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APPARATO FONATORIO
L'apparato
fonatorio è l'insieme delle strutture anatomiche che l'uomo utilizza per
parlare.
Si noti che esso è formato principalmente da organi che svolgono principalmente
altre funzioni, come quelle digerenti e
respiratorie. Tali organi possono essere mobili o fissi. Sono organi mobili le
labbra, la mandibola, la lingua e le pliche vocali (corde vocali):
variando la posizione di questi ultimi, il parlante modifica il flusso dell'aria polmonare. Sono invece organi
fissi i denti, gli alveoli, il palato duro e il palato molle (velo
palatino). A questi si devono aggiungere gli organi da cui viene l'aria espiratoria, cioè i polmoni, la laringe e la faringe, e il naso, che partecipa alla produzione di suoni nasali. Nei neonati, la laringe è posta diversamente rispetto agli
adulti poiché lo scopo primario è quello di favorire la nutrizione senza avere
occlusioni e quindi soffocamento, lo stesso tipo di posizione, e cioè all'attacco della trachea, lo ritroviamo nelle scimmie e nei gatti. Dopo
un circa 3 - 4 mesi la laringe cala e assume più o meno la posizione che avrà
nell'età adulta. Procedendo verso l'uscita dell'aria quindi l'aria prodotta dai
polmoni trova la laringe poi la faringe (retrobocca) .Nella faringe sono
convogliate le cave nasali che collegano il naso con la laringe stessa, difatti possiamo respirare anche dal
naso, qui troviamo un altro meccanismo
che evita il soffocamento, che avviene
tramite il velopendulo o ugola, che
arretra e chiude le cavità nasali al momento della deglutizione, quando non viene chiuso il passaggio l'aria
passa anche dal naso e crea suoni.
Diversi tipi di suoni
Proprio perché l'aria passa in diversi modi crea suoni diversi (viene trasformata in voce attraverso movimenti volontari dell'apparato di fonazione). I suoni si distinguono principalmente in sordi e sonori. Un suono è sonoro quando, al passaggio dell'aria, si attivano le corde vocali conferendo al suono stesso una caratteristica di periodicità, vale a dire che l'onda sonora che ne fuoriesce sarà armonica. Viceversa, un suono è sordo quando l'aria attraversa le corde vocali senza che esse entrino in funzione. I foni si producono quando si portano in contatto due organi mobili, o un organo mobile che si accosta a uno fisso. Essi si dividono in vocali o vocoidi e consonanti o contoidi. Le vocali sono sempre sonore, e nella loro produzione non interviene alcun ulteriore ostacolo all'interno della bocca: l'aria che produce una vocale, quindi, fa sì vibrare le corde vocali, ma non viene poi fermata dagli organi mobili; le particolari configurazioni delle vocali sono date solo dall'altezza che la lingua assume nel canale orale, e dalla posizione delle labbra. Le consonanti possono essere sia sorde che sonore; il meccanismo che le produce si basa sull'opposizione di un ostacolo che costringe l'aria a forzarlo, dando luogo così al particolare fono consonantico.
Diversi tipi di suoni: vocali
Le vocali sono quei foni che si articolano mediante la vibrazione delle corde vocali al passaggio dell'aria espirata. La loro particolare configurazione è data dalla diversa posizione della lingua all'interno della bocca, cioè dall'altezza, che può essere alta, medio-alta, medio-bassa o bassa, producendo le rispettive vocali; e dall'anteriorità: una vocale sarà anteriore (o palatale), centrale e posteriore (o velare) a seconda del punto del palato cui la lingua si avvicina. Si distinguono poi vocali labializzate o arrotondate e vocali non-labializzate o non-arrotondate a seconda della posizione delle labbra, cioè se queste sono protese in avanti (arrotondate) o distese. Infine, a ogni vocale così prodotta (che prende il nome di orale) può corrispondere anche una vocale nasale, quando cioè il velo palatino si abbassa in parte, permettendo il defluire dell'aria anche dal naso: la nasalità è data appunto dalla risonanza dell'aria nelle fosse nasali. La vocale di massima apertura è la "A" e
quelle di massima chiusura sono la "I" e la "U", vocali medie sono la "E" e la "O".
