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Cicerone - Epistole
Epistulae ad familiares
Ad familiares 2, 4, 1 - I generi epistolari
Cicerone saluta Gaio Curione.
Sai bene che si sono molti generi epistolari, ma il genere per eccellenza è
quello per il quale è stato inventato il genere stesso, per informare chi è
lontano, se è accaduto qualcosa che importi a noi o a loro che essi seppiano.
Senza dubbio non aspetti da parte mia lettere di questo genere. Delle tue
faccende private infatti hai corrispondenti e messaggeri di casa tua, riguardo
poi le mie faccende non c'è nessuna novità. Sono rimasti due generi epistolari,
che mi piacciono molto, uno familiare e gioviale, l'altro serio e grave. Non
capisco quale dei due mi si addica meno usare. Dovrei scherzare con te per
lettera? Certamente non penso di essere un cittadino che possa ridere in questi
tempi. O forse scrivere qualcosa di serio? Che cosa c'è che possa essere
seriamente scritto da Cicerone a Curione se non sullo stato? Eppure in questo
tipo di lettera la mia situazione è tale che né oso (scrivere) ciò che penso,
né voglio scrivere ciò che non penso.
Ad familiares 4, 6 - Tempi duri
Io davvero, Servio, vorrei, come scrivi, che tu fossi stato con me nella mia gravissima disgrazia. Quanto avresti potuto infatti aiutarmi con la tua presenza confortandomi e soffrendo quasi con me lo capisco facilmente dal fatto che ho trovato alquanto sollievo una volta lette le lettere. Infatti hai scritto parole tali da poter alleviare il mio lutto e consolandomi hai dimostrato tu stesso un grande dolore dell'animo. Tuttavia il tuo Servio dimostrò con tutte le premure che si poterono accordare in quel frangente quanto mi tenesse in considerazione e quanto pensava che ti sarebbe stata gradita una tale disposizione d'animo nei miei confronti. E le sue premure mi furono spesso certamente assai bene accette, tuttavia mai più gradite. Mi procurano conforto non solo le tue parole e la tua partecipazione al mio dolore,ma anche la tua autorevolezza. Ritengo infatti vergognoso che io non sopporti così la mia disgrazia come tu dotato di tale saggezza pensi che si debba sopportare. Ma sono talvolta oppresso e a stento resisto al dolore, poiché mi mancano quelle consolazioni che non mancarono in una simile circostanza ad altri, la cui condotta esemplare mi è presente. Infatti sia Quinto Massimo che perse il figlio ex console, uomo famoso anche per le grandi imprese, sia Lucio Paolo, che in sette giorni ne perse due, sia il vostro Gallo, sia Marco Catone, che perse un figlio di sommo ingegno e virtù vissero in tempi tale che il prestigio degli stessi consolò il loro dolore, cose che scaturivano dallo stato. Ma a me, perduti quegli onori che tu stesso menzioni e che avevo ottenuto grazie a grandissime fatiche, rimaneva quel solo conforto che mi è stato sottratto. Non ostacolavano il corso dei miei pensieri né gli affari degli amici né le cure dello stato, non mi piaceva fare niente nel foro, non potevo rivolgere l'attenzione alla curia, pensavo, cosa che effettivamente era, di aver perso tutti i vantaggi della mia attività e della sorte. Ma mentre pensavo di avere in comune queste cose con te e con alcuni e mentre mi dominavo da me stesso e mi costringevo a sopportarle con pazienza, avevo dove rifugiarmi, dove trovare riposo, qualcuno nella cui dolce conversazione riversare tutti gli affanni e i dolori. Ma ora per questa così profonda ferita anche tutte quelle che sembravano aver cominciato a risanarsi tornano a sanguinare. Infatti, come allora dalla vita pubblica accoglieva me triste una casa che mi offriva conforto, così ora da casa afflitto non posso rifugiarmi nello stato in modo da trovare pace nei suoi vantaggi. Pertanto sono distante da casa e dallo stato, poiché né la casa può ormai consolare quel dolore che ricevo dalla vita pubblica, né lo stato quello familiare. Tanto più ti aspetto e desidero vederti quanto prima. Nessun maggior sollievo mi si può arrecare che il vincolo della nostra amicizia e dei nostri discorsi; pertanto spero che il tuo arrivo si avvicini (così infatti sento dire). Ma io desidero vederti quanto prima sia per molte ragioni sia anche affinché riflettiamo prima tra noi in quale modo dobbiamo trascorrere questo periodo di tempo, cosa che è da conformare alla volontà di uno solo, saggio e liberale e, come mi pare d'aver visto chiaramente, senza ostilità nei miei riguardi e pieno di amicizia nei tuoi. Stando così le cose, tuttavia dobbiamo vagliare quale condotta adottare non per fare qualcosa, ma per stare tranquillo grazie al suo favore e alla sua benevolenza. Sta' bene.
