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Fulgenzio, nelle Mythològiae, colloca l'episodio di Quartilla nel libro XIV del Satyricon, il codice di Traù dichiara di contenere dei fragmenta dai libri XV e XVI: quanto ci resta dell'opera è dunque probabile appartenesse ai libri XIV (Quartilla), XV (Cena di Trimalchione) e XVI (Eumolpo). Dal momento che il racconto superstite non sembra avviato a rapida conclusione, si può ipotizzare un'ampiezza complessiva di venti, se non addirittura ventiquattro libri come l'Odissea (analoga anche a quella del romanzo Le meraviglie di là da Tule di Antonio Diogene, I secolo a.C. Quanto resta è dunque circa un decimo. se non meno, dell'originale. E tuttavia basta a darci un'idea della grandezza di Petronio scrittore, dell'unicità del suo romanzo.
Gli antichi non avevano un termine specifico per il genere letterario che noi moderni chiamiamo «romanzo». I Greci ricorrevano ad espressioni come HISTORIA MITO RACCONTO DRAMMA, mentre i Latini utilizzavano anche il termine fabula: assai generico, serviva a designare ogni varietà di racconto, anche teatrale, dalla tragedia alla commedia, dal mimo alla farsa. Per quanto possa riuscire sorprendente, il Satyricon rientra in tutti questi generi e sottogeneri, pur così diversi tra loro, e anche in molti altri. Gli antichi stessi erano molto incerti su come inquadrarlo: Macrobio (IV-V secolo d.C.) lo accosta alle Metamorfosi (li Apuleio nell'ambito della narrativa erotica d'evasione argomenta fictis casibus amatorum referto, «storie piene di immaginarie avventure amorose»), mentre Giovanni Lido (VI secolo d.C.) lo inquadra nella letteratura satirica.
Il titolo stesso dell'opera, variamente attestato nei codici, suggerisce possibili accostamenti al genere satirico: Petroni Arbitri Satirarum libri, Petroni Arbitri Satyri fragmenta. Oggi preferiamo seguire l'indicazione di un ottimo codice (il Bernensis, del IX secolo, o forse dei primi del X): Patroni Arbitri Satiricon, lasciando il titolo al genitivo plurale (come nel caso del Decameron di Boccaccio, anch'esso un titolo al genitivo plurale), ma ritoccato nella forma greca Satyricon, che si trova in vari codici e in M. Vittorino (Vr. XX in G.L.K. VI,). Essa vuoi dire, al tempo stesso, «(Libri) di racconti satirici» e «(Libri) di racconti satireschi», con duplice richiamo alla tradizione della satira e alla proverbiale lascivia dei satiri. Ma neppure l'allargamento al genere satirico esaurisce la gamma dei modelli utilizzati da Petronio.
Innanzitutto, conviene mettere sullo sfondo l'Odissea omerica, parodicainente ripresa nel tema della persecuzione divina subita dall'eroe e, ancor più, nel grande motivo del viaggio. Non mancano poi richiami più puntuali ora in questo ora in quell'episodio: ad esempio, la nave di Lica vista come un (antro del Ciclope» da cui non si può fuggire, o l'ineluttabile incontro tra Circe ed Encolpio/Polieno, o ancora Encolpio che apostrofa il suo membro come Ulisse il suo cuore e così via.
In secondo luogo, è evidente che la vicenda del Satyricon riprende parodicamente lo schema-base del romanzo greco d'amore, a sua volta fabbricato sul modello epico Ulisse-Penelope: un giovane e una giovane, in genere di ottima famiglia, si innamorano, ma, ben presto separati da qualche accadimento imprevisto, solo molto più tardi, superati mille casi e traversie in perfetta reciproca fedeltà, riescono a ricongiungersi e a coronare il loro sogno. Naturalmente in Petronio non c'è solo la ripresa parodica di questo schema, che nel romanzo greco è applicato in tutta serietà, ma anche, insieme, il suo derisorio ribalta-mento: la coppia dei "fidanzati" protagonisti non è eterosessuale, bensì omosessuale e, nonostante che i due non siano quasi mai separati, o comunque sempre e solo per poco, il tema ellenistico della «fedeltà conservata a tutti i costi) è tramutato in quello della «fedeltà tradita di continuo». Su quest'ultimo punto c'è anzi da notare che, come nel romanzo greco è soprattutto la ragazza che è tenuta a difendere con ogni mezzo la propria castità (per arrivare vergine ai matrimonio), così in Petronio è soprattutto il «femmineo», bel Gitone, a tradire il geloso partner, Encolpio, ogni volta che può.
Ma anche questo rinvio ai romanzo greco d'amore è insufficiente. Il grande rilievo dato in Petronio al sesso e a ogni forma di avventura erotica rinvia, ben più che alle vicende complessivamente caste del romanzo d'amore, alla novellistica spinta e ridanciana della fabula Milesia. Questo tipo di novella traeva il suo nome da Aristide di Mileto (I secolo a.C.), che era stato il primo a darle veste letteraria nell'opera Milesiakà («Storie milesie»), tradotta in latino e resa popolare anche a Roma negli ultimi decenni dei I secolo a.C. dallo storico Lucio Sisenna (v. pp. 194-195). Un tipico esempio di fabula Milesia è, nello stesso Satvricon, la novella della matrona di Efeso.
