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SOLICITUDINE
Seneca saluta il suo Lucilio.
Sì, sono sempre dello stesso parere: guardati dal frequentare la folla e non solo la compagnia di poche persone ma anche di una sola. Non conosco un uomo, col quale vorrei che tu fossi in relazione. Ed ecco quale è la stima che io ho di te: non temo di affidarti a te stesso. Si racconta che Cratete, discepolo di quello stesso Stilbone, da me ricordato nella precedente lettera, vide un giorno che passeggiava in disparte e gli chiese cosa mai facese cosi solo. <<Sono in colloquio con me stesso>>, quegli rispose. E Cratete: <<Stai in guardia!>>, disse, <<ti prego, e fa bene attenzione: tu ti intrattieni con un essere spregevole>>. Siamo soliti a tener gli occhi addosso ad uno che sia tutto preso dal dolore e dalla paura, affinché non approfitti della solitudine per commettere qualche atto inconsulto. Orbene nessun uomo, che sia ancora privo si sapienza, deve essere abbandonato a se stesso: allora egli rivolge nell'animo tristi propositi, macchina imprese pericolose o per gli altri o per sé, mette in opera le sue disoneste passioni; allora l'animo rivela quanto teneva nascosto per paura o per vergogna, incoraggia la sfrontatezza, sollecita le basse voglie, eccita l'ira. Infine l'unico vantaggio della vita solitaria, che consiste nel non fare nessuna confidenza, nel non temere alcun delatore, è perduto per lo stolto: egli stesso si tradisce.
Pertanto osserva che cosa io speri di te, o meglio che cosa mi riprometta - infatti speranza è un termine che riguarda un bene incerto -: non trovo una persona in compagnia della quale vorrei che tu stessi piuttosto che te. Ricordo con quanta elevatezza d'animo tu abbia pronunciato certe parole, quanta energia morale esse ispirassero. Tosto mi rallegrai con me stesso e dissi: <<no! Tali parole non sono uscite soltanto dalla sua bocca, ma dal fondo del cuore: costui non è uno dei molti, mira veramente alla salvezza dell'anima>>. Così parla, così vivi; bada di non avvilirti, qualunque cosa ti capiti. Delle tue preghiere di una volta lascia pure la cura agli dei; ora fanne altre del tutto nuove: domanda la vera sapienza, la salute dell'anima e, solo dopo questa, quella del corpo. Perché tu non potresti fare spesso simili preghiere? Rivolgiti alla divinità senza timore: non intendi domandarle niente che appartenga ad altri.
Intanto, secondo la mia abitudine, ti invio questa lettera con un piccolo dono: sì, è vero ciò che lessi in Atenodoro: <<sappi che sarai libero da tutte le passioni, allorquando sarai giunto a tal punto da domandare a dio nient'altro, all'infuori di quanto potresti domandare in presenza di tutti>>. Ora, in verità, quanto sono stolti gli uomini! Sottovoce rivolgono agli dei preghiere di cui dovrebbero vergognarsi: se qualcuno stesse in ascolto, subito tacerebbero; ed essi raccontano a dio ciò che non vogliono che gli uomini sappiano. Dunque non ti pare forse che questo precetto possa essere utile? <<comportati con gli uomini come se dio ti vedesse, parla con dio come se gli uomini ti ascoltassero>>. Addio.
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