Ad familiares 6, 15 - Un "grazie" per la soppressione del tiranno
Cicerone saluta Basilo
Con te mi congratulo, per me sono contento; ti sono vicino, ho cura delle tue
cose; ti chiedo di volermi bene e di farmi sapere che cosa fai e che cosa
succede.
Ad familiares 14, 4 - Sono un uomo rovinato
Vi scrivo meno di quanto potrei, perché, se ogni istante è miserabile per me, quando poi scrivo a voi o leggo le vostre lettere, allora mi struggo in lacrime, da non poter resistere. Oh, se avessi meno desiderato la vita! Non avrei certamente veduto alcuno o molti mali nella vita stessa. Se dunque la fortuna mi ha risparmiato per qualche speranza di ricuperare prima o poi un poco di felicità, il mio errore non è stato grande; ma se queste sventure sono definitive, desidero vederti al più presto, o vita mia, e fra le tue braccia morire, dal momento che né gli dei, da te purissimamente onorati, né gli uomini, da me sempre serviti, ci contraccambiarono. Sono rimasto a Brindisi, presso Marco Lenio Flacco, tredici giorni. Persona ottima, egli trascurò, per salvarmi, il rischio di perdere i bene e la testa, e non si lasciò dissuadere dalla pena che commina una legge iniquissima, dal compiere i sacri doveri dell'ospitalità e dell'amicizia. Magari un giorno possa io contraccambiargli il beneficio! La riconoscenza sarà comunque eterna. Partii da Brindisi il 30 aprile, diretto a Cizico attraverso la Macedonia. Sono un uomo rovinato, un uomo abbattuto! Come potrei chiederti di raggiungermi, donna malata e stremata nelle forze fisiche e morali? Non te lo chiederò? Rimarrò dunque senza di te? Penso di fare così: se esistono speranze di un mio ritorno, rafforzale e datti da fare in questo senso; se, come temo, la partita è chiusa, cerca di raggiungermi a qualsiasi costo. Questo solo sappi bene: se ti avrò con me, non mi sembrerà di aver perso tutto. Ma che avverrà della mia piccola Tullia? Vedete ormai voi, io non so che ben fare. In ogni caso, è certo che quella poverina deve tener conto sia del suo matrimonio che della sua reputazione. E poi, che farà il mio Cicerone? Egli sì vorrei fosse sempre sulle mie ginocchia, fra le mie braccia. Non posso scrivere oltre, a questo punto; me lo impedisce lo sconforto. Cosa tu faccia lo ignoro, se possiedi qualcosa o, come temo, sia stata spogliata di tutto Pisone, come scrivi, spero sarà sempre dei nostri. Quanto alla liberazione degli schiavi, non c'è motivo di preoccuparti. Anzitutto ai tuoi fu promesso che avresti agito verso ciascuno secondo i suoi meriti, e ligio al suo dovere è tuttora Orfeo, nessun altro assolutamente. Quanto ai rimanenti servi, la cosa sta così: che se ci fossero alienati, divengano nostri liberti, qualora possano ottenerlo; se dipendessero ancora da noi, ci servano, a eccezione di pochissimi. Ma queste sono faccende di minor conto. Quanto alle tue esortazioni di confidare e sperare di riprender vita, vorrei fosse cosa in cui potessimo sperare legittimamente. Ora, infelice, quando più riceverò una tua lettera? Chi me la porterà? L'avrei aspettata a Brindisi, se non l'avessero permesso i