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Boccaccio Giovanni
Firenze 1313 - Certaldo, (FI) 1375
Fu narratore e poeta italiano, uno dei massimi letterati di tutti i tempi e anticipatore delle tendenze umanistiche del Quattrocento.
Figlio illegittimo di un mercante fiorentino, Boccaccio fu allevato a Firenze. Nel 1327 si recò a Napoli con il padre, socio della compagnia dei Bardi, per compiervi gli studi mercantili e fare pratica bancaria. Qui frequentò gli ambienti mondani, partecipando alla vita culturale della città, e ben presto abbandonò la mercatura per dedicarsi alla letteratura.
Nel 1334 compose
Richiamato dal padre a Firenze intorno al 1340, scampò alla terribile peste cominciata nella primavera del 1348, ebbe vari incarichi diplomatici dal governo della città e nel 1350 conobbe Francesco Petrarca, da lui ammirato e ritenuto un vero e proprio maestro. I due scrittori rimasero amici fino alla morte.
Per il Comune della sua città fu ambasciatore presso Ludovico di Baviera nel 1351. Nel 1360 ospitò a Firenze l'amico Leonzio Pilato, insegnante di greco antico, una lingua allora pochissimo conosciuta in Italia. Grazie a lui poté leggere l'Iliade tradotta in latino. Nello stesso anno Innocenzo VI lo autorizzò al sacerdozio. Nel 1362 tornò a Napoli su invito di un amico, ma deluso dall'accoglienza ricevuta, si recò subito a Firenze e, per incarico della città, partì per Avignone come ambasciatore presso papa Urbano V.
All'inizio degli anni Settanta si ritirò nella sua casa di Certaldo, vicino a Firenze, dove visse appartato, dedicandosi quasi esclusivamente allo studio, interrotto da qualche breve viaggio (tra il 1370 e il 1371 fu a Napoli).
Negli ultimi anni della sua vita, Boccaccio
si dedicò alla meditazione religiosa. Un incarico per lui molto importante fu
quello conferitogli nel 1373 dal comune di Firenze: si trattava di leggere
L'opera maggiore di Boccaccio è il Decameron (iniziato nel 1349 e portato a termine nel 1351), raccolta di cento novelle inserite in una cornice narrativa comune che prende le mosse da un tragico fatto storico. Per sfuggire alla peste del 1348, che aveva ucciso il padre e numerosi amici dello scrittore, un gruppo di dieci amici si rifugia in una villa fuori Firenze. Sette donne e tre uomini trascorrono dieci giornate (da cui il titolo dell'opera) intrattenendosi vicendevolmente con una serie di racconti narrati a turno. Un personaggio alla volta è, infatti, eletto re della giornata, con il compito di proporre un argomento che gli altri narratori sono tenuti a rispettare. Fanno eccezione a questo schema obbligato la prima e la nona giornata, in cui l'argomento delle novelle è libero. I personaggi hanno nomi allusivi: Panfilo è l'amante fortunato, Lauretta è la gelosa, Filostrato è l'uomo che soffre pene d'amore, e così via. Gli argomenti sono di carattere diverso: ad esempio, nella seconda giornata si raccontano avventure a lieto fine, nella quarta si tratta degli amori infelici, mentre la quinta è dedicata alla felicità che premia gli amanti dopo che hanno superato particolari difficoltà. I temi non sono solo sentimentali: nella sesta giornata si ragiona di motti spiritosi, nell'ottava di scherzi e beffe.
In questi racconti si alternano numerosissimi personaggi, di svariata estrazione sociale (nobili, 'borghesi', popolani), laici e religiosi, figure di tutte le età. È un vero e proprio universo ispirato alla realtà soprattutto toscana e fiorentina (con episodi ambientati in altri luoghi d'Italia - a Napoli soprattutto - e in paesi lontani), senza limitazioni né di carattere morale, né culturale. Vi sono, infatti, nobili e mascalzoni, amanti ingegnosi e uomini poveri di spirito, donne fedeli beffate e spregiudicate figure femminili, personaggi storici e d'invenzione. Così, le condotte degli eroi sono ispirate sia a ideali elevati sia ad interessi materiali, non ultimo il desiderio sessuale.
Alcuni protagonisti, con le loro storie, sono diventati celebri: basti pensare all'incallito peccatore Ser Ciappelletto e alla sua falsa confessione in punto di morte che lo faranno considerare santo presso i posteri, oppure alle numerose beffe di cui è vittima Calandrino, agli sproloqui di frate Cipolla che sostituisce alla realtà il suo mondo cialtronesco, oppure alla nobiltà d'animo di Federigo degli Alberighi. Questa straordinaria varietà d'ambienti, temi e personaggi non implica, tuttavia, la mancanza di una struttura coerente. Dalla prima alla decima giornata si passa in pratica dal dominio del vizio al trionfo della virtù, naturalmente in modo non meccanico, e con eccezioni che hanno il compito di variare questa successione di stampo morale. Alla base dell'inventiva di Boccaccio ci sono il gusto per il romanzesco (impregnato di realismo), l'attrazione verso la vitalità della giovinezza, l'attenzione critica che porta a superare le apparenze ed una visione disincantata della vita. Ogni giornata termina con una canzone intonata dai personaggi che ballano.
