (1906).
LA VITA Figlio di un
medico condotto affiliato alla Carboneria, trascorse la fanciullezza in Maremma,
il cui paesaggio farą rivivere in tante sue poesie. Dopo essersi laureato alla
Scuola normale superiore di Pisa con una tesi sulla poesia cavalleresca (1856),
insegnņ in un ginnasio, esperienza, questa, che sarebbe confluita nelle
autobiografiche Risorse di San Miniato (1863). Il suo interesse per la
filologia lo indusse a fondare, nel 1859, la rivista 'Il Poliziano',
che tuttavia ebbe vita breve. All'insegnamento, dal quale era stato sospeso per
tre anni a causa delle sue idee filorepubblicane, tornņ a dedicarsi tra il 1860
e il 1904, quando, su nomina del ministro Terenzio Mamiani, fu titolare della
cattedra di eloquenza dell'universitą di Bologna. In politica combatté il
papato e la monarchia, ma a questa si riavvicinņ verso la fine degli anni Settanta
e, in seguito, nominato senatore nel 1890, si schierņ con il governo
conservatore di Francesco Crispi.
LA POESIA Carducci fu
ostile al sentimentalismo romantico e allo spiritualismo che caratterizzavano
la poesia italiana di quegli anni, e fu acceso sostenitore di un ritorno alle
forme classiche e al naturalismo pagano. L'antiromanticismo carducciano - che
fu, da subito, antimanzonismo - non si tradusse, tuttavia, nella fredda ripresa
di moduli e motivi classici. L'opera poetica di Carducci presenta invece un
convivere di elementi tra loro diversi, sicché a una sensibilitą romantica si
ascrivono l'attenzione a una resa lirica di paesaggi interiori (si pensi alla
memoria dell'infanzia che impronta poesie come Davanti San Guido o San
Martino, al raccoglimento di Nevicata, contenuta nelle Odi
barbare, al luminoso fantasticare di Sogno d'estate) e l'idea di una
missione civile del poeta. Se questi č il supremo 'artiere' (evidente
la suggestione dantesca di 'miglior fabbro') nell'arte di forgiare
versi, egli č altresģ il rapsodo, il vate la cui parola non si esaurisce nel
cerchio della letteratura: si pensi a poesie dal contenuto tra loro
diversissimo, ma tutte 'impegnate', come il famoso Inno a Satana
(1863), che suscitņ scandalo per il suo radicale laicismo, l'ode Alla Regina
d'Italia (1878) e la rima A Vittore Hugo (1881). All'anima classica
va riferita invece la struggente nostalgia per le etą eroiche del passato che
permea, ad esempio, le poesie 'romane' delle Odi barbare o
quelle che ricreano in pochi tratti il mondo di un Medioevo comunale.
LE RACCOLTE Le raccolte
giovanili (Juvenilia, 1850-1857; Levia Gravia, 1857-1870)
esprimono le concezioni laiche e repubblicane di Carducci, e costituiscono un
complesso apprendistato poetico, in cui egli sperimentņ molte forme della
tradizione lirica italiana. In Giambi ed epodi (1882), che comprendeva
componimenti gią pubblicati nella raccolta Poesie (1871), prevalsero i
toni polemici. Le Rime nuove (1861-1887) sono probabilmente la raccolta
migliore, quella in cui Carducci seppe alternare con maggiore ricchezza
l'ispirazione intima e privata alla poesia storica e politica. Questo doppio
registro caratterizza anche, sia pure con minore felicitą espressiva, l'ultima
raccolta di versi, Rime e ritmi (1898). Grande importanza hanno le Odi
barbare (1877-1893), che cercano di riprodurre in versi italiani i metri
della lirica greco-latina (vedi Metrica barbara). Grande influenza ebbe
il magistero carducciano nel campo della critica. Suoi allievi furono Giovanni
Pascoli, Severino Ferrari, Renato Serra, Manara Valgimigli, e, se la sua
lezione si iscrive entro i confini storici del positivismo, l'attenzione ai
valori testuali evidente negli studi su Petrarca, Poliziano, Parini fa di
Carducci un precursore della critica stilistica. A rendere meno paludata la
figura di un poeta stretto nella propria ufficialitą contribuisce lo
sterminato, vivace ed estroso epistolario.