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L'ORATORIA
Nelle antiche democrazie di Atene e di Roma, rette da assemblee nelle quali la parola aveva una grande importanza, l'arte dell'oratoria trovò le condizioni storiche più favorevoli per affermarsi. L'origine dell'eloquenza come arte professionale e genere letterario risale ai sofisti greci del quinto secolo a.C.. Conserviamo orazioni di Gorgia, di Antifonte, di Andocide; prove sicure ci giungono dalle pagine di Aristofane, di Platone e d'altri scrittori.
Secondo la tradizione, la retorica fu 'inventata' da un siciliano, di nome Corace, che dava istruzione ai Siracusani coinvolti in cause legali, su come impiegare l'argomento del 'verisimile' in base ai loro singoli casi. Inoltre spiegava come esporre i fatti e le prove con efficacia in una struttura prefissata, molto lineare. Da questo schema Corace sviluppò in seguito il complesso delle quattro sezioni canoniche che ritroviamo nell'orazione giudiziaria classica:
- l'INTRODUZIONE, il cui intento è di catturare l'attenzione della giuria, il suo interesse e di captare la sua benevolenza;
- la NARRAZIONE, che deve presentare in rapida e chiara successione l'antefatto e gli eventi veri e propri;
- la PROVA circa la validità della tesi sostenuta;
- la CHIUSA, in cui si ricapitola il discorso e, spesso, si compie il tentativo di coinvolgere emotivamente la giuria a favore di chi parla.
La natura sociale e colloquiale dell'uomo greco e la consapevolezza dell'importanza dell'eloquenza e della ragione, come mezzo di persuasione, spiegano il valore che la parola assume nella società greca. Questa naturale tendenza oratoria dell'uomo greco, si incontra con le nuove forze politiche e sociali che sulla fine del sesto secolo, si organizzano in regimi democratici, di cui Atene ne è l'esempio più illustre.Fondamento della democrazia è il diritto di ogni cittadino di esprimere liberamente la propria opinione, nelle assemblee, nei tribunali, in ogni occasione della vita sociale. Specialmente nell'attività politica, l'oratoria diviene la forza più efficace di cui disponga l'uomo di governo per assicurarsi, col favore del popolo, la vittoria sugli avversari.
Formalizzata dai sofisti nelle tecniche dell'antilogia, cioè del contraddire, la retorica fu avversata da Platone, che le contrappose la dialettica. I sofisti, infatti, mirarono esclusivamente ad elaborare un'efficace tecnica di seduzione oratoria, mentre Platone (e successivamente, a Roma, Cicerone e Quintiliano) propose un ideale di eloquenza legato alle preoccupazioni morali e alla cultura filosofica e scientifica. Come Platone, anche Aristotele non approvò la concezione retorica dell'epoca. Secondo il filosofo, l'aspirante oratore è tenuto a dominare i concetti dell'etica. Inoltre gli è anche indispensabile una dose di psicologia, per sapere quali fattori scuoteranno i sentimenti di una platea. Per conquistarsi le simpatie dell'uditorio, sarà opportuno che diventi un critico esperto delle emozioni destate da diversi casi e tipi di comportamento. Aristotele poi si occupò dello 'stile'. Compito dell'oratore, secondo lui, è aver chiaro in mente 'come debba parlare'. La 'chiarezza': questa è la dote principale di un buon stile.
In un suo libro, Aristotele parla dell'uso delle metafore, delle perifrasi, della costruzione dei periodi.
I suoi testi lasciarono un'importante impronta sugli studi della retorica sviluppati successivamente.
Aristotele e i suoi successori suddivisero l'oratoria in tre settori:
- SIMBULEUTICA, cioè deliberativa (nelle assemblee politiche) il cui impegno centrale era di illustrare la convenienza d'una linea d'azione, da intraprendersi in futuro;
- DICANICA, o giudiziaria, (nei processi), tesa essenzialmente a dimostrare il buon diritto di un'azione già compiuta;
- EPIDITTICA, oratoria di elogio o di critica, in stile sofistico, un genere, quest'ultimo, impiegato spesso nelle cerimonie pubbliche.
Ad Atene la grande oratoria politica fu rappresentata soprattutto da Demostene, Eschine e Iperide; quella giudiziaria da Lisia ed Iseo, mentre la maggior parte delle opere di Isocrate offrì i modelli perfetti dell'oratoria celebrativa, che rimase più tardi la sola ad essere coltivata dai retori dell'epoca imperiale.
A Roma la storia dell'eloquenza si può dividere in due grandi periodi.
Durante la repubblica le condizioni politiche e sociali favorirono lo sviluppo dell'oratoria deliberativa: le discussioni del Senato e del Foro occupavano buona parte dell'attività dei magistrati. L'eloquenza era la sola arma a disposizione della classe senatoria e della classe dirigente delle province per difendere la propria causa di fronte ai loro governanti.
Più tardi, nel terzo secolo a.C., cominciò l'eloquenza giudiziaria.
L'insegnamento della retorica, a Roma, iniziò tardi. I giovani che volevano entrare nella vita pubblica imparavano l'eloquenza ascoltando i più grandi oratori dell'epoca.
Non prima del secondo secolo a.C. cominciarono a venire a Roma i retori, ma il loro numero crebbe velocemente. Contro quest'influenza dell'ellenismo ci fu una reazione politica: si iniziò ad insegnare la retorica latina.
Nell'anno 92 furono chiuse le scuole dei retori latini poiché erano giudicate dannose all'educazione giovanile, ma inutilmente. I retori latini ripresero a insegnare, però non più in conflitto con la retorica greca. Nell'ultimo secolo della repubblica, infatti, i giovani si recavano in Grecia per compiere la loro educazione oratoria.
L'eloquenza a Roma ebbe carattere essenzialmente pratico. I discorsi valevano per lo scopo immediato, e solo raramente, almeno nei primi tempi, ?.poi scritti e divulgati. A quanto pare il primo discorso pubblicato a Roma fu quello che Appio Claudio Cieco pronunciò in Senato per criticare le proposte di pace del re Pirro. La pubblicazione dei discorsi era determinata principalmente da ragioni politiche e a volte pure da ambizione letteraria. Alcuni oratori famosi, come ad esempio C. Aurelio Cotta e M. Antonio non pubblicarono i loro discorsi perché pensavano che la lettura sminuisse la loro efficacia, che derivava specialmente dall'actio. Quest'ultima aveva, infatti, una grande importanza nell'eloquenza classica. L'actio consisteva nel movimento del corpo, nel gesto, nell'espressione del volto, nella qualità e nella varietà della voce. Il discorso latino, infatti, era costruito secondo regole e strategie ben precise, di cui una era appunto l'actio. Le altre erano la inventio, cioè la ricerca degli argomenti su cui basare il discorso; la dispositio, ossia la struttura, l'ordine dell'orazione; l'elocutio, lo stile e la forma in cui viene scritto il discorso.
L'eloquio era poi diviso in parti.
L'oratore esordiva, iniziava a parlare attraverso la tecnica dell'exordium, un modo per attirare l'attenzione dell'uditorio e predisporlo benevolmente alla propria argomentazione.
La seconda parte che caratterizzava un'orazione latina era la cosiddetta narratio, cioè una breve narrazione dei fatti.
C'era poi la propositio, una sorta di sommario per informare il pubblico degli argomenti che venivano trattati nell'orazione.
A questo punto si entrava nel vivo dell'orazione: nell'argumentatio, infatti, l'oratore doveva dimostrare effettivamente la sua abilità. L'argomentazione consisteva nel confutare (confutatio) le tesi dell'avversario confermando (confirmatio) le proprie.
Per finire si aveva la peroratio, un riepilogo nel quale l'oratore cercava di persuadere l'uditorio della veridicità e validità delle proprie argomentazioni.
La preparazione dell'orazione comunque, variava in base al carattere e alle capacità personali dei singoli oratori.
Per parlare di eloquenza latina è opportuno citare i principali esponenti dell'età repubblicana. Gli oratori di quest'epoca si possono dividere in quattro periodi: di Catone, di Gracco, di Crasso e, infine, di Cicerone.
Nel primo periodo il più grande e il più fecondo oratore del suo tempo fu, appunto, Catone il Censore (234-203). In questa fase cominciò l'influenza dell'ellenismo, che alimentò l'ingegno romano senza però stravolgere il suo carattere originario.
Nel secondo periodo dell'età repubblicana (che prende il nome di un altro grande esponente dell'eloquenza latina: Gaio Gracco, 154-121), la cultura greca domina quasi senza contrasto.
Del terzo periodo si possono ricordare Licinio Crasso (140-91) e M.Antonio (143-87).
Infine c'è il periodo di Marco Tullio Cicerone (106-43). A Roma il prestigio di Cicerone, abile sia nell'eloquenza politica sia in quella giudiziaria, oscurò il merito degli oratori citati sopra, che lasciarono della loro attività solo scarsi frammenti. Grazie alle orazioni ciceroniane che ci sono pervenute, si può dire che la prima metà del I sec.a.C., con la fine della Repubblica segna anche l'apice e l'immediata fine del genere oratorio pubblico.
L'instaurazione del regime imperiale impedì lo sviluppo di nuovi tipi di oratoria diversi da quella celebrativa. Allo stesso tempo però ne sorse una differente con la predicazione cristiana. Un esempio sono i Sermones di Agostino; l'ex professore di retorica esibisce una sicura padronanza di tutti gli artifici di quella disciplina. In pari tempo però, capisce che tali ricercatezze possono costituire un ostacolo alla comunicazione con un pubblico di medio livello. Così adotta un registro stilistico popolare e a volte addirittura rozzo. Egli osserva: 'Meglio per voi, capirmi in una lingua volgare, che restare indietro, spaesati, se faccio esercizio di eloquenza ?
Meglio che mi censurino i puristi della lingua, piuttosto che non mi comprenda il popolo.'
E' difficile immaginare una rottura più drastica con la tradizione della retorica tardo-classica.
BIBLIOGRAFIA:
Nuova enciclopedia Rizzoli Larousse
Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica (diretto da Gianluigi Beccaria)
Enciclopedia Italiana (Istituto della Enciclopedia Iataliana fondata da Giovanni Treccani)
La letteratura greca classica (Raffaele Cantarella)
La letteratura greca (Mondatori Editore)
La letteratura latina (Mondatori Editore)
La letteratura latina (G. Biagio Conte)
Inducite fontibus umbras (Cappelli Editore)
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