Il Decameron rappresenta il primo e più gran capolavoro in prosa della tradizione letteraria italiana antica, e si distingue per la ricchezza e la varietà degli episodi (che alternano toni solenni e umorismo popolare), per la duttilità della lingua e la sapiente analisi dell'animo umano.
Per questa sua opera Boccaccio attinse a molteplici fonti: i classici greci e latini, il fabliau francese, la letteratura popolare compreso il patrimonio delle fiabe tradizionali, le raccolte di novelle italiane precedenti come il Novellino e le varie traduzioni contaminate delle Mille e una notte. Alla base, però, c'è anzitutto l'acuta osservazione della realtà contemporanea. Il Decameron presenta una nuova idea dell'uomo, non più indirizzato esclusivamente dalla grazia divina ma inteso come artefice del proprio destino, un'idea che anticipa la concezione antropocentrica (l'uomo considerato al centro dell'universo) che sarà elaborata dagli umanisti del Quattrocento. Per questo aspetto ideologico il libro segna un punto di svolta rispetto alle tradizioni letterarie consolidate nel Medioevo.
Altre opere
Se il Decameron inaugura la novella moderna, le altre opere di Boccaccio sono alla base di generi destinati a una lunga vita. Il Filocolo (Fatica d'amore, 1336-38 ca.) è un ampio romanzo in prosa in cinque libri, presto diffusosi in Europa. Ha per protagonisti due personaggi di una leggenda medievale, Florio e Biancifiore, innamorati l'uno dell'altra ma in grado di sposarsi solo dopo innumerevoli vicende avventurose inframmezzate nel testo da divagazioni colte, descrizioni, monologhi sentimentali.
Il Filostrato (Vinto d'amore, 1338 ca.) e il Teseida delle nozze d'Emilia (1340-41) sono poemetti in ottave, forma poetica in cui Boccaccio eccelse, e costituiscono dei modelli di romanzo in versi. Il primo è una narrazione di tipo sentimentale che tiene conto soprattutto d'esempi letterari francesi, in particolare i romanzi del ciclo troiano, ma limitatamente ad un episodio, quello dell'amore del giovane figlio di Priamo, Troiolo, innamorato della vedova greca Criseida, prigioniera a Troia. Il secondo è ispirato ai grandi esempi dell'Eneide di Virgilio e della Tebaide di Stazio, contaminati però con la tradizione cavalleresca romanza, con il ciclo tebano in particolare. Al tema dell'amore, qui per la prima volta secondo l'autore, si affianca quello delle armi.
Si attua così un importante rovesciamento di prospettiva: i sentimenti della protagonista, innamorata di Panfilo, che la tradisce lasciando Firenze alla volta di Napoli, sono posti in primo piano e raffigurati senza mediazioni. Infine, il Ninfale fiesolano (1345-46) è un poemetto idillico dedicato alla fondazione di Firenze, mentre il Corbaccio (1365 ca.) è l'ultima opera d'invenzione di Boccaccio. Il tema dell'amore diventa qui satira contro le donne, forse alimentata da un non corrisposto amore senile dello scrittore.
Della sua produzione fanno parte inoltre un ritratto ideale di Dante (Trattatello in laude di Dante) e un commento della Divina Commedia in forma di raccolta di materiale erudito. Si passa così alla produzione umanistica e culturale di Boccaccio, autore di una serie d'opere erudite, trattati scientifici e componimenti poetici sia in latino sia in volgare, dedicati a temi come le sventure degli uomini illustri, le donne celebri, la genealogia degli dei pagani. Alla composizione delle Rime l'autore lavorò tutta la vita, come testimonia la varietà di influenze che mostrano, dal dolce stil novo colto e raffinato al modello petrarchesco, agli esempi della lirica toscana, passando attraverso l'esperienza di Dante rimatore. Si tratta di una raccolta non organica ricca di personaggi soprattutto femminili.
L'eredità letteraria di Boccaccio fu notevolissima e immediata, non solo in Italia. Qui la sua prosa fu indicata come esempio da imitare per la sua classicità da Pietro Bembo nelle Prose della volgar lingua (1525). Si tratta di un testo che ebbe grandissima influenza sui letterati dell'epoca perché impose questo modello, assieme a quello di Petrarca, per la poesia. Ma la tradizione novellistica italiana è per intero influenzata dal Decameron.
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