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Saffo (sec. VII-VI a.C.) fu una poetessa greca che, vissuta al centro di un tiaso di fanciulle, espresse all'interno delle sue composizioni sentimenti d'amore per alcune di queste. Dei suoi nove libri, ordinati e raccolti dai filologi alessandrini, sono rimasti solo un inno dedicato ad Afrodite e numerosi frammenti di cui uno, descrivente il turbamento d'amore, che Catullo ha tradotto e ripreso nel suo Carme 51.
SAFFO |
CATULLO |
Simile a un dio mi sembra quell'uomo che siede davanti a te, e da vicino ti ascolta mentre tu parli con dolcezza e con incanto sorridi. E questo fa sobbalzare il mio cuore nel petto. Se appena ti vedo, subito non posso più parlare: la lingua si spezza: un fuoco leggero sotto la pelle mi corre: nulla vedo con gli occhi e le orecchie mi rombano: un sudore freddo mi pervade: un tremore tutta mi scuote: sono più verde dell'erba; e poco lontana mi sento dall'essere morta. |
Egli mi sembra essere pari a un dio, egli, se è lecito, superare gli dei, che sedendo di accanto a te ti guarda e ti ascolta ridere dolcemente; a me misero vengono meno i sensi: perché appena, Lesbia, ti vedo, non mi rimane più alcuna voce. Mi si lega la lingua, una leggera fiamma si spande nelle vene, un suono sibila negli orecchi e i miei occhi sono coperti dalla notte. L'ozio, Catullo, ti molesta: troppo nell'ozio immerso fantastichi. L'ozio stesso ha rovinato re e città fiorenti |
L'ode contiene un "elenco" di tutte le sensazioni e i sentimenti che la gelosia e l'amore provocano in chi è costretto a vedere la donna amata con qualcuno di estraneo. Nella descrizione sono coinvolti tutti i sensi: la voce scompare, le orecchie rombano, la vista si annebbia, brividi percorrono il corpo.. E' molto particolare il fatto che non vi sia alcuna indicazione di odio dovuto all'invidia ma, anzi, colui che ha la fortuna di vedere e ascoltare da vicino la donna è ammirato e posto su di un "gradino più elevato".
Dal confronto dei due componimenti vediamo che, nella sua poesia, Catullo si limita quasi esclusivamente a tradurre, e solo in parte a rielaborare, le prime tre strofe dell'ode di Saffo ma, inoltre, introduce una strofa di carattere gnomico, contenente una riflessione sull'ozio.
Analizzando dettagliatamente il carme notiamo che il poeta ha ripreso alcuni elementi ricorrenti in altre sue opere. Già nella prima strofa, infatti, egli utilizza un'iperbole (verso 2), probabilmente per accentuare il sentimento di profonda invidia (o forse pesino di ammirazione) nei confronti di chi si trova con la donna da lui amata, attraverso un paragone con le divinità. Questa figura retorica è una delle più sfruttate da Catullo, che la inserisce nei suoi carmi, sia con valore numerico, sia qualitativo (Ad esempio nel carme 70 pone in paragone se stesso e Giove, il più potente degli dei).
Un'altra forma stilistica Catulliana qui ripresa consiste nella chiara esplicazione dell'interlocutore. Mentre, infatti, la poesia di Saffo è evidentemente dedicata ad una donna di cui, però, non possiamo ricavare alcun elemento descrittivo, quella del poeta romano contiene anche i nomi dei "destinatari": Lesbia (verso 7), a cui sono dedicate le prime tre strofe, e Catullo (verso 13), che si rivolge a se stesso nell'ultima parte del componimento.
Un'ultima aggiunta che possiamo segnalare consiste nell'aggettivo "misero" del 5 verso che crea una contrapposizione tra l'"osservatore"-Catullo, che deve limitarsi a guardare da lontano, e l'uomo beato che può parlare alla donna e ammirarla da vicino.
L'ultima strofe catulliana differisce completamente da quella saffica, che prosegue con l'elencazione delle sensazioni, in quanto presenta una riflessione del poeta su se stesso, che non contiene alcun legame con i versi precedenti. Infatti, egli si auto-incita a non lasciarsi sopraffare dal desiderio e dalla gioia dell'ozio, fortemente evidenziato attraverso un'anafora e una sua personificazione, e individuato come elemento negativo negli ultimi due versi, in cui è riconosciuto come la causa della caduta di grandi regni e potenti città.
Dal punto di vista della metrica Catullo riprende la strofe Saffica ( così chiamata appunto perché usata da Saffo nella maggior parte delle sue opere) che risulta composta da tre endecasillabi e un adonio.
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