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Le tragedie




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LE  TRAGEDIE


Le tragedie occupano un ruolo fondamentale in tutta la produzione letteraria di Seneca. Quelle autentiche sono nove (in dubbio "Hercules Oetaeus") ma non sappiamo molto riguardo la data della loro composizione o di loro eventuali rappresentazioni. Perciò le elenchiamo secondo l'ordine tramandato dalla tradizione:

HERCULES FURENS, è composta sullo schema dell'Eracle Euripideo e narra la follia di Ercole che, spinto da Giunone, uccide tutta la propria famiglia. Solo alla fine dell'opera ritrova il senno e si purifica dalla colpa.

TROADES, insieme di tragedie formate dalla contaminazione di due drammi euripidei, le Troiane e l'Ecuba. Dopo la sconfitta della loro città le donne troiane, prigioniere dei Greci, soffrono nuove violenze come l'uccisione dei figli. Il coro effettua una riflessione sulla morte e conclude che dopo di essa non vi è nulla e la stessa morte è nulla e che è indivisibile, colpisce il corpo e non risparmia l'anima e, infine che dopo la morte torniamo a giacere dove giacciono le cose non nate.

PHOENISSAE, tragedie che si basano su un altro dramma di Euripide (Fenice) e sull' "Edipo a Colono", sono però incomplete in quanto non appare il coro delle prigioniere fenice cui fa riferimento il titolo.

MEDEA, anch'essa ispirata a Euripide e forse all'omonima tragedia perduta di Ovidio. Giasone sta per sposare Creusa, figlia del re di Corinto, allontanando Medea che, per amor suo, aveva tradito il padre aiutando Giasone a conquistare il vello d'oro e aveva abbandonato la patria. Medea, furente, valendosi delle sue arti magiche, fa morire Creusa e suo padre; infine, facendo prevalere l'odio per Giasone sull'amore materno, uccide i figli avuti da lui.

PHAEDRA, composta oltre che sul solito modello euripideo, anche sulla tragedia di Soflocle e Ovidio: tratta dell'incestuoso amore di Fedra per il figliastro Ippolito il quale, restio alle seduzioni della matrigna, viene denunciato al padre Teseo e per questo ucciso.

OEDIPUS, ispirato all'Edipo di Sofocle: Edipo, inconsapevole di aver ucciso il padre Laio e di essersi poi congiunto in matrimonio incestuoso con la propria madre Giocasta, reagisce alla tremenda verità accecandosi.

AGAMEMNON, riprende molto liberamente il tema dell'Agamennone di Eschilo. Narra l'assassinio del re Agamennone al ritorno da Troia per mano della moglie e dell'amante.

THYESTES, ispirata a Sofocle e a Euripide: Atreo irato nei confronti del fratello che gli ha sedotto la sposa, imbandisce un ingannevole banchetto nel quale sono offerte le carni  dei figli del fratello stesso.

A queste tragedie se ne aggiungono altre due considerate oggi non autentiche:

HERCULES OETAEUS, modellato sulle Trachinie di Sofocle. Il termine "Oetaeus" si riferisce all'Eta, monte sul quale Ercole si uccise gettandosi in un rogo.

OCTAVIA, di argomento romano (sorte della moglie di Nerone). Sebbene la sua composizione sia da collocare negli anni di vita di Seneca, al suo interno è presente la descrizione della morte di Nerone (68 d.C.), successiva di tre anni a quella di Seneca.

Le tragedie di Seneca si ispirano a drammi greci che quasi sempre conserviamo. Presentano comunque notevoli differenze rispetto ai modelli: scene aggiunte, omesse, o diversamente sviluppate, e diversità anche molto rilevanti nelle motivazioni delle azioni e nella caratterizzazione dei personaggi.

Non sappiamo a quale tipo di fruizione fossero destinate. A lungo si è ritenuto che esse non potessero essere rappresentate: sia perché prevedono l'esecuzione sulla scena di uccisioni, apparizioni mostruose, ecc.; sia perché i personaggi tengono spesso discorsi molto lunghi che comportano altrettanto lunghi silenzi di altri personaggi presenti in scena; sia infine perché appare complessivamente scarsa la preoccupazione per la dinamica dello sviluppo drammatico, mentre l'attenzione è sui discorsi, sui dialoghi e sulla coerenza dei singoli quadri. Ma oggi molti riconoscono che la destinazione scenica, benché poco probabile, non è però inammissibile: gli atti sanguinari potevano essere simulati, e anche lo spettatore teatrale poteva appassionarsi più all'eloquenza delle parole che allo sviluppo drammatico di azioni del resto notissime.

