Seneca: De ira
III, 36 (1-4): Tutti i sensi devono essere ricondotti ad firmitatem; per natura sono
resistenti, se l'animo che ogni giorno deve necessariamente chiamato a fare il
rendiconto, ha smesso di corromperli. Faceva così Sesto, finita la giornata, una
volta che si era ritirato per il riposo interrogava il suo animo: «Oggi, quale
dei tuoi mali hai guarito? A quale vizio ti sei opposto? In quale parte ti sei
migliorato?» Cesserà l'ira e sarà più moderato se saprà che ogni giorno si deve
presentare davanti ad un giudice. Dunque cosa ci può essere di più bello di
questa abitudine di passare in rassegna la giornata? Quale sonno viene dopo la
ricognizione di sé: quam tranquillo, quam alto e libero, quando
l'animo o è lodato o ammonito, e come esploratore e censore segreto ha
giudicato sui propri costumi. Io mi servo di questa facoltà ogni giorno, presso
di me sostengo la mia causa. Quando il lume viene tolto dallo sguardo e la
moglie già consapevole dei miei costumi, tace, esamino col pensiero tutta la mia
giornata e ripenso alle mie azioni e a ciò che ho detto; non mi nascondo nulla,
non passo sopra a niente. Perché dovrei temere qualcosa dai miei errori quando
posso dire: «Vedi di non fare questa cosa in modo più grande, ora ti perdono.
In quel discorso hai parlato con grande ardore: non voler in seguito scontrarti
con un incompetente; non vogliono imparare coloro che mai impararono. Ammonisti
quello più di quanto dovevi, ma così non lo hai corretto, ma offeso: vedi in
futuro non tanto se non sia vero ciò che dici, ma se quello a cui è detto il
vero non lo sopporti; l'uomo buono gioisce dell'essere rimproverato, ogni
malvagio sopporta molto faticosamente un che lo corregge.