marinai, mentre non vollero lasciarsi sfuggire il bel tempo. Per il resto, vivi, o mia Terenzia, col medesimo decoro, come puoi fare. Siamo vissuti floridamente, fummo abbattuti non da una colpa, ma da un merito: nessuna colpa abbiamo commesso, tranne quella di non aver abbandonato la vita insieme ai suoi ornamenti. Ma se fu più gradevole ai nostri figli che noi vivessimo, sopportiamo tutto il resto, per quanto sia insopportabile! Eppure io, che cerco di farti coraggio, non posso darne a me stesso. Ho rimandato indietro Clodio Filetero, elemento fedele, perché angustiato dal male agli occhi. Sallustio supera tutti in zelo; Pescennio è devotissimo a me, e spero sarà sempre riguardoso verso di te. Sicca mi aveva promesso di stare con me, ma poi è partito da Brindisi. Cerca, come puoi, di star sana e, credi che io mi turbo più per la tua infelicità che per la mia. Terenzia mia, fedelissima e ottima moglie, e mia carissima figliola, e tu, speranza mia superstite, Cicerone, state bene. Da Brindisi il 30 aprile.
Ad familiares 14, 8 - Alla moglie Terenzia
Marco Tullio Cicerone saluta la sua Terenzia
Se tu stai bene, me ne compiaccio, sto bene. Vorrei che tu curassi la tua
salute nel modo più scrupoloso. Infatti sono stato avvertito per lettera che tu
all'improvviso ti sei buscata la febbre. Per il fatto che mi hai informato
delle lettere di Cesare, mi hai fatto cosa gradita. Allo stesso modo comportati
d'ora in poi, se ci sarà bisogno di qualcosa: se ci sarà qualche novità,
troverai il modo di informarmi. Stammi bene. Consegnata il 2 giugno.
Ad familiares 14, 12 - Ritorno a Brindisi
Quanto alla gioia che tu provi che io torni salvo in Italia, vorrei che tu ne provi per lungo tempo. Ma temo che, sconvolto da un intimo dolore e da gravi offese, ho preso una tale decisione che non posso portare a termine facilmente. Perciò, aiuta(mi), per quanto puoi; ma come tu (possa) non mi viene in mente. Non c'è ragione che tu ti metta in viaggio in questa circostanza. Il viaggio è lungo e non sicuro; e non vedo come tu possa essere utile, se verrai. Stammi bene. Consegnata il 4 novembre da Brindisi.
Ad familiares 14, 19 - Padre e figlia
Fra i miei acerbissimi dolori mi tormenta la malattia della nostra Tullia, sulla quale non c'è ragione per cui li scriverò di più; so con certezza infatti che ti sta tanto a cuore quanto a me. Riguardo al fatto che desiderate avvicinarvi a me, vedo che bisogna fare così e l'avrei fatto anche prima, ma molte cose, che nemmeno ora sono fuori dai piedi, mi hanno ostacolato. Ma aspetto una lettera da Pomponio, che vorrei che mi facesse recapitare quanto prima. Fai in modo di star bene. Data 28 novembre da Brindisi.
Ad familiares 14, 23 - Cesare e Cicerone
Se stai bene, me ne compiaccio, io sto bene. Finalmente mi è stata consegnata una lettera da parte di Cesare abbastanza cordiale e che si dice che arriverà più presto di quanto si possa pensare; ti informerò se gli andrò incontro o se lo aspetterò qui. Vorrei che mi rimandassi i corrieri quanto prima. Cura con attenzione la tua salute. Stammi bene. Consegnata il 12 agosto.