I U
PALATALI (schwa) VELARI
E ə O
A
Diversi tipi di suoni: consonanti
Le consonanti sono quei foni nei quali l'aria è costretta e ostacolata nel suo passaggio nel canale orale, producendo un determinato suono. Perché si tratti di una consonante è necessario che il suono sia ottenuto mediante un restringimento degli organi della fonazione almeno uguale a quello necessario per eseguire una fricativa. In base all'ostacolo che l'aria incontra, le consonanti si distinguono per modo di articolazione; in base agli organi che determinano tale ostacolo, le consonanti si distinguono per luogo di articolazione. Inoltre una consonante può essere sia sonora sia non sonora (detta anche sorda), a seconda che le corde vocali si attivino (vibrino) o no al passaggio dell'aria. Si distinguono in orali, quando l'aria passa per la bocca, nasali quando l'aria passa per il naso, laringali, quando la chiusura avviene a livello della laringe, è occlusiva o momentanea quando viene generata mediante il blocco completo del flusso d'aria a livello della bocca, della faringe o della glottide, e il rilascio rapido di questo blocco. E' Velare quando viene articolata accostando il dorso della lingua al velo del palato, in modo che l'aria, costretta dall'ostacolo, produca un rumore nella sua fuoriuscita. Viene denominata fricativa se il fono viene prodotto mediante un restringimento tra alcuni organi nella cavità orale, che si avvicinano senza tuttavia chiudersi completamente come nelle occlusive: l'aria continua a fuoriuscire, passando attraverso la stretta fessura formatasi e provocando in tal modo un rumore di frizione (soffio dentale), è una consonante continua, nel senso che può essere prolungabile a piacere, a differenza per esempio delle consonanti occlusive. L'articolazione che permette di produrre suoni è cosciente ma non automatica e permette così i tradurre i suoni. Le fricative sono numerose per il semplice motivo che per produrle si impiega un sforzo minore dato che, il parlante vuole produrre più suoni con meno fatica ed il ricevente vuole ricevere il messaggio limitando gli sforzi, permetto di produrre una pronunzia meno tesa e in corrispondenza delle occlusive di solito si trova una fricativa. Consonanti quali la "v" e la "f" vengono dette labiodentali in quanto i denti superiori si appoggiano sul labbro inferiore, vengono definite invece labiovelari quando l'articolazione velare è accompagnata dalla protrusione delle labbra: come nella pronunzia delle parole questo, guanto. Abbiamo inoltre le consonanti affricate che sono suoni doppi che si realizzano con una chiusura ad un certo punto della bocca che si apre poi nel medesimo luogo di articolazione, pronunciando una fricativa come la nelle parole ciondolo o giallo (affricate palatali) o nella pronunzia delle parole zio, o zona (affricate dentali). L'apparato di fonazione umano permette la realizzazione di moltissimi suoni diversi (Vedi tabella dell'Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA).
Coscienza linguistica
Il parlante (sia esso chi formula o chi ascolta il messaggio orale) non subisce passivamente la lingua, ma analizza continuamente il flusso sonoro al fine di riconoscere le parole che lo costituiscono e interpretarne il significato. Questa analisi inizia nel momento in cui il parlante si inserisce o viene inserito in un determinato contesto linguistico, e varia al variare del "sistema linguistico" o "sistema di segni linguistici" (termini coniati da Ferdinand de Saussure) condiviso con gli altri parlanti.
Segno linguistico e parola
Il segno linguistico è un'unità che combina tra loro un concetto e un'immagine acustica (il ricordo di una sequenza di suoni). Concetti e immagini acustiche sono inscindibili, l'uno non può essere senza l'altro. Possiamo generalmente identificare i segni linguistici con le parole, anche se ciò non risulta sempre vero. Una parola è un segno linguistico, ma non necessariamente viceversa.
Nell'affermare che un parlante condivide il sistema linguistico con la propria comunità, intendiamo che egli riesce a riconoscere e identificare all'interno della comunicazione le parole: la parola costituisce quindi l'unità linguistica universale. È proprio il riconoscimento di queste che implica la comprensione di una lingua.
I parlanti elaborano continuamente la lingua, sia nella produzione, sia nella ricezione. Le lingue presentano spesso elementi finalizzati proprio alla facilitazione di questo processo. Ne elenchiamo alcuni qui di seguito.
