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L'ETA' DEL REALISMO
Il Realismo contraddistinse l'indirizzo generale della cultura europea della seconda metà dell'800. In questo periodo si diede importanza ai fatti concreti, abbandonando i problemi di ordine metafisico e gli idealismi del primo Romanticismo e rifiutando i languori del secondo Romanticismo.
Il Realismo assunse il nome di Positivismo in filosofia, Naturalismo in letteratura francese e Verismo in letteratura italiana.
Nella nostra letteratura fra il '60 e il '90 fu presente l'aspirazione ad una letteratura "vera" e "sociale", basata sull'analisi della società contemporanea.
Lo scrittore di questo periodo studia i fenomeni sociali e vede nell'uomo non tanto "un individuo", quanto un essere sociale, condizionato dall'ambiente.
Per letteratura "vera" e "reale" si intese, il più delle volte un accostarsi alla vita "quale essa è", anche nei suoi aspetti meno elevati, meno nobili, meno poetici.
Secondo il filosofo positivista Hyppolite Taine, l'uomo è condizionato dall'ereditarietà, dall'ambiente, dal momento storico. La letteratura che lo rappresenta deve perciò essere, come la scienza, realistica; deve abbandonare il sentimentale e il fantastico e attenersi al positivo, al concreto, a ciò che è oggettivo, reale, tangibile, per scoprire le leggi fisiche e biologiche che determinano il comportamento umano.
Il primo principio della poetica del realismo è che "l'arte deve rappresentare il reale positivo" e per far ciò gli scrittori hanno ritratto i comportamenti e gli ambienti delle classi più umili perché più vicine alla natura e quindi al vero.
Il secondo principio della poetica del Realismo è "l'impersonalità dell'opera d'arte": l'artista deve ritrarre il vero in modo distaccato, freddo, impersonale, così come gli scienziati descrivono un fenomeno della natura.
L'opera d'arte, disse il Verga, deve dare l'impressione di essersi fatta da sé. Essa è una "tranche de vie", un aspetto, una fetta di vita studiata con i metodi delle scienze e il romanzo deve studiare la società in tutte le sue manifestazioni, dalle più basse alle più alte. Il romanzo di schema naturalista o verista è sempre di argomento contemporaneo o molto lontano nel tempo. Lo sfondo della narrazione è un ambiente studiato e descritto con minuzia, per cogliere i tratti caratteristici che determinano il comportamento degli uomini. I protagonisti sono inseriti, "calati" in quell'ambiente e ne sono analizzati i precedenti e le eventuali tare ereditarie, ne sono studiate le condizioni economiche e i riflessi, non da un punto di vista psicologico generico, ma scientifico. Abbondano le descrizioni di ambienti naturali o umani (città, paesi, officine, campagne,.), descrizioni precise che vogliono immettere il lettore nel mondo in cui i personaggi si muovono.
Ambienti e fatti sono riportati con l'animo e con gli occhi dei personaggi e sono resi con un lessico e uno stile che tendono a ricalcare il parlato. L'impersonalità risulta quindi necessaria, lo scrittore sparisce dal libro, ma lascia parlare le cose, non sollevando al suo stile i monologhi e i dialoghi dei suoi personaggi, ma ricalcando il loro modo di esprimersi
Il maggiore degli scrittori veristi fu Giovanni Verga, Nato a Catania nel 1840, da una ricca famiglia di proprietari terrieri, trascorse la giovinezza anni in Scicilia, scrivendo molto presto per i giornali catanesi. Abbandonò gli studi giuridici per dedicarsi alla letteratura: nel 1857 terminò il suo primo romanzo "Amore e Patria". Tra il '61 ed il '63 pubblicò "I Carbonari della montagna" e "Sulle lagune".
Fra il '65 e '71 visse a Firenze, capitale del regno d'Italia, dove ebbe i primi contati letterari e dove conobbe Luigi Capuana. Pubblicò nel '86 "Una Peccatrice".
