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Parlare di poetica a proposito di un'arte che poggia essenzialmente sul mito della libertà soggettiva potrebbe sembrare contraddittorio; eppure, anche il Romanticismo ebbe una sua poetica: se ai nuovi poeti era concesso tutto, questo tutto aveva delle caratteristiche comuni, un mondo comune, una forma comune.
Primo ed essenziale elemento costitutivo, come già si è visto, è la riconquista della soggettività. Essa si manifesta attraverso temi costanti e caratteristici, comuni a tutta la letteratura di questo periodo: inquietudine, disinganno, solitudine; gusto della morte, delle rovine, delle tombe rischiarate dalla luna, di paesaggi desolati; ricerca inesausta di una irraggiungibile felicità e compiacenza dei propri mali, talora spinta all'esasperazione del suicidio (Werther e Jacopo Ortis); disperazione, o letteraria, o realmente vissuta, che contrassegna la fine prematura di una corte di giovani poeti (Byron, Keats, Shelley e altri).
La soggettività romantica potrebbe assumere l'aspetto di una rottura definitiva tra 1'Io ed il reale, tra il poeta ed il mondo nel quale si trova a vivere.
Mentre la poesia umanistica si era limitata a descrivere l'universo, la poesia romantica, mossa da un irresistibile slancio verso l'infinito, si « tuffa », per usare un'espressione russoviana, nell'universo, e trae fonte di ispirazione, o dalla consapevole incapacità di penetrarlo e dominarlo (senso del mistero), o dal conflitto che si stabilisce tra l'uomo e la Natura indifferente ed ostile, o dal violento contrasto tra l'individuo e la società a lui estranea e nemica.
Da tale contrasto tra individuo e realtà traggono origine alcuni aspetti fondamentali:del Romanticismo:
il titanismo, quando l'eroe idoleggiato, combattendo disperatamente fino all'estremo delle sue forze, si erge con osti nata pervicacia contro tutti e contro tutto, a volte anche contro Dio, e trasforma l'ineluttabilità della sua sconfitta in orgogliosa esaltazione di se stesso e del proprio ardimento (Leopardi);
il vittimismo, che si riduce ad un patetico « crogiolarsi » nel proprio dolore o ad una appassionata « voluttà » di sofferenza, e per 1'instabile natura del soggetto sfocia, ora in estreme aberrazioni spirituali, ora in fluido sentimentalismo;
l'esotismo, il quale non è altro che indefinita aspirazione della fantasia a trasferirsi, o nell'irreale regno della fiaba (fratelli Grimm), od in suggestivi paesi lontani, in seno ad una natura vergine e lussureggiante, che permette all'uomo di tornare ad essere padrone di se stesso e divenire parte integrante del mondo che lo circonda.
A quest'ultimo vagheggiamento di una realtà diversa da quella presente, si ricollega, in parte, il culto delle origini, della poesia popolare , e nazionale, del folklore, delle leggende ed epopee primitive.
Esso è la diretta conseguenza, sia del radicale mutamento di gusto, per cui a Virgilio si preferisce Omero, a Petrarca si preferisce Dante, al teatro francese del Seicento si preferiscono Shakespeare ed i drammaturghi spagnoli; sia del nuovo modo di intendere la poesia come pura e spontanea espressione dello spirito, al di fuori di ogni forma e contenuto convenzionali.
Ai poeti romantici parve quasi un miraggio il potersi avvicinare all'anima del popolo, ricca di sentimento e di fantasia, l'unica, secondo loro, capace di accogliere tutte le passioni umane senza mortificarle, e di estrinsecarle con assoluta sincerità d'animo e semplicità di linguaggio. Un primo sintomo dell'adesione incondizionata dei romantici ad un tal genere di poesia lo si ebbe verso la fine del Settecento con l'entusiastico accoglimento della poesia ossianica e bardica, nonostante la mistificazione letteraria operata su di essa dal Macpherson; in seguito, e per tutto l'Ottocento, fiorisce una vera,e propria « scienza delle tradizioni », che promuove ricerche ed indagini intorno agli scrittori medievali, che procede a vaste raccolte di leggende, narrazioni epiche, saghe, cantari di quel lontano periodo (notevoli, a questo riguardo, i risultati raggiunti dai fratelli Grimm in Germania, dal Fauriel in Francia, dal Tommaseo in Italia), che stabilisce essere vera poesia solo quella popolare, e che al popolo si riferisce, interpretandone i sentimenti, rispecchiandone le credenze, esaltandone le native e primigenie virtù morali.
Duplice è la conseguenza di questo nuovo sentimento ammirativo per l'arte popolare: la, rinascita di una finalità dell'arte, che non intacca il principio della sua autonomia, ma lo rafforza accogliendo temi che possano interessare una cerchia sempre più vasta di lettori e convogliando nelle opere in prosa (romanzo psicologico, dramma borghese, novella, sentimentale) l'operoso senso della vita, e la rivalutazione dei dialetti, autentica ed immediata espressione linguistica del popolo a fronte di quella accademica e stilisticamente riflessa dei dotti: felice testimonianza di questa rivalutazione è la presenza, nella letteratura del primo Ottocento, di inconfondibili personalità poetiche, come quelle del milanese Carlo Porta e del romano Gioacchino Belli.
Si ritorna con ciò alla premessa iniziale: nonostante le infinite contraddizioni ed intemperanze di cui ci sarà dato parlare, il Romanticismo fu un fecondo e vasto movimento spirituale che investì e rinnovò profondamente l'arte, la cultura, la filosofia, l'estetica, la vita morale e politica di tutte le nazioni europee. Una sua inesatta comprensione e valutazione equivale alla totale o parziale incomprensione e valutazione della letteratura, del secolo XIX, ed in parte del secolo XX.
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