L'ACCENTO
L'accento precisa la realizzazione fonetica di una parola e consente di distinguere fra quelle con fonemi uguali. Ogni parola ne possiede uno, caso a parte per le enclitiche (parole che si appoggiano all'accento della parola precedente, es. il latino populusque) e per le proclitiche (parole che si appoggiano all'accento della parola successiva, ad es. gli articoli).
L'accento può essere assimilato agli spazi bianchi dello scritto ai fini dell'individuazione delle parole. Si parla a questo proposito di funzione culminativa, che riguarda cioè la possibilità di enumerazione delle unità, in quanto permette di numerare le parole all'interno di una frase.
IL TONO
Alcune lingue (ad esempio il Cinese), dette per l'appunto "lingue a toni", si servono di questi ultimi per differenziare alcune parole.
COSTRIZIONI FONOTATTICHE
Si tratta di obblighi nella disposizione dei suoni: in diverse lingue, ad esempio, non è permesso l'inizio di una parola con determinate consonanti, in particolare delle consonanti occlusive nell'indiano Tamil.
COSTRIZIONI TONOTATTICHE
Esistono lingue che dettano obblighi di posizione dell'accento. Si parla in questo caso di funzione delimitativa, che riguarda cioè quei tratti fonologici che segnalano i confini tra parole (es. in francese tutte le parole sono accentate sull'ultima sillaba, permettendo così di decifrare la fine di una parola e l'inizio di quella successiva).
AUTOMATISMO
Ancora, alcune lingue sottolineano l'inizio o la fine della parola accentuando la modulazione della voce rispettivamente sulla prima o l'ultima sillaba, come nel caso del Giapponese. A queste, tuttavia, non si impongono costrizioni nell'uso dell'accento (il Giapponese è una lingua isotonica, non possiede cioè costrizioni tonotattiche).
ARMONIA VOCALICA
In diverse lingue agglutinanti (finlandese, turco ed altre ancora) si constata un ulteriore espediente: l'utilizzo, in ciascuna parola, di vocali dello stesso tipo, solo palatali (anteriori) o solo velari (posteriori). Le singole parole in questo modo si armonizzano al loro interno, e i confini che le dividono diventano così più marcati e più facilmente riconoscibili.
Es.: le vocali finlandesi possono essere suddivise in tre gruppi:
. vocali anteriori: ä ö y
. vocali posteriori: a o u
. vocali neutrali: e i
La regola dell'armonia vocalica prevede che in una
stessa parola possano esserci o solo vocali anteriori o solo vocali posteriori.
Le vocali neutrali e ed i non sottostanno a questa regola,
pertanto possono comparire sia in presenza di vocali anteriori che posteriori.
A tale regola sottostanno le desinenze, i suffissi e le particelle, con la
conseguenza che, quando contengono a, o, u, hanno sempre
una forma parallela con le corrispondenti vocali anteriori ä, ö, y:
suffissi:-ja / -jä, -tar / -tär, -ton / -tön, - sto / -stö, -tta- / -ttä, ecc. |
matkustaja |
kävelijä |
jumalatar |
ystävätär |
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avuton |
syytön |
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saaristo |
säännöstö |
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erottaa |
herättää |
Anaslisi linguistica e linguaggio "articolato"
I parlanti, non si limitano allo scindere i discorsi in singole parole, ma analizzano costantemente, e in maniera attiva, la propria lingua. Analizzare una lingua, secondo la definizione di Saussure, consiste nel riconoscerne le parti. A questo proposito il linguista svizzero definisce la lingua "articolata" (dal latino articulus -> piccolo pezzo; dunque "fatta di parti"). La più importante di queste "parti" è, per l'appunto, la parola.
Analisi linguistica e analogia
Nell'analizzarla, al passare del tempo, i parlanti mutano la lingua attraverso processi per lo più razionali e di semplificazione. Si dice analogia la tendenza a regolarizzare una lingua.
Ne possono essere un chiaro esempio i processi di assimilazione di alcune parole ad altre che condividono una "forma" più diffusa. Chiariamo con un esempio: il termine latino sumus sembra cambiare radicalmente la sua forma nel corrispondente italiano "siamo". La "u" si trasforma in "ia"; la stessa cosa non si può dire di termini come lupus, che conservano la stessa radice (lupo).
"Siamo" non è nient'altro che un esempio di forma analogica, ovvero basata sul modello di altre forme maggioritarie prese ad esempio per uniformare e regolarizzare la lingua (veniamo, torniamo, mangiamo, .) alle quali è stato deciso di assimilarla.
Analisi linguistica e risegmentazione morfologica
La risegmentazione è un fenomeno analogo. Oltre il flusso sonoro, nell'analisi i parlanti segmentano anche le parole. La parola hamburger, ad esempio, ha origini tedesche, e, segmentata in hamburg-er, significa letteralmente abitante di Amburgo, e veniva utilizzata per significare sinteticamente "polpetta tipica della città di Amburgo". Con la diffusione del prodotto al di fuori dei confini tedeschi, e l'inevitabile contatto con la lingua inglese, la parola è stata segmentata diversamente: ham-burger, impropriamente tradotta come "polpetta di prosciutto". Come sappiamo, gli hamburger non contengono tuttavia prosciutto, né la parola burger è in qualche modo assimilabile a "polpetta". Essa è stata tuttavia evidentemente rimotivata, tanto da fungere da suffisso per altri composti quali cheese-burger e via dicendo.
Analisi linguistica e etimologia popolare
Quella della risegmentazione è una tendenza che riguarda soprattutto l'incontro con il lessico straniero. Qualcosa di molto simile successe infatti nel sud della Spagna, dove un promontorio fu soprannominato Gebel Tariq in onore di un generale arabo a seguito di un'invasione da lui guidata.
Tuttavia, per gli spagnoli quel nome non aveva nessun particolare significato, e, per il fenomeno della cosiddetta etimologia popolare, Tariq fu assimilato a "terra", da cui il nome di Gibilterra.D'altronde, il monte Gebel, in Sicilia, con quest'accezione non significa altro che "monte monte", inizialmente indicato solo come gebel dagli arabi, appunto.
Il fenomeno dell'etimologia popolare è un fenomeno universale. Il latino periculum ha mutato il suo significato originario di "prova, esperimento" in quello di "pericolo, rischio", che si perpetua in tutte le lingue romanze, per influsso del latino perire (andare in rovina, perire); rispetto all'italiano vagabondo e al francese vagabond, lo spagnolo e il portoghese hanno vagamundo perché la parola è stata reinterpretata, per etimologia popolare, come vaga-mundo, cioè "giramondo".
Il termine olandese stokvis indicante il pesce (vis) messo a seccare sulla legna (stok) è entrato in italiano modificandosi in 'stoccafisso' e acquisendo con quel '-fisso' un'altra idea: quella dellacaratteristica rigidità del cibo messo a seccare.
Ancora un esempio: Il Mar Nero si chiamava in greco [póntos eúxeinos] (eú- 'buono', xeinos 'ospitale') quindi 'che è ben disposto nei confronti dell'ospite'. Ma già alcuni personaggi della letteratura greca, come Pindaro ed Euripide, sapevano trattarsi, all'epoca, di una neoformazione abbastanza recente, e che prima il termine era [póntos áxeinos] (á- 'non', xeinos 'ospitale') quindi "mare inospitale". Questo nome, attraverso varie vicende, era giunto ai greci dai persiani, presso i quali axshaina voleva dire 'nero'. Essi tuttavia interpretarono il termine come áxeinos cioè 'inospitale' e, sicuramente per scaramanzia, lo mutarono in eúxeinos cioè 'ospitale' .
L'analisi linguistica manifestata dalla SCRITTURA
La parola è stata da sempre riconosciuta come l'unità linguistica, tanto che i segni di scrittura più antichi mai ritrovati sono proprio quelli che indicano le parole (logogramma). La tavoletta di Uruk (città sumera della Mesopotamia) ne mostra un chiaro esempio. La simbologia è divisa in caselle, al fine di separare i singoli segni linguistici, ognuno dei quali rappresenterebbe, per l'appunto, una parola.
a) Parole e concetti
Menzione a parte meritano gli ideogrammi, segni grafici indici di concetti universali, validi indipendentemente dalle lingue (i logogrammi, invece, significano ognuno un preciso termine di una determinata lingua).
Molto spesso oggi sigle particolarmente diffuse (DNA, UNO, .) sono diventati veri e propri ideogrammi, riconosciuti al di là delle diverse lingue.
Sigle come ONU, invece, (chiara italianizzazione di UNO) costituiscono esempio di logogramma.
b) sillabe
La sillaba è un'unità sintagmatica, costituita da una vocale, ed eventualmente da una o più consonanti che la precedono, seguono, o entrambe le cose. Se la sillaba termina per consonante si definisce chiusa, viceversa aperta. La sillaba, come la parola, è anch'essa una produzione artificiale, frutto dell'articolazione vocale del parlante. Tutte le lingue possiedono sillabe, tutti i parlanti ne producono e le analizzano.
La sillaba è formata da tre elementi: un attacco, un nucleo e una coda. Possono costituire nucleo sillabico le vocali (nucleo vocalico), e, in alcune lingue, le consonanti sonoranti (liquide, come [r] e [l], o nasali, come [m] o [n]). Il nucleo si dice in questo secondo caso sonantico.
Analogamente ai logogrammi, i sillabogrammi sono segni grafici che rappresentano le sillabe, come nel caso (almeno parzialmente) della scrittura cuneiforme.
Tavoletta con cuneiforme babilonese (sillabico):
Esempi di sillabogrammi
Sillabe e parole sono dunque alla base di qualunque sistema linguistico, sono e sono sempre state sin dall'antichità considerate le unità alla base di ogni lingua.
L'analisi linguistica nella scrittura
Il parlante ha coscienza immediata delle sillabe che usa (perché facilmente pronunziabili), e delle parole (perché nell'immediato ricollegabili a un concetto e in quanto successioni di sillabe); ma non dei singoli suoni (le lettere dell'alfabeto, infatti, vengono denominate con una o due sillabe, e non pronunziate singolarmente; es. f [effe]).
Proprio per questa ragione, le prime forme di scrittura utilizzavano logogrammi che a loro volta, con un passaggio piuttosto immediato, vennero utilizzati anche come sillabogrammi nel momento in cui passavano dalla rappresentazione di una lingua con parole monosillabiche come il sumerico alla rappresentazione di lingue con parole monosillabiche (lingue semitiche, es. accadico, lingua di Babilonesi e Assiri).
c) Suoni
L'alfabeto fonetico è una conquista recente.
Se da un lato popolazioni sedentarie quali i Sumeri e i loro eredi semitici in Mesopotamia non avevano necessità di semplificare la codifica della loro lingua (sillabario cuneiforme), i Fenici, notoriamente popolo di tradizioni mercantili, si scontrarono presto con la necessità di un metodo di scrittura pratico ed univoco.
Il loro alfabeto (il termine deriva dall'unione delle sue prime due lettere, 'aleph e bēth) derivò dalla scelta di utilizzare gli acronimi di parole di uso comune, e di rappresentare queste lettere con simboli che descrivessero la parola stessa. (es. la prima lettera dell'alfabeto, 'aleph, significa "bue" e il suo simbolo rappresenta appunto il cranio di quest'animale).
'aleph (bue) il segno è poi progressivamente ruotato di 90° e 180°
ḥēth (staccionata)
ṭēth (ruota)
Il passaggio all'alfabeto fonetico realizzato dai Fenici non può tuttavia considerarsi completo: essi codificarono soltanto le consonanti.
A tal proposito bisognerà aspettare la diffusione del loro sistema nel Mediterraneo e il contatto con la civiltà greca, che codificò 7 vocali, i cui simboli erano già presenti nell'alfabeto fenicio, sebbene riferiti a consonanti.
Il concetto di alfabeto non è istintivo. Un bambino è propenso, piuttosto, a rappresentare gli aspetti della realtà esterna tramite disegni che hanno valore assimilabile ad ideogrammi.
L'insegnamento dell'alfabeto tuttora praticato nell'educazione infantile ricalca il meccanismo ideato dai fenici per l'identificazione delle lettere (pensiamo ai cartelli affissi negli asili che individuano le lettere dell'alfabeto in relazione a parole d'uso comune che inizino con quella lettera; es. Casa, Dado).
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