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Un grande risveglio artistico-culturale caratterizza il Quattrocento; tale risveglio parte da una nuova posizione assunta verso la CLASSICITÀ. Durante il Medioevo infatti i testi antichi erano stati studiati da un punto di vista formale e sempre in funzione della morale e della religione, senza mai penetrare l'animo dello scrittore o tentare di ricostruirne la vita interiore in una visione storica fedele alla realtà. Ora invece, in tale nuova ottica, inizia la ricerca di antichi manoscritti, ricerca che riporta alla luce opere a lungo ignorate; i testi originali vengono ricostruiti meticolosamente, attraverso il raffronto dei codici. Nasce così il mito della classicità e dell'insuperabilità degli antichi, ma il mondo classico non avrebbe potuto rivelarsi in tutta la sua compiutezza se, verso la fine del Trecento, non si fosse destato l'interesse per il mondo ellenico e lo studio della lingua greca (quasi del tutto ignorati durante il Medioevo).
In tal senso si rivelano determinanti due eventi storici: il concilio di Ferrara e Firenze (1438-39) che, convocati per tentare una riunificazione delle Chiese Romana e Ortodossa, mettono in contatto i dotti dell'una e dell'altra parte; la caduta di Costantinopoli (1453) nelle mani dei turchi, che favorisce l'arrivo in occidente di numerosi monaci ed ecclesiastici i quali, in cerca di scampo, recano con sé il loro sapere e numerosi manoscritti, oggetto poi di appassionati studi da parte degli umanisti. Su tutti, due nomi si impongono alla nostra attenzione: il Cardinale Bessarione e Giorgio Gemisto Pletone.
Il primo, Arcivescovo di Nicea, giunge in occasione del succitato Concilio e vi si segnala per dottrina ed eloquenza; nominato poi Cardinale, fissa la sua dimora a Roma, dove propugna un'armonica fusione del mondo orientale con quello occidentale. Egli raduna una vasta collezione di manoscritti che poi, donati a Venezia, costituiranno il primo nucleo della biblioteca Marciana.
Giorgio Gemisto introduce invece in occidente l'amore per Platone, avviando interminabili dispute circa la superiorità, o meno, di Platone su Ariostele; a tali dispute va comunque il merito di aver fatto conoscere meglio i sistemi dei due filosofi greci.
Va inoltre segnalato un rinnovato interesse per Cicerone, che conduce alla nascita del "Ciceronianesimo", vale a dire dell'illusione di poter risuscitare il latino del grande scrittore romano, annullando mille anni di storia; dell'Umanesimo esso è tuttavia uno degli aspetti più esteriori e scaturisce dall'atteggiamento assunto inizialmente dagli umanisti verso il latino medievale, considerato degenerazione barbarica del vero latino invece che, come di fatto era, la sua naturale evoluzione.
La riscoperta però del pensiero antico non implica la sua contrapposizione al cristianesimo o il rifiuto del pensiero religioso medievale. In realtà si vuole approfondire il concetto di "dipendenza" dell'uomo da Dio; tale dipendenza non deve annullare la volontà dell'uomo o impedirgli di esplicare in maniera individuale le capacità intellettive a lui donate da Dio stesso.
Così il sentimento religioso viene interiorizzato; se vi fu polemica essa ebbe per oggetto la corruzione della Chiesa, grazie proprio all'ansia di rinnovamento già comunque riscontrabile in precedenza (in tale ottica andrebbero infatti considerati lo Stilnovo, che aveva sostituito ad una religiosità teologica una religiosità umana dei sentimenti; il sogno utopistico di Dante per una monarchia universale; il tentativo di Cola di Rienzo di far rivivere la grandezza di Roma).
L'aspirazione al rinnovamento però non era concretizzabile senza che l'uomo riacquistasse prima fiducia nelle proprie forze e riequilibrasse il suo mondo interiore con il mondo terreno. Già Petrarca aveva collocato al centro del suo mondo poetico l'animo umano: il Rinascimento innalza un inno di lode alla dignità dell'uomo. Si scopre che il tempo non può annullare la natura umana: l'uomo del Quattrocento e del Cinquecento hanno la stessa natura dell'uomo di mille anni prima.
La dignità dell'uomo era già stata affermata dai classici; lo stesso messaggio cristiano, sostenendo che Dio era fatto uomo ed era morto per salvare l'uomo, aveva innalzato quella dignità ad un grado divino (tale concetto della dignità divina dell'uomo era nato nel medioevo, solo che lo si vedeva attuabile solo nell'altra vita).
Ora essendo la natura umana immutabile, diviene indispensabile agire per lasciare ai posteri un'eredità valida; la vita terrena non è considerata quindi un transito più o meno afflitto da miserie, quanto piuttosto il regno in cui l'uomo può forgiare, con le sue forze e con l'aiuto di Dio, il suo destino temporale ed eterno; si fa strada così un'iniziale idea di "progresso".