Ad familiares 16, 13 - A Tirone malato
Considererò che tu mi abbia donato ogni cosa se ti vedrò star bene in salute. Aspetto con grande ansia l'arrivo di Menandro che ti ho mandato. Se mi vuoi bene, fai in modo di star bene e, quando starai bene, raggiungimi. Stammi bene, 10 aprile.
Ad familiares 16, 14 - Schiavo e padrone
Andrico è giunto il giorno dopo rispetto a quando l'aspettavo; pertanto ho trascorso una notte piena di timore e di angoscia. Dalle tue lettere non sono affatto rassicurato sulla tua salute, ma sollevato sì. Per parte mia sono privo di ogni piacere che mi viene dagli studi letterari a cui non sono in grado di dedicarmi prima di averti visto. Fa' promettere al medico quanto onorario chieda. L'ho scritto a Ummio. Sento dire che ti tormenti nell'animo e che il medico dice che questa è la causa del tuo malanno. Se mi vuoi bene, scuoti dal torpore la tua cultura letteraria e la tua sensibilità, perché mi sei molto caro. Ora è necessario che tu stia bene nell'animo per poterlo essere anche nel corpo. Ti chiedo di farlo sia per te che per me. Trattieni Acasto, per essere meglio servito. Riguardati per me. Il giorno della promessa è vicino, che anzi anticiperò se verrai. Ancora una volta (tanti saluti) (e) stammi bene. 2 aprile, verso mezzogiorno.
Epistulae ad Atticum
Ad Atticum 1, 1-5; 8 - Tutto quanto nel cor gli rugge
Non appena sono giunto a Roma e ci fu qualcuno a cui dare con sicurezza le lettere per te, ho pensato di non dover far nulla prima di rallegrarmi con te che eri assente dal nostro ritorno. Infatti avevo capito che tu nel darmi i consigli non sei stato né più forte né più saggio di me stesso e neanche troppo diligente nella custodia della mia salvezza per il mio rispetto per te; e che tu stesso, che nei primi tempi del nostro errore o piuttosto della nostra follia fosti confidente e compagno di un falso timore, hai sofferto con molto dolore la nostra lontananza e hai impiegato il più possibile di azione, impegno, scrupolosità, fatica per rendere possibile il mio ritorno. Pertanto ti assicuro seriamente (questo) che nella massima gioia e nell'assai desiderata felicitazione mi è mancata una sola cosa per portare al colmo la gioia, la tua presenza o piuttosto il tuo abbraccio. E una volta che avrò questo non ti lascerò più e se non raccoglierò anche tutti i frutti trascurati della tua amabilità del tempo passato, sicuramente non mi riterrò proprio degno abbastanza di questa recuperata fortuna. Io finora, ho ottenuto ciò che credevo molto difficile si potesse riacquistare nella mia situazione, la mia gloria forense d'un tempo e nel senato autorità e presso uomini onesti un prestigio maggiore di quanto desidero. Per quanto poi concerne il patrimonio, che sai bene in che modo sia stato diminuito, sperperato, saccheggiato, sono molto angustiato, e ho bisogno non tanto dei tuoi averi, che considero i miei, quanto dei tuoi consigli per raccogliere e riordinare quanto mi resta. Ora anche se penso che tutto sia stato o scritto dai tuoi o anche riferito da corrieri e voci, tuttavia scriverò in breve quello che ritengo che tu voglia sapere principalmente dalle mie lettere. Il 4 agosto sono partito da Durazzo, proprio nel giorno in cui è stata approvata la legge che mi riguarda. Sono giunto a Brindisi il 5 agosto. Ivi era presente la mia piccola Tullia proprio il giorno del suo compleanno, giorno che per caso era anche l'anniversario della fondazione della colonia di Brindisi e del tempio della Saluta tua vicina; e questa circostanza notata da una moltitudine fu festeggiata con grandi manifestazioni di gioia dei Brindisini. Il 13 agosto ho saputo, mentre ero a