UNO
SCIOPERO DI FLAUTISTI
Tibicines, quia prohibiti a
proximis censoribus erant in aede Iovis vesci, quod traditum antiquitus erat,
aegre passi Tibur uno agmine abierunt, adeo ut nemo in urbe esset, qui
sacrjficiis praecineret. Eius rei religiò tenuit senatum, legatosque Tibur
miserunt, ut darent operam ut ii homines Romanis restituerentur Tiburtini
benigne polliciti primum accitos eos in curiam hortati sunt uti reverterentur Romam;
postquam perpelli nequibant, consilio haud abhorrente ab ingeniis hominum eos
adgrediuntur die festo alii alios per speciem celebrandarum cantu epularum
invitant et vino, cuius avidum ferme id genus est, oneratos sopiunt atque ita
in plaustra somno vinctos coniciunt ac Romam deportant. Nec prius sensere, quam plaustris in foro relictis plenos crapulae eos lux
oppressit.
(Livio, Ab
Urbe condita IX, 30)
I flautisti, poiché gli ultimi censori avevano proibito loro di tenere il
(tradizionale) banchetto nel tempio di Giove, il che era tramandato fin
dall'antichità, indignati in gruppo se ne andarono a Tivoli, in modo che in
città non restasse nessuno che accompagnasse con la musica i sacrifici rituali. L'aspetto
religioso di quel fatto preoccupò il senato e (i senatori) inviarono a Tivoli dei messi
affinché si adoperassero per far restituire quegli uomini ai Romani. I
Tiburtini, promesso il loro interessamento, in un primo tempo convocarono
quelli nella curia e li esortarono a tornare a Roma; dopo che non riuscirono a convincerli, con uno stratagemma
adeguato all'indole di quel tipo di uomini li ingannarono. In una giornata
festiva alcuni (cittadini) li invitano con il pretesto di rallegrare i banchetti con, la musica e li fanno addormentare dopo averli riempiti
di vino, del quale quel tipo di uomini in genere è avido, e così li buttano sui carri vinti dal sonno e li
riportano a Roma. Ed essi non si accorsero (di nulla) prima che li svegliasse
la luce del sole, intontiti dalla sbornia sui carri abbandonati nel foro.