Per le stesse ragioni appena considerate, matura un notevole interesse per la storia, presa come a modello per il presente, al fine di trarre, dallo studio della stessa, la lezione che l'uomo dell'antichità aveva affidato ai posteri, con i suoi scritti o le sue opere, e sempre nel tentativo di armonizzare le esperienze del passato con le idealità del presente.
Le opere del tempo mirano quindi a creare l'Uomo perfetto: il culto del bello, l'eleganza dei modi, divengono uno strumento indispensabile; a tal fine vengono elaborati nuovi metodi educativi, intesi ad ingentilire l'animo del giovane per arricchire ed affinare la sua individualità. Va ricordato l'illustre maestro Vittorino Rambaldoni da Feltri, che nel 1423 istituisce presso i Gonzaga, a Mantova, la "Ca' zoiosa", per educare i figli del principe, ma aperta a tutti i giovani, ricchi o poveri, che manifestassero buoni costumi e inclinazione agli studi.
Fine della scuola di Vittorino è un'educazione integrale, basata sui principi cristiani e ancora sullo studio del Trivio e del Quadrivio; lo studio è inquadrato in un sistema armonico di vita che alterna esercizi fisici e intellettuali, ed è inquadrato in una disciplina morale adattata al carattere individuale di ciascuno. Diversa è la scuola di Guarino Guarini, tenuta dopo il 1429 a Ferrara presso la corte di Niccolò III d'Este e poi di Lionello. Tale scuola si propone fini più strettamente professionali: formare oratori, eruditi, ecclesiastici ecc; il metodo seguito si svincola da quelli medievali, essendo fondato, anziché sui manuali, sulle opere degli antichi maestri di retorica (Cicerone, Quintiliano).
L'interesse pedagogico emerge da diversi trattati; gli umanisti tengono conto anche delle doti ricevute dalla natura, indipendentemente dalla classe sociale e dal sesso, onde la particolare cura nell'istruzione letteraria delle donne. Prima pero del raggiungimento della perfezione del singolo uomo interessa agli umanisti la sua convivenza nella società: di qui l'impegno civile che caratterizza l'Umanesimo.
Un altro fenomeno che si diffonde in questo momento storico è quello del "Macenatismo", l'inclinazione cioè dei sovrani a circondarsi di letterati, artisti, architetti, a cui venivano commissionate opere di rilievo. Tra i mecenati troviamo Lorenzo il Magnifico, Alfonso e Ferdinando d'Aragona, gli Estensi, i Gonzaga, gli stessi Pontefici. Essi favorirono la nascita di numerose accademie (importanti centri di cultura insieme alle corti) tra cui ricordiamo l'Accademia Platonica fiorentina, a carattere filosofico, fondata nel 1462 da Cosimo de' Medici e resa illustre da Marsilio Ficino; ad essa ed al Ficino (traduttore dei dialoghi di Platone) va il merito di aver fatto di tale filosofo greco il filosofo dell'Umanesimo. Altra accademia, a carattere archeologico, è quella romana di Pomponio Leto (fondata nel 1450) ed infine va menzionata quella napoletana o pontoniana (dal nome del maggior rappresentante) a carattere filosofico e letterario.
Abbiamo già visto come nella sua fase iniziale l'Umanesimo giudichi severamente il latino medievale; esso analogamente si strania dalla lingua viva del popolo, cioè dal volgare, per dar vita ad una letteratura in lingua latina, la sola ad essere ritenuta degna delle persone dotte. Per un quarantennio quindi si assiste ad un regresso rispetto all'intuizione che aveva avuto Dante circa l'avvenire del volgare.
Il sogno di una restaurazione del classicismo romano generò l'avversione dell'idioma toscano, ritenuto consono ad argomenti di poco conto (come versi d'amore e scritture familiari).
Ma il tempo non tardò a fare giustizia e a riportare i dotti ad una più serena valutazione del volgare; ne sono riprova i due dialoghi di Leonardo Bruni, "Ad Petrum Histrum" (cioè al Vergerio), in cui si discusse l'opinione espressa dal Niccoli che Dante poeta da "ciabattini e da fornai" perché aveva scritto in volgare; è ancora dello stesso Bruni una biografia su Dante in cui si afferma il diritto del poeta di servirsi indifferentemente di uno stile "letterato o volgare" perché "ciascuna lingua ha la sua perfezione e suo suono e suo parlato limato e scientifico": del volgare si servì il Bruni stesso in tale opera.
Si aggiunga poi il tentativo di Leon Battista Alberti di istituire in Firenze un'annuale gara poetica in lingua volgare (a somiglianza di quanto accadeva nell'antica Roma) e ci si renderà conto di come ormai volgesse al tramonto, già dopo la prima metà del secolo, il pregiudizio umanistico dell'eccellenza del latino come lingua dotta e di come si giungesse ormai al riconoscimento della validità del volgare ad esprimere anche sentimenti nobili ed elevati.
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