Dal '71 al '93 abitò a Milano e ne frequentò i salotti mondani letterari. Nel '71 pubblicò "Storia di una Capinera". Nell'ambiente letterario milanese, ampliò i suoi orizzonti umani e culturali; conobbe gli scapigliati Boito, Cameroni, Praga, Tarchetti; si legò d'amicizia con De Roberto, Giacosa, Rovetta, Farina, Masserani; lesse i naturalisti francesi. Pubblicò nel '73 due romanzi: "Eva" e "Tigre reale". L'anno successivo scrisse il primo racconto di ambientazione siciliana, Nedda, e, forse, la commedia "Rose caduche". Nel '75 pubblicò l'ultimo romanzo scapigliato "Eros" e l'anno successivo la raccolta di racconti "Primavera". In realtà, stava maturando in Verga una profonda maturazione letteraria; nel 1878 con il Capuana, formulò il programma del verismo italiano e cominciò a lavorare a "I Malavoglia".
Nel 1880 pubblicò la raccolta di novelle "Vita dei campi": Cavalleria rusticana, Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, L'anabte di Gramigna, Guerra di Santi, Pentolaccia.
Nel 1881 pubblicò "I Malavoglia" primo romanzo del "Ciclo dei vinti", che passò inosservato, ad eccezione di una favorevole recensione e difesa del Capuana. L'anno successivo ('82) pubblicò "Il marito di Elena" e si recò in Francia, dove conobbe Zola. Nel 1883 pubblicò due raccolte di novelle, "Per le vie" (di ambiente milanese) e le "Novelle rusticane" fra cui sono Don Licciu Papa, Malaria, La roba, Pane nero, Libertà.
Nel 1884 si rappresentò a Torino con vivo
successo il dramma tratto da "Cavalleria rusticana", mentre nel
In Francia Flaubert, con "Madame Bovary", distruggeva il mito romantico del "grande amore";Verga anche, a modo suo distruggeva quei miti:alla baronessa russa dai molti amori contrapponeva Eva, la ballerina facile ma non abituata a mascherare a se stessa la verità, consapevole di ciò che era, capace di guardare coraggiosamente in faccia la vita quando spiega al pittore che l'amore è un "lusso".
Nei primi romanzi,lo scrittore è diviso tra interessi e motivi diversi non organizzati in modo unitario. Lo stile è incerto e si alternano parti vive e altre stanche e ovvie e con l'uso, spesso, di una lingua sciatta e convenzionale.
Verga è il primo nostro grande scrittore
dietro cui non vi siano più i "classici": greci, latni, e italiani, peciò, non
trovando intorno a se una lingua viva di uso corrente, e non essendo capace di
costruirsela, egli procede a tentoni, fra convenzionalità giornalistiche
francesismi, toscanismi, inseriti a forza, dialettismi. Questa serie di romanzi
fu interrotta nel 1874 da una novella, diversa per argomento e in parte per
stile: "Nedda" che segna la conversione di Verga ai modi e ai temi del Verismo
e apre una nuova e originale fase della sua attività di scrittore. Nella
novella si narra la storia triste di Nedda, (diminutivo di Sebastianedda), che
lavora come raccoglitrice di olive, per curare la madre malata. Ella si
innamora di un giovane, Janu, che muore per caduta di un albero; muore, poi,
anche la bambina nata da questa relazione. Con "Nedda", Verga, abbandonati i
personaggi aristocratici e borghesi e le loro passioni, scopre il mondo degli
dei diseredati e degli oppressi e comincia a descrivere le misere vicende di
questa povera umanità in modo "oggettivo" lasciando cioè inalterate le cose e i
fatti stessi, senza interventi e commenti personali e adottando immagini,
frasi, strutture, sintattiche adeguate alla realtà dei nuovi personaggi. C'è,
in "Nedda" un moto polemico contro la società borghese fondato sullo studio di
una precisa situazione sociale. "Nedda"
fu un episodio isolato, nel senso che dopo di essa il verga continuò a scrivere
romanzi mondani, ma tale episodio lo segnò a tal punto che, successivamente, in
poco più di una dozzina di anni, compose due raccolte di novelle (Vita dei
campi del 1880, "Novelle Rusticane", del 1883). Questo mondo "Vero" è poi
oggetto negli anni successivi di tutte le più importanti opere di Verga: "I
Malavoglia" (1881) è "Mastro Don Gesualdo" (1889), i due romanzi che avrebbero
dovuto far parte del ciclo, intitolato "I Vinti" che però non fu mai portato a
termine. I tre romanzi non scritti avrebbero narrato la vanità aristocratica
che può sussistere solo ad un alto livello sociale ed economico ("
CONCEZIONE DELLA VITA
Il Verga ebbe una concezione dolorosa e
tragica della vita. Egli pensava che tutti gli uomini fossero sottoposti ad un
destino impietoso e crudele, che li condannava, non solo all'infelicità e al
dolore, ma anche ad una condizione di immobilismo nell'ambiente familiare,
sociale ed economico in cui sono nati. Chi cerca di uscire dalla condizione in
cui il destino lo ha posto, non trova la felicità sognata, anzi, va incontro a
sofferenze maggiori, come succede a N'Toni Malavoglia e a Mastro Don Gesualdo.
