LA PESTE DI ATENE
Ma una cosa fra tutte, degna di pietà più
profonda, era causa d'affanno: quando ciascuno si vedeva colpito dal morbo,
come se fosse condannato a morte, smarrendosi d'animo giaceva con il cuore
afflitto, e volgendo lo sguardo alla prossima fine, là dove si trovava esalava
l'anima. Giacché in nessun momento cessava d'apprendersi dall'uno all'altro il
contagio del morbo insaziabile, come fra pecore lanose o mandrie bovine. E
questo più d'ogni cosa accumulava morte su morte. Quanti evitavano di far
visita ai familiari malati, troppo avidi di vita e timorosi della morte, li
puniva poco più tardi con morte brutta e crudele, soli, privi di aiuto,
l'assenza di cure che uccide. Ma quelli ch'eran pronti ad assistere, se ne
andavano per il contagio e la fatica, a cui allora li costringeva il pudore e
il supplice richiamo degli infermi misto a una voce di pianto. Erano dunque i
migliori a incontrare questo genere di morte. [] e l'uno sull'altro,
gareggiando nel seppellire la folla dei loro morti: tornavano stanchi di
lacrime e di dolore; quasi tutti poi si buttavano sul letto per l'angoscia. Non
si poteva trovare nessuno, che il morbo o la morte o il lutto non colpissero in
un tale momento. E ormai languiva ogni pastore, ogni guardiano di armenti e chi
reggeva il curvo aratro col braccio robusto, e stipati nel fondo delle capanne
giacevano i corpi, dalla miseria e dal male dati in preda alla morte. Sui
bambini esanimi si vedevano talvolta i corpi inanimati dei genitori, e
all'opposto talora sulle madri e sui padri i figli esalare la vita. In non
piccola parte quel dolore affluiva nella città dai campi: lo portava la folla
languente dei campagnoli, già contagiata raccogliendosi qui da ogni parte.
Gremivano tutti i luoghi e le case; tanto più nella calura, così serrati, a
mucchi li accatastava la morte. Molti corpi abbattuti dalla sete per via e
rotolati vicino ai getti delle fontane giacevano stesi, mozzato il respiro
dalla troppa dolcezza dell'acqua; e in gran numero si vedevano ovunque, offerte
agli sguardi nei luoghi pubblici e per le vie, membra estenuate di corpi
malvivi, ispide di lordura e coperte di stracci, perire nel sudiciume del
corpo, ridotte pelle e ossa, già quasi sepolte da orribili piaghe e dalla
sporcizia. Tutti i sacrari degli dèi la morte aveva riempiti di corpi esanimi,
e i templi dei celesti rimanevano ovunque ingombri di cadaveri: li avevano
affollati di ospiti i guardiani dei santuari. Ché ormai non si faceva gran
conto della religione né della potenza divina: soverchiava il dolore presente.
Né più si osservava nella città il rito di sepoltura con cui prima quel popolo
sempre usava celebrare le esequie; ora, tutto sbigottito, trepidava, e
ciascuno, <composti> come poteva i suoi morti, tristemente li seppelliva.
E a molti atti orrendi li spinsero l'urgenza e il bisogno. I propri congiunti
sui roghi accatastati per altri deponevano con grande clamore e cacciavano
sotto le fiaccole, sovente rissando fra il sangue pur di non abbandonare quei
corpi. [.]