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ARTEMIDE
ARTEMIDE Come Afrodite, anche Artemide sembra essere di origine asiatica. Ad ogni modo, il suo nome non è di origine greca. L'immagine plurimammelluta dell'Afrodite di Efeso fa pensare che fosse collegata ai riti della fertilità. Anche talune leggende come quella di Endimione o di Callisto che deviano dall'ambito della più perfetta verginità della dea, fanno trasparire la sua figura originaria. A differenza di Afrodite, trattasi però soltanto di ipotesi senza documentazione. Ci dobbiamo dunque attenere all'immagine classica di Artemide, che ce la mostra come incarnazione della natura.
Se diciamo natura, dobbiamo però abbandonare le idee o romantiche o ipocrite (tipo villette residenziali pluriservizi a contatto con l'incontaminata natura) e rifarci al concetto della natura proprio all'uomo antico: valli solitarie, alture remote, una miriade di vite che germogliano, crescono, si agitano, cantano, stormiscono, ruggiscono, si cercano, si distruggono, si generano. Un'immagine della natura dunque che nello spettatore suscita sbigottimento, inquietudine, un senso di estraneità e di mistero. Ecco Artemide. La sua essenza divina non agisce sulla coscienza dell'uomo, ma intrinseca nella purezza della natura immacolata.
Ovviamente, la natura ha anche un altro aspetto, terribile, demoniaco, distruttore e generatore; ma questo aspetto viene incorporato da altre divinità, non da Artemide. Ella è la natura estiva, vibrante di luce. Non per nulla si diceva che Artemide assieme al fratello Apollo, con l'avvento dell'autunno emigrasse nel paese degli Iperborei per far ritorno all'estate successiva.
Come Apollo, anche Artemide è lontananza e purezza, tuttavia con la differenza dovuta al sesso. Mentre in Apollo il distacco e la purezza sono la conseguenza di un virile atto di volontà ragionata, per Artemide si tratta di ideali del l'esistenza fisica, dell'essere donna. Artemide incarna la natura; ora la natura o è incontaminata o non è più natura (un prato, dopo il bivacco di gitanti domenicali, difficilmente può pretendere di essere ancora natura). Era quindi più che logico che si pensasse Artemide vergine. Dice l'Inno omerico ad Afrodite:
Artemide pure, la rumorosa dea dal fuso d'oro, mai cedette all'amore d'Afrodite, dal dolce sorriso.
Come la natura, Artemide è ritrosa. Atteone, che osò spiarla al bagno, venne sbranato dai propri cani. La selva sconfinata è il suo regno. Va cacciando per monti e boschi, seguita dalle sue deliziose compagne, le Ninfe, con le quali intreccia danze sui prati fioriti. Omero (Odissea, VI), la descrive così:
Come Diana per gli eccelsi monti o del Taigeto muove o d'Erimanto, con la faretra agli omeri, prendendo de' ratti cervi e de' cinghial diletto: scherzan, prole di Giove, e a lei d'intorno le boscherecce ninfe, onde a Latona serpe nel cor tacita gioia; ed ella va del capo sovrana e della Ironte visibilmente a tutte l'altre, e vaga tra lor è più qual da lei meno è vinta.
Essendo dea della natura, Artemide è particolarmente vicina agli animali, sia come 'colei che li cura, sia anche come colei che li caccia. ' Aspra agitatrice di belve ', la chiama Omero. Viene spesso raffigurata con dei leoni. Ma anche l'orso gode delle sue simpatie. Altro animale, sovente in rapporto con Artemide, è il cervo. Sostituisce Ifigenia, che le doveva essere sacrificata, con una cerbiatta. Strabone riferisce che nella terra degli Eneti (Venetí) presso il fiume Timavo si trovava un bosco sacro alla dea, dove cervi e lupi convivevano in pace e si lasciavano accarezzare dagli uomini.
L'iconografia di Artemide la rappresenta di solito in abito di cacciatrice, armata di arco e faretra, il capo ornato - ma non sempre della falce lunare. Spesso è accompagnata da un levriero o da un cervo.
Il più famoso santuario di Artemide si trovava a Efeso; secondo i contemporanei era considerato il più splendido del mondo. Altri famosi templi della dea sorgevano a Delfo e Siracusa (Ortigia).
Oltre che con gli appellativi, già citati nel testo, Artemide era nota anche sotto il nome di Cinzia (come Apollo sotto quello di Cinzio) dal nome del monte sull'isola di Delo, dove entrambi sarebbero nati
Artemide (gr. Ártemis; lat. Diana)
Origine ed etimo
Figlia di Zeus
e di Latona, sorella gemella di Apollo,
divinità olimpica, dea vergine della caccia e del tiro con l'arco, della
natura, della fecondità, protettrice degli animali. Platone
(nel Cratilo) faceva derivare il suo nome da artemés, «integro»;
i moderni lo ricollegano piuttosto ad ártamos («uccisore») o ad árktos
(«orso»): Artemide infatti era detta 'signora degli animali' (pótnia
therôn), di quelli selvaggi in particolare. Le origini della figura di
Artemide e del suo culto sono vaghe e oscure. Nel XV secolo a.C. a Creta sono
documentate raffigurazioni di una divinità dei boschi e delle montagne,
accompagnata da leoni; in Eolia si onorava una dea Enodia che aveva
caratteristiche simili ad Artemide.
Caratteri e culto
Viene raffigurata spesso armata di arco e frecce (in quanto
forte e coraggiosa guerriera, era venerata insieme ad Ares
dalle Amazzoni) o con una fiaccola, vestita di un chitone che le arriva alle
ginocchia e spesso assimilata a Selène (
Mito
La tradizione mitica e gli autori antichi presentano spesso
Artemide quale dea spietata, irosa e vendicativa: tra le sue imprese più note
si ricordano l'uccisione delle figlie di Nìobe, del gigante Tizio (che aveva
tentato di violentarne la madre), dei cacciatori Atteòne (colpevole di averla
osservata nuda mentre si bagnava e per questo trasformato in cervo e fatto
dilaniare dai suoi stessi cani) e Orione (punto da uno scorpione), nonché la
trasformazione in orsa di Callisto, una delle sue Ninfe, perché resa gravida da
Zeus contro la sua volontà. Causò inoltre la devastazione, a opera di un enorme
cinghiale, delle terre del re di Calidòne che l'aveva dimenticata nei
ringraziamenti per il raccolto, mentre per punire di averla dimenticata nelle
preghiere decretò la morte di Admèto.
Arte, letteratura e musica
Sono a lei dedicati un Inno omerico (cfr. Omero)
e uno di Callimaco;
più tardi un componimento di Catullo (34). La dea inoltre riveste un ruolo di
primo piano nelle tragedie euripidee Ippolito, Ifigenia in Aulide e
Ifigenia in Tauride. Cospicua la sua presenza anche nella letteratura
dei periodi successivi: nel Medioevo Artemide sopravvive nella cultura popolare
quale guida demoniaca delle streghe; in Dante e nella letteratura umanistica
come simbolo della Castità, personificazione della verginità, della libertà nonché
- in tempi recenti, per esempio nel romanzo Diana of the Crossways di G.
Meredith (1885) - anche dell'emancipazione femminile. Numerosissime le pitture
e le sculture in cui la dea è rappresentata come giovane cacciatrice, o mentre
esce dal bagno e contrapposta, in quanto figura della Castità, ad Afrodite,
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