Con questa visione pietrificata della società, il Verga rinnova il mito greco
del fato (La credenza, cioè in una potenza oscura e misteriosa, che regola le
vicende degli uomini), senza accompagnarlo col sentimento della ribellione, in
quanto non crede nella possibilità di un qualsiasi riscatto. Per il Verga non
rimane all'uomo che la rassegnazione eroica e dignitosa al suo destino. Questa
concezione fantastica e immobile dell'uomo sembra contraddire la fede nel
progresso propria delle dottrine positivistiche. In verità, il Verga non nega
il progresso, ma lo riduce alle sole forme esteriori. Progredisce l'umanità.
Nel suo complesso, per effetto delle conquiste scientifiche e tecnologiche, ma
l'uomo singolo è sempre dolorante e infelice, costantemente posto nelle mani
del fato. Questa visione è pessimistica perché verga, positivisticamente, non
crede nella Provvidenza, e Dio è assente nei suoi libri, dove su quel mondo di
lavoro, di lotte, di passioni, di morti, non stende mai la presenza del divino.
La visione verghiana del mondo sarebbe la più squallida e desolata di tutta la
letteratura Italiana, se non fosse confortata da tre elementi positivi. Il
primo è quel sentimento della grandezza e dell'egoismo umano che porta il Verga
ad assumere verso i "Vinti" un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione:
pietà per le miserie e le avventure che li travagliano, ammirazione per la loro
virile rassegnazione. Figura simbolo della grandezza e dell'eroismo umano, è
Padron 'Ntoni dei Malavoglia. Secondo elemento positivo è la fede in alcuni
valori che sfuggono alle leggi del destino e della società: la religione della
famiglia e della casa, la dedizione al lavoro, il senso dell'onore e della
dignità, la fedeltà alla parola data, lo spirito di sacrificio, l'amore nutrito
dei sentimenti profondi, fatto di silenzi, di sguardi furtivi, di pudore, di
allusioni velate (come quello di Mena e compare Alfio, tra Alessi e
CONTENUTO DELLE OPERE PRINCIPALI
"I Malavoglia" 1881
Aprono il ciclo dei Vinti, di coloro cioè che, nella lotta per l'esistenza, "la corrente a deposti a riva, dopo averli travolti e annegati".
I Malavoglia sono una famiglia patriarcale di
pescatori, che vivono ad Aci trezza, villaggio siciliano chiuso tra il mare e
la brulla distesa della "sciara", hanno una vecchia barca,
Anche il paesaggio partecipa alla coralità
della narrazione, ora quasi compiangendo, ora restando indifferente alla sorte
degli uomini. Per quanto riguarda la lingua, il Verga accettò, per sua stessa
convinzione, l'ideale manzoniano di una lingua semplice, chiara, antiletteraria.
Egli riusci a creare una prosa parlata, fresca, viva, popolare, con la cadenza
cantilenante delle antiche rapsodie. L'originalità della tecnica del Verga dei
"Malavoglia" consiste nell'uso del discorso indiretto libero, strumento usato
dall'autore che vuole essere per metà presente e per metà assente, cosa che non
potrebbe fare usando il discorso diretto. Altri due artifici propri della
lingua del verga sono
Mastro Don Gesualdo
In questo romanzo, il Verga narra le vicende
di un ex muratore, Gesualdo Motta, che, con la sua tenace laboriosità è
riuscito ad arricchirsi. Non gli basta, però, la potenza economica; mira ad
elevarsi socialmente. Sposa Bianca Trao, una nobile decaduta, che ha avuto una
relazione amorosa col cugino Ninì Rubiera, e da lui non sposata per
l'opposizione al matrimonio riparatore della madre,
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