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BERNARD de MANDEVILLE E LA "Favola delle api"
"vizi privati, pubbliche virtù"
Bernard de Mandeville, di famiglia francese, nacque in Olanda nel 1670; e, una volta divenuto medico si stabilì a Londra, dove nel 1705 pubblicò, per la prima volta, anonimo, un apologo, dove si narra di come una società di api immorali e viziose fosse però molto florida, e di come la stessa società fosse completamente caduta in rovina, dopo che le api divennero morali e virtuose. L'opera ebbe una seconda riedizione - quella fondamentale - anch'essa anonima, nel 1714, con il titolo La favola delle api o vizi privati, pubblici benefici. Questa seconda edizione venne pubblicata con l'aggiunto di venti Note (Remarks), nelle quali Mandeville sviluppa il significato filosofico dei punti più importanti della favola. L'edizione definitiva è quella del 1732, Mandeville muore un anno dopo, nel 1733 ed è stato uno dei pensatori più letti e discussi del suo secolo.
Ma veniamo ai contenuti della "paradossale" Favola delle api: "un numeroso sciame di api - scrive Mandeville - abitava in un alveare spazioso. Là, in una felice abbondanza, esse vivevano tranquille [.] Mai api vissero sotto un governo più saggio; tuttavia mai ve ne furono di più incostanti e di meno soddisfatte". Il numero di api era enorme, e "milioni di api erano occupate a soddisfare la vanità e le ambizioni di altre api, che erano impiegate unicamente a consumare i prodotti del lavoro delle prime. Malgrado una così grande quantità di operaie, i desideri di queste api non erano soddisfatti. Tante operaie e tanto lavoro potevano a malapena mantenere il lusso della metà della popolazione". Ma le diversità, o meglio le disuguaglianze non terminano affatto qui: "Alcuni, con grandi capitali e pochi affanni, facevano dei guadagni molto considerevoli. Altri, condannati a maneggiare la falce e la vanga, non potevano guadagnarsi la vita se non con il sudore della fronte e consumando le loro forze nei misteri più penosi. [.] Si vedevano poi altri applicarsi a dei lavori del tutto misteriosi, tali erano i giocatori, i falsari, i maghi, i preti, i ladri, e in genere tutti coloro che, odiando la luce, sfruttavano con pratiche losche a loro vantaggio il lavoro dei loro vicini". E tutti coloro che "esercitavano qualche impiego o che ricoprivano qualche carica, avevano qualche sorta di furfanteria che era loro propria". Da parte loro "i medici preferivano la reputazione alla scienza e le ricchezze alla guarigione dei loro malati. [.] Non preoccupandosi della salute dei pazienti, essi lavoravano soltanto per acquistarsi il favore dei farmacisti, e per conquistarsi le lodi delle levatrici, dei preti e di tutti coloro che vivevano dei proventi tratti delle nascite o dai funerali". I preti ,poi, erano per la maggior parte "tanto presuntuosi quanto ignoranti ed erano visibili la loro pigrizia, la loro avarizia e la loro vanità, malgrado la cura che essi si prendevano per nascondere agli occhi del pubblico questi difetti". ma i vizi dei privati, in questa società delle api, andava ben oltre: "I soldati che in battaglia erano stati messi in fuga venivano ugualmente coperti di onori. Vi erano pure dei guerrieri che affrontavano il pericolo comparendo sempre nei punti più esposti. Prima perdevano una gamba, quindi un braccio, infine, quando tutte queste mutilazioni li avevano resi non più in grado di combattere, li si congedava vergognosamente a mezza paga, mentre altri, che più prudentemente non andavano mai all'attacco , ricevevano la doppia paga ed erano ricoperti di onori". I ministri ingannavano i loro re e la giustizia si faceva corrompere a suon di doni " e la spada che essa portava non colpiva se non le api povere e senza risorse".
Ora, però, Mandeville dice che pur "essendo così ogni ceto pieno di vizi, la nazione di per sé godeva di una felice prosperità". I vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica. Da quando "la virtù, istruita dalle malizie politiche, aveva appreso i mille felici raggiri dell'astuzia, e da quando si era legata all'amicizia del vizio, anche i più scellerati facevano qualcosa per il bene comune". In realtà commenta Mandeville, "l'armonia in un concerto risulta da una combinazione di suoni che sono direttamente opposti. Così i membri di quella società, seguendo delle strade assolutamente contrarie, si aiutavano quasi loro malgrado. [.] Il lusso fastoso occupava milioni di poveri. La vanità, questa passione tanto detestata, dava occupazione a un numero ancora maggiore. La stessa invidia e l'amor proprio, ministri dell'industria, facevano fiorire le arti e il commercio. Sempre incostante questo popolo cambiava le leggi con le mode". Tuttavia con l'alterare anche le loro antiche leggi e col correggerle, le api prevenivano degli errori che nessuna accortezza avrebbe potuto prevedere. In tal modo poiché il vizio produceva l'astuzia, e l'astuzia si prodigava nell'industria, si vide a poco a poco l'alveare abbondare di tutte le comodità della vita. I piaceri reali, le dolcezze della vita, le comodità e il riposo erano divenuti dei beni così comuni che anche i poveri stessi vivevano allora più piacevolmente di come vivessero prima. "Non si sarebbe potuto aggiungere nulla al benessere di questa società".
