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Plauto è il primo poeta latino a dedicarsi interamente ad un solo genere teatrale: scrive solo palliate. Egli imita, cioè, traduce, rielabora o riadatta copioni attici della Commedia nuova: Menandro, Difilo, Filemone e altri (IV-III sec. a.C.).
La sua attività si svolge in un arco di tempo che va, all'incirca, dalla ripresa delle ostilità con Cartagine (218, inizio della seconda guerra punica) ad un momento compreso tra il 186 (nella commedia intitolata Cosina si allude al senatusconsultum de Bocchonalibus, che in quell'anno vietò il culto di Dioniso) e la morte, avvenuta nel 184.
Già nel II secolo a.C. circolavano sotto il nome di Plauto ben centotrenta commedie. Il dibattito sulla loro autenticità fu uno dei primi affrontati dalla nascente filologia latina: liste di commedie da ritenersi genuine proposero, ad esempio, il grammatico Elio Stilone (famoso anche per aver sostenuto che «se le Muse avessero parlato in latino, lo avrebbero fatto con la voce di Plauto»), il tragediografo Accio, che fu anche un filologo e uno storico del teatro, e molti a1tri. Ma l'intervento decisivo fu quello del reatino Marco Terenzio Varrone (116-127 a.C.), che stabilì la lista, divenuta poi canonica, delle ventuno commedie sicuramente genuine: a esse Varrone aggiungeva un'altra ventina di dubbie, cioè di incerta o solo parziale plautinità.
Il prestigio di Varrone fece sì che le ventuno, dette appunto «varroniane», si imponessero sulle altre. Nel I secolo d.C. si leggevano ancora commedie non incluse nelle varroniane, ma nel II secolo si leggevano ormai solo le varroniane. Queste, raccolte nel IV e V secolo su singoli rotoli di papiro ma tutte di seguito in uno stesso codice di pergamena, poterono giungere sino a noi pressoché integre - ad eccezione dell'ultima, la Vidularia, di cui rimangono solo un centinaio di versi frammentari, e di qualche lacuna in Amphitruo, Aulularia, Bacchides, Casina.
Sulla cronologia delle commedie è possibile dire ben poco. Alla prima fase della produzione plautina, coincidente con gli anni della seconda guerra punica (218-201), nei quali l'unica occasione per spettacoli teatrali era offerta dai ludi Romani (15-18 settembre), appartengono probabilmente l'Asinaria e il Mi]es g]oriosus (qui, un'allusione al poeta Nevio prigioniero rinvia agli ultimi anni di guerra), forse anche la Cistellaria e il Mercator. A partire dal 200 a.C. le occasioni teatrali si moltiplicano: in quell'anno vengono resi scenici, cioè aperti alle rappresentazioni, i ludi plebeii (15 novembre), e Plauto, come si ricava dalla «didascalia» della commedia (cioè dalla notizia coi dati essenziali: autore, titolo, festività e magistrati ad essa preposti, capocomico), vi figurò con lo Stichus: inaugurando la seconda fase, quella postbellica, della propria produzione, nella quale rientrano le restanti quindici varroniane. Anche dello Pseudolus s'è conservata una breve didascalia, che colloca la commedia nei Megalenses del 191: questi ludi erano stati resi scenici nel 194. Per una serie di allusioni in esse contenute, è probabile che cadano in epoca posteriore, cioè negli ultimi anni del poeta, l'Amphitruo, le Bacchides, il Persa, il Trinummus e la Casina (185-184).
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