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Alessandro Manzoni nasce a Milano il 7 marzo 1785. Nasce all'interno di una famiglia nobile: il padre, il conte Pietro, un uomo di mediocre cultura, ricco possidente del contado di Lecco; la madre, Giulia Beccaria, figlia del giurista Cesare Beccaria, uno dei più illustri rappresentanti dell'Illuminismo lombardo, l'autore de Dei delitti e delle pene. In realtà, secondo un'ipotesi oggi comunemente accettata, Manzoni ebbe come padre naturale Giovanni Verri, che fu amante della madre.
Il matrimonio dei genitori non è felice: Giulia ha idee illuministiche, aperte come quelle di suo padre; le idee di Pietro invece sono chiuse, conservatorie. Egli infatti non trova alcun interesse per i discorsi della moglie. Giulia Beccaria lascia così il marito nel 1791 e va a vivere a Parigi. Per questo motivo Manzoni deve trascorrere l'infanzia e la prima giovinezza, fino al 1801, in collegi di padri Somaschi (prima a Merate, poi a Lugano) e Barnabiti (a Milano). Qui riceve un'educazione classica, studia autori latini come Virgilio e Orazio. Non interessato da questi argomenti, legge libri di Parini e dell'Alfieri di nascosto.
Quando esce dal collegio, a sedici anni, le sue idee sono razionaliste e libertarie. Manzoni va poi a vivere a Milano nella casa paterna. Si inserisce presto nell'ambiente culturale milanese del periodo napoleonico e frequenta poeti già affermati e noti come Foscolo e Monti. Trascorre questo periodo dedicandosi anche al lavoro intellettuale e alle composizioni poetiche: l'esempio più illustre è rappresentato dal poemetto Trionfo della libertà. Successivamente scrisse sonetti e idilli, il più maturo dei quali sembra essere Adda (1803). L'anno successivo terminò la stesura di quattro Sermoni: Amore a Delia, Contro i poetastri, Al Pagani, Panegirico a Trimalcione.
Nel 1805 lascia la casa paterna e raggiunge la madre a Parigi. Carlo Imbonati, compagno della madre dopo la separazione, era ormai morto. In suo ricordo, Manzoni scrisse un carme in 242 versi sciolti, intitolato In morte di Carlo Imbonati.
A Parigi, dal 1805 al 1810, Manzoni frequenta i circoli letterari e culturali in cui domina la filosofia razionalista e materialista del Settecento, stringe amicizia con Fauriel (uno dei promotori del Romanticismo in Francia) che lo avvia allo studio della storia, e sposa nel 1808 Enrichetta Blondel, di religione calvinista, che lo porterà, in seguito, a rivedere i suoi giudizi critici verso la religione, tanto che (aiutato anche dalle conversazioni con due insigni religiosi giansenisti dell'epoca), nel 1810 il Manzoni decide di convertirsi al cattolicesimo, coinvolgendo in questa decisione anche la moglie.
Sotto la guida dell'abate genovese Eustachio Degola, Enrichetta, fece battezzare col rito romano la primogenita Giulia Claudia, convincendo il marito, in seguito, a risposarsi con rito cattolico.
Lo stesso anno della sua conversione, Manzoni lascia Parigi per tornare definitivamente a Milano. A Milano Manzoni si pone dalla parte del Romanticismo e della corrente politica liberale favorevole all'unificazione nazionale. Nel 1815 scrive Il Proclama di Rimini, esaltando l'iniziativa di Gioacchino Murat che da Napoli aveva risalito col suo esercito la penisola invitando gli italiani (che però non risposero) a combattere contro gli austriaci per l'indipendenza nazionale (il tentativo poi fallì miseramente).
La sua visione della realtà è ormai completamente improntata al cattolicesimo. Il mutamento ripercorre anche sulla sua attività letteraria: smette di comporre versi dal tono classicheggiante, (l'ultimo esemplare rimane Urania, un poemetto del 1809) per dedicarsi alla stesura di una serie di dodici Inni sacri dedicati ciascuno ad una festività della Chiesa: di essi ne porta a termine solo cinque, i primi quattro fra il 1812 e il 1815 (La Resurrezione Il nome di Maria Il Natale La Passione e il quinto (La Pentecoste tra il 1817 e il 1822. Questi aprono la strada ad una successiva produzione di stampo romantico, oltre che storico e religioso.
Dopo la stagione degli Inni sacri tra il 1815 e il 1822, nascono le odi civili, e tra di esse il Marzo 1821 in cui Manzoni, celebrando l'unirsi delle forze piemontesi e lombarde contro l'oppressore austriaco, proclama il suo ideale unitario di patria.
Più che in queste odi, tuttavia, è nelle tragedie che si amplia la problematica manzoniana. Ciò che importa allo scrittore, nel suo teatro, è la rappresentazione di una drammatica tensione morale dei suoi personaggi: i quali appaiono travolti dalle leggi della forza e della violenza che dominano il mondo. È questa la situazione del Conte di Carmagnola (1820), ma soprattutto dell'Adelchi (1822), nella quale è rappresentato il momento conclusivo della guerra tra franchi e longobardi.
Nell'ambito di questi problemi si pone anche l'ode celebrativa scritta in occasione della morte di Napoleone Bonaparte, il Cinque maggio del 1821.
Nel 1827 esce la prima edizione de I promessi sposi (Fermo e Lucia) nel quale si affaccia il problema di una lingua "viva". Per questo motivo Manzoni riscrive più volte i Promessi Sposi e solo nel 1840 esce in edizione definitiva.
Tra le due edizioni del romanzo e dopo l'edizione definitiva c'è un lungo periodo di silenzio creativo, il quale è appena interrotto dalla pubblicazione di alcune opere a carattere storico: il dialogo Dell'invenzione del 1840; la Storia della colonna infame del 1842, che riprende il tema della peste; il discorso Del romanzo e in genere dei componimenti misti di storia e d'invenzione del 1845, dove Manzoni giunge a condannare il dramma e il romanzo storico, riconoscendo solo nella storia quel «vero» che lo scrittore deve perseguire.
Più importanti saranno però i suoi scritti sulla lingua: testi sulla lingua italiana e Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla ambedue del 1845; Lettera al marchese Casanova del 1871.
Negli anni della sua lunga vecchiaia fu circondato dalla venerazione della borghesia italiana, che vedeva in lui non solo il grande scrittore, ma anche un maestro, una guida intellettuale, morale e politica. Soprattutto il suo romanzo fu assunto nella scuola con tale funzione.
Manzoni morì a Milano nel 1873, a ottantotto anni, nella casa di via del Morone, in seguito a una caduta che gli aveva provocato gravi sofferenze per due mesi. Gli furono tributati solenni funerali, alla presenza del principe ereditario Umberto. Verdi gli dedicò la sua Messa da Requiem al primo anniversario dalla morte. Fu sepolto nel cimitero monumentale della città.
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