Una donna di Efeso veglia sulla tomba del marito decisa a lasciarsi morire con lui. Ma poi, persuasa a sopravvivere da un soldato posto a guardia di alcuni delinquenti crocifissi, da lui accetta cibo e amore: e, per salvare il suo nuovo innamorato, acconsente perfino a sostituire il cadavere di un condannato, che qualcuno ha nei frattempo sottratto, con quello dei marito. L'adorato marito finisce dunque in croce.
Ma ecco, a questo punto, un'altra importante novità formale: mentre i romanzi e le novelle greche sono sostanzialmente racconti in prosa, il Satvricon è invece caratterizzato da un continuo alternarsi di parti in prosa e parti in versi. il romanzo ellenistico non ignorava inserzioni di parti metriche: ma si trattava di citazioni brevissime, tratte per lo più dai poemi omerici, che l'autore inseriva d'autorità nel racconto per commentare una situazione particolare (con funzione analoga a quella del coro a teatro, o anche, oggi, della voce fuori campo nel cinema), oppure faceva recitare a questo o quel personaggio come sfoggio erudito. In versi potevano essere anche, come lo erano solitamente nella realtà, iscrizioni, epitaffi, indovinelli e, soprattutto1 responsi oracolari. L'unico genere, o sottogenere, letterario in cui agisse un equilibrata alternanza di versi e prosa era a quel tempo la satira menippea. Un esempio di satira menippea è l'Apocolocyntosis di Seneca, col suo andamento prosimetrico (fatto appunto di prosa e di metro, di citazioni poetiche, spesso storpiate, e di composizioni in proprio), con la continua alternanza di serio e faceto, con la provocatoria giustapposizione di sfoggio erudito e cruda volgarità.
Quanto alle Menippeae di Varrone, sembra di capire ch'egli vi riservasse un notevole spazio, sulla scia della satira luciliana non solo alla varietà dei temi, ma anche alla componente realistica Ora proprio il realismo, cioè lo sguardo attento a un reale che si intende giudicare, se è una caratteristica fondamentale (li tutta la satira latina, in Petronio tocca livelli di resa, anche linguistica, altrimenti sconosciuti. Il plurilinguismo della Cena, cioè il multiforme impasto linguistico con cui Petronio rendo il parlato popolareggiante di Trimalchione e dei suoi rozzi commensali, distinguendolo dall'eloquio più elegante, ma anche più controllato e meno creativo di un Encolpio o di un Agamennone, rappresenta senza dubbio il più felice raggiungimento del realismo antico.
Ma né l'istanza realistica né quella parodica, parimenti presenti e operanti nel romanzo petroniano, esauriscono le infinite possibilità della forma prosimetrica. Essa costituisce, ad esempio, una forma vuota assai flessibile che si presta molto bene ad ospitare quello che possiamo chiamare lo "sperimentalismo poetico" di Petronio. Petronio non e infatti solo un prosatore di scioltezza inarrivabile, ma anche un poeta di buon livello. Spesso si diverte a imitare lo stile di questo o di quell'autore, ma può farlo proprio perché è poeta in assoluto, sia per padronanza metrica che per originalità d'invenzione. L'atteggiamento di Petronio verso la poesia è molto singolare, o talora enigmatico. Certo e che, nel complesso, le doti petroniane di versificatore sono piegate ad illustrare, nel più ampio quadro della decadenza generale delle arti la decadenza della stessa poesia. Le continue esibizioni del vecchio sordido Eumolpo non sono poi così male, ma ricevono sempre e dovunque una pessima accoglienza. Quasi che davvero non esistessero più nemmeno i presupposti per una grande poesia, già morta, ancor prima di nascere, nell'indisponibilità degli ascoltatori. Non può essere un caso se una delle più belle liriche del I secolo dopo Cristo che ci sia giunta si trova proprio nel Satyricon (Qualis nox fuit illa): ma introdotta per commentare, con cinica autoironia, una felice notte d'amore finita in un tradimento (79, 8).
Un altro aspetto molto importante della forma prosimetrica è infine la teatralità. Il Satyricon è pieno di riferimenti al teatro, alla vita come teatro, alla pochezza delle parti che il teatro della vita ci assegna, e così via. Abbondano anche i colpi di scena, gli happening spettacolari, le scenografie pacchiane, le bastonature da farsa e tutte le più tipiche situazioni da mimo, con madri di famiglia dissolute e intraprendenti, truffe di impostori, risate sguaiate. Ma efficacemente teatrale, e pur esso accostabile ai modi del mimo, è anche l'espediente di commentare via via situazioni e stati d'animo facendoci sopra, ogni volta, un bel "pezzo" in poesia. Non è, infatti, improbabile che il Satyricon sia stato concepito da Petronio per esser "recitato", cioè declamato davanti ad un pubblico: proprio le parti in poesia, ora enfatiche o pompose. ora ironiche o maliziose, potevano favorire lo sfoggio delle migliori capacità istrioniche.
Per quanto riguarda poi i singoli episodi, è evidente che Petronio può avere utilizzato anche altri, specifici modelli. Nella Cena di Trimalchione, ad esempio, oltre a singoli spunti tratti dallo scontato precedente satirico della Cena Nasidieni oraziana agisce senza dubbio il modello del Sirnposio di Platone, sia per la struttura che per singoli particolari (l'arrivo ritardato di Abinna ubriaco nella Cena riprende quello di Alcibiade ubriaco nel dialogo platonico).
Ma naturalmente il Satyricon non si esaurisce in un, pur brillante, riuso dei modelli letterari preesistenti. Petronio non è un letterato "formalista", guarda alle cose, è appassionato della realtà della vita. Anche se spesso la disprezza.
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