"Mah, ahimè, è proprio vero che la felicità non è dei mortali!".
Difatti, non appena le api ebbero gustato le primizie del benessere, un gruppo di esse cominciò a maledire le politiche, gli eserciti e le flotte. Queste api riunirono le loro lamentele e ovunque diffusero le loro idee. E si arrivò fino al punto che un commerciante gridasse con la più grande imprudenza: "buon Dio, dateci soltanto la probità!". E così Giove, indignato, giurò che la società delle api sarebbe stata liberata dal vizio e dalla frode di cui si lamentava e disse: "da questo istante l'onestà si impadronirà di tutti i loro cuori". Detto, fatto. "[.] quale costernazione! Qual improvviso cambiamento! In meno di mezzora ciascuno, dal primo ministro fino ai contadini, si strappò la maschera d'ipocrisia che lo ricopriva". E così accadde che da quel momento il tribunale fu spopolato, i debitori saldarono di propria iniziativa i loro debiti, senza omettere neppure quelli che il creditore aveva dimenticato. Nessuno poteva accumulare ricchezze, la virtù e l'onestà regnavano nell'alveare. In questo modo però gli avvocati restarono immediatamente disoccupati, si svuotarono le prigioni e un esercito di impiegati nei vari mestieri divenne improvvisamente inutile. I medici abbandonarono il lusso e si misero a fare davvero il loro mestiere. Gli ecclesiastici si fecero più caritatevoli, e ubbidirono al pontefice che si occupò soltanto di affari religiosi. Tutti coloro che non si sentirono all'altezza di compiere questi doveri si dimisero, e così il loro numero diminuì intensamente. E non basta. Essendo ormai le api tutte oneste e senza ambizioni "il prezzo dei poderi e degli edifici crollò, i palazzi incantevoli i cui muri erano stati elevati con armonia musicale, divennero deserti; l'architettura fu del tutto abbandonata e gli artigiani si trovarono senza lavoro, i pittori non diventavano più celebri con le loro pitture e la scultura, l'iscrizione a la statuaria non furono più rinomate nell'alveare". La conseguenza di tutto ciò fu che le poche api che restarono, vivevano miseramente. L'esito finale fu che l'alveare andò pressoché deserto e le api non si potevano difendere contro gli attacchi dei loro nemici, cento volte più numerosi. Si difesero con coraggio,a questo costò tuttavia molto.parecchie migliaia di queste valorose api perirono e il resto dello sciame, che si era indurito nella fatica e nel lavoro, credette che l'agio e il riposo fossero un vizio. Volendo, dunque, garantirsi una volta per sempre da ogni ricaduta, tutte queste api si rifugiarono nel cupo cavo di un albero, dove a loro non restava altro, della loro antica felicità, che la contentatura dell'onestà.
La morale della favola, come spiega Mandeville nella Nota X, è che se una nazione vuole essere virtuosa, sarà allora necessario che gli individui si accontentino di essere poveri e induriti dal lavoro. Infatti, se essi volessero vivere a loro agio, godere dei piaceri della vita e formare una nazione potente, florida e guerresca, la cosa sarebbe assolutamente impossibile.
Secondo Mandeville come primo principio è dovere di tutti gli individui della società, grandi e piccoli, di essere persone per bene, la virtù deve essere costantemente incoraggiata e il vizio deve essere vietato. Ma, fa presente Mandeville, la natura umana è rimasta sempre la stessa a partire da Adamo fino ai giorni nostri. Indipendente dai tempi, gli ambienti e dalla religione, le forze e le debolezze dell'uomo di sono sempre mostrate e così crede semplicemente che sia impossibile che alcuna società si arricchisca e si conservi per un periodo considerevole senza i vizi degli uomini.
In tal modo, nella visione proposta da Mandeville, i valori vengono capovolti; è il vizio che diventa positivo e la virtù si fa negativa.
Cos'è il vizio? Il vizio, risponde Mandeville, è ogni atto che l'uomo compie per soddisfare un appetito. Cos'è la virtù? La virtù è ogni azione contraria all'impulso naturale, che freni le proprie passioni.
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