Brindisi, dalla lettera di mio fratello Quinto che la legge era stata approvata nei comizi centuriati con straordinario entusiasmo (di elettori) di ogni età e classe sociale, e con un'enorme affluenza (di cittadini) dell'Italia. Di lì equipaggiato onorevolmente dai Brindisini mi sono messo in viaggio sicché da ogni parte venivano a me deputazioni di cittadini per congratularsi. Sono giunto a Roma cosicché non ci fu nessuno di alcuna classe sociale noto al nomenclatore che non mi sia venuto incontro, tranne quegli avversari ai quali non era possibile dissimulare o negare proprio questo, cioè di essere miei nemici. Quando sono giunto alla porta Capena, i gradini dei Templi erano stati riempiti dalla plebe più umile. E mentre quella con applausi scroscianti mi ha espresso le proprie congratulazioni, una simile folla e un simile applauso mi hanno festeggiato fino al Campidoglio e nel foro e nel Campidoglio stesso ci si è dovuti meravigliare della moltitudine. In senato il giorno dopo, che era il 5 settembre, ho ringraziato i senatori. Così stanno le cose, 'incerte in riferimento ai tempi felici, buone i n rapporto ai tempi tristi'. Quanto ai beni familiari, come sai, sono molto preoccupato. Inoltre ci sono alcune contrarietà in famiglia che non affido alle lettere. Voglio bene così come devo a mio fratello Quinto dotato di insigne devozione, coraggio e fedeltà. Ti aspetto e ti prego di affrettare il tuo arrivo e di venire con tale disposizione d'animo da non lasciare che io avverta la mancanza del tuo consiglio. Do inizio, per così dire, a un'altra vita. Già alcuni che mi hanno difeso quanto ero assente cominciano ad irritarsi segretamente con me che sono presente, ad invidiarmi palesemente. Sento fortemente la tua mancanza.
Ad Atticum 1, 18, 1 - Ci vorrebbe un amico
Sappi che ora niente mi manca tanto quanto una persona con cui poter condividere tutto ciò che mi procura una qualche inquietudine, che mi voglia bene, che sia saggia, con cui io possa, quando parlo, nulla dire falsamente, nulla fingere, nulla nascondere. Mi manca infatti un fratello tanto sincero e affezionato. Metello non è uomo ma 'spiaggia e aria e pura solitudine'. Ma tu che molto spesso con le tue parole e la tua saggezza nel darmi consigli hai risollevato l'inquietudine e l'angoscia del mio animo, che sei solito essermi compagno nella politica, confidente della mia vita privata e complice di tutte le mie orazioni e decisioni, dove sei mai? Sono abbandonato da tutti cosicché trovo un po' di pace solo nel tempo che trascorro con mia moglie, la mia figlioletta e il dolcissimo Cicerone. Infatti quelle (famose= nostre amicizie ambiziose e false sono, per così dire, per il lustro pubblico, non comportano alcuna gioia familiare. Pertanto quando la casa è completamente piena di mattina, quando scendiamo al foro strettamente attorniati da schiere di amici non possiamo trovare nessuno nella larga folla col quale poter scherzare liberamente o sfogarci familiarmente. Perciò ti aspettiamo, sentiamo la tua mancanza, ti chiamiamo anche subito. Molte sono infatti le cose che mi preoccupano e mi angosciano, che mi sembra di poter distruggere una volta ottenuto il tuo ascolto nella conversazione di una sola passeggiata.
Ad Atticum 3, 3 - La via dell'esilio
Magari io veda quel giorno in cui io abbia a ringraziarti, perché mi hai costretto a vivere! Tuttora, certo, me ne rammarico molto. Comunque ti prego di venire subito da me a Vibone, verso cui io per molte ragioni ho mutato il mio tragitto. Se verrai là, potrò prendere una risoluzione su tutto il viaggio e il mio esilio. Se non lo farai, mi stupirò; ma confido che lo farai.