Lo stile tragico di Seneca presenta, esasperate, le stesse caratteristiche di quello del filosofo. La sobrietà della sintassi, concentrata all'eccesso, enfatizza la parola grazie all'incessante ricorso a figure di suono e senso, ad interrogative retoriche, ad esclamative e ad ogni altro espediente declamatorio. Tanta magniloquenza serve a descrivere scenari raccapriccianti, a gridare orrori che altrimenti la parola normale non riuscirebbe nemmeno a pronunciare. Cellula dello stile senecano continua ad essere la "sententia", che spesso interviene a salvare, con le sue definizioni o asserzioni fulminanti, anche quella che parrebbe la parte più debole della tragedia, il dialogo. Il teatro tragico di Seneca vive non tanto dei contrasti tra i personaggi, quanto tra quelli che avvengono dentro i personaggi. I monologhi di Seneca sono lunghissime effusioni sentimentali, lunghe confessioni, lunghi dialoghi interiori. Ad essi si contrappongono i cori che il più delle volte espongono solo la voce interna dell'autore stesso. In Seneca si avverte il gusto del Pathos esagerato, la tendenza a creare appunto delle sentenze rispettando i parametri caratteristici della "brevitas" asiana. Spesso per raggiungere l'apice della drammaticità l'autore intervalla lo svolgimento delle vicende con lunghe digressioni che venivano a creare storie più piccole pressoché indipendenti dalla trama della tragedia. Quello senecano è quindi uno stile molto chiaro, incisivo, che coinvolge facilmente l'attenzione del lettore. Tutte le tragedie risultano divise in cinque atti: cinque parti costituite da dialoghi o monologhi di personaggi, separate l'una dall'altra da quattro parti corali. Orazio per primo aveva teorizzato la divisione della fabula in cinque atti.

Seneca ha approfondito nelle sue tragedie tutto quello che la sua opera filosofica condannava.  Infatti ci si trova di fronte ad immagini che, sotto forma di "exempla" riassumono l'emblema della dottrina stoica, anche se le analogie non sono da accentuarsi troppo per due validi motivi:

persiste comunque una matrice specificatamente letteraria e non filosofica;

nell'universo tragico il logos, il principio razionale cui la dottrina stoica affida il governo del mondo, si rivela incapace di frenare le passioni e arginare il dilagare del male: la realtà infatti, spesso descritta in toni cupi e atroci è lo scenario nel quale regna il male che coinvolge non solo la psiche umana, ma il mondo intero, conferendo al conflitto tra bene e male una dimensione cosmica e una portata universale.

Il saggio stoico doveva educarsi quotidianamente al controllo delle passioni, al distacco dai beni terreni e dalle lusinghe del potere, alla ricerca del giusto e del bene. Lo strumento di tale ricerca della virtù era la "ratio" ben applicata (o mens bona). Nelle tragedie la virtù, il bene, la giustizia vengono irrisi e calpestati, ogni forma di ragione smarrita, ogni legge umana e divina infranta. Per il saggio stoico lo studio della natura era uno strumento per elevarsi alla conoscenza del divino. Nelle tragedie l'unica scienza è la magia nera, il dominio delle forze della natura a scopo malefico. Al contrario della morale senecana, qui non c'è orrore, sevizia, mutilazione o crimine di sangue che non venga illustrato con agghiacciante compiacimento.

Nei Dialogi e nelle Epistulae morales è mostrato come l'anima che assecondi la propria natura non possa che guardare in alto, verso la luce, verso quelle altezze spirituali da cui viene e a cui è destinata a tornare dopo la morte. I personaggi delle tragedie, invece, rifuggono dalla vista della luce, lanciandosi con voluttà a capofitto dentro le buie voragini aperte nella loro anima da ogni sorta di passione o ambizione.

La tragedia di Seneca è esperienza totale del male e lo conduce a esperire poeticamente tutti i nodi, o tabù, antropologici più importanti: incesto, parricidio o altra forma di assassinio di un familiare, cannibalismo. Raramente l'infrazione si presenta unica: il più delle volte il "nefas", l'atto contro ogni legge umana e divina, è multiplo. Inoltre, nelle tragedie, ha grande rilevanza il tema del potere, e in particolare del potere tirannico, incontrollato e sanguinario, e ciò riflette evidentemente all'esperienza personale dell'autore, tuttavia senza esplicite allusioni. La riflessione sul potere è riportata al mito, non perché esso faccia da copertura a prese di posizioni su questioni contingenti di attualità, bensì per esaltare la dimensione generale, primordiale, di quei grandi temi.


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