Ad Atticum 3, 4 - "Come sa di sale lo pane altrui"
Terenzia ti ringrazia spesso e massimamente. Ciò mi è molto gradito. Io vivo assai infelicemente e sono abbattuto da massimo dolore. Non so che cosa scriverti. Se infatti sei a Roma, ormai non puoi raggiungermi; ma se sei in viaggio, quando mi raggiungerai, esamineremo insieme quel che si dovrà fare. A tal punto ti prego, poiché proprio a me hai sempre voluto bene, di avere lo stesso affetto; io infatti sono lo stesso. I miei nemici mi hanno tolto le mie cose, non me stesso. Cerca di star bene. Consegnata il 10 Aprile a Turi.
Ad Atticum 8, 13 - Presa di coscienza
La grafia dello scrivano ti sia prova della mia infiammazione agli occhi e motivo stesso della brevità; sebbene ora davvero non ho nulla da scrivere. Ogni mia attesa è rivolta alle notizie da Brindisi; se questo (Cesare) avesse incontrato il mio Gneo, ci sarebbe una fragile speranza di pace, ma se quello prima fosse passato oltre, ci sarebbe il timore di una guerra rovinosa. Ma non vedi in quale uomo si è imbattuto lo stato, quanto acuto, quanto attento, quanto preparato? Se, per Ercole, egli non ucciderà nessuno e non sottrarrà niente a nessuno, sarà onorato in sommo grado da quelli che maggiormente lo hanno temuto. Gli abitanti dei municipi parlano molto con me, e molto anche i contadini; non si curano proprio di nient'altro, se non dei loro poderi, delle loro case di campagna, dei loro gruzzoli di denaro. E vedi come sia mutata la situazione: temono quello in cui prima avevano fiducia, amano questo che prima temevano. Non posso pensare per quanti nostri errori e manchevolezze ciò sia accaduto. Ma ti ho scritto quali vicende ritenessi essere minacciose, e già aspetto una tua lettera.
Ad Atticum 13, 19, 2-5 - Uno scrittore di successo
Come vedo, la tua autorità ha mirabilmente dato prestigio all'orazione in difesa di Ligario. Balbo e Oppio infatti mi hanno scritto di averla straordinariamente apprezzata e per questo motivo di aver inviato a Cesare una copia del discorsetto. (Anche) tu d'altra parte mi avevi scritto prima questa stessa cosa. Per quanto riguarda Varrone il motivo di cui tu parli non avrebbe potuto cancellarmi per non sembrare avido di fama; avevo infatti deciso di non includere nessun personaggio vivente nei dialoghi; ma poiché mi avevi scritto che era desiderio di Varrone e che lui ci teneva molto, li ho inclusi e ho completato non so quanto opportunamente, ma tanto accuratamente che non è possibile fare di più, tutta la problematica della Nuova Accademia in quattro libri. Tra questi ho assegnato quelli che erano gli argomenti mirabilmente raccolti da Antioco contro l'incomprensibilità dei fenomeni a Varrone. Io stesso rispondo a quegli argomenti; tu sei il terzo nel nostro dialogo. Se avessi fatto disputare Cotta e Varrone tra di loro, come mi hai esortato in una lettera precedente, il mio sarebbe un personaggio muto. Questo accade piacevolmente nei personaggi del tempo passato come Eraclide ha fatto in molti suoi libri e noi nei sei tomi del 'De Republica'; anche i nostro tre del 'De oratore' mi sono vivamente graditi; anche in quelli ci sono personaggi tali che ho dovuto tacere. Parlano infatti Crasso, Antonio, Catulo da vecchio, Gaio Giulio, fratello di Catulo, Cotta, Sulpicio; questo dialogo è ambientato quando io ero ragazzo, sicché non potevo in nessun modo farne parte. Le opere invece che ho scritto in tempi presenti seguono il metodo aristotelico, nel quale la discussione degli altri è organizzata nel modo che quasi sempre a lui viene riservata la parte principale. Ho portato così a termine cinque libri 'sui termini (del bene e del male)' (sta parlando del 'De finibus') da attribuire la dottrina epicurea a Lucio Torquato, la dottrina stoica a Catone l'Uticense e i principi morali accademico-peripatetici a Marco Pisone; avevo ritenuto che ciò non sarebbe stato oggetto d'invidia, perché tutti costoro erano morti. A queste discussioni di filosofia accademica, come tu sai, avevo preso parte con Catulo, Lucullo, Ortensio. Ma esse non convenivano davvero a quei personaggi; erano infatti ragionamenti troppo sottili perché essi pensassero di averli mai sognati. Pertanto come ho letto la tua lettera su Varrone, l'ho presa come un dono di Ermes: niente avrebbe potuto essere più adatto a quel genere di filosofia, di cui lui mi sembra compiacersi massimamente, e a una parte così positiva da non essere riuscito a conseguire il risultato che le mie argomentazioni in difesa sembrassero superiori. Gli argomenti di Antioco sono assai persuasivi: quelli da me scrupolosamente enunciati hanno la sottigliezza di Antioco, ma anche la limpidezza del nostro linguaggio, se questo è di un qualche valore per noi. Ma tu vedrai e rivedrai se questi libri si devono dedicare a Varrone. Mi vengono in mente alcune cose; ma ciò a voce.
Ad Atticum 16, 6, 4 - Un proemio già usato
Ora nota la mia trascuratezza. Ti ho mandato il libro 'De gloria' e in esso quel proemio che è nel terzo 'Accademico'. Ciò è accaduto per quella ragione poiché ho una raccolta di proemi; sono solito attingerne quando ho composto un trattato. Pertanto già nella villa di Tuscolo, poiché non ricordavo di aver utilizzato il proemio che già conosci, l'ho messo in quel libro che ti ho mandato. Ma quando sulla nave ho letto gli Accademica, ho constatato il mio errore. Pertanto ho subito scritto un nuovo proemio e te l'ho mandato. Tu separerai quello, aggiungerai questo. Salutami Pila e Attica, mie tenerissime amiche.
Ad Atticum 16, 11, 4 - Il piano di un'opera
E ora, alla seconda lettera. Ho trattato in due libri la materia intorno ai doveri fin dove l'ha trattata Panezio. I suoi sono tre; ma nonostante all'inizio avesse diviso (la materia) così, (affermando) che tre sono le questioni nello studio del dovere, la prima quando giudichiamo se un'azione è onesta o disonesta, la seconda se è utile o inutile, la terza quando sembra che questi principi siano in contrasto fra loro, in quale modo si debba giudicare, come il caso di Regolo, per cui onesto era il ritornare, utile il rimanere, espose molto chiaramente le prime due, della terza promette che ne avrebbe trattato in seguito, ma non ne scrisse nulla. Questa parte l'ha trattata Posidonio. Io, da parte mia, mi sono procurato il suo libro e ho scritto ad Atenodoro il Calvo per farmi mandare i sommari dei capitoli; che sto aspettando. Vorrei che tu lo incitassi e pregassi di mandarmeli quanto prima. In esso tratta del dovere in rapporto alle circostanza. Quanto a ciò che chiedi riguardo al titolo, non dubito che 'kaJhkon' sia 'officium', a meno che tu non abbia di meglio; ma il titolo più completo è 'De officiis'. Lo dedicherò a mio figlio Cicerone; non mi sembra fuori luogo.
Epistulae ad Brutum
Ad Brutum 1, 3 - L'estrema illusione
Cicerone saluta Bruto
La nostra situazione pare alquanto migliorata: quello che è accaduto so
positivamente che ti è stato scritto. I consoli furono alla prova quali io te
ne avevo spesso detto. Meravigliosa poi la disposizione del giovane Cesare per
la rettitudine. Almeno mi sia dato dirigerlo e dominarlo con tanta facilità in
mezzo agli onori e agli evviva, quanto mi è stato possibile finora! Sarà senza
dubbio più difficile; non dispero tuttavia: il giovane infatti è convinto, ed
io ho contribuito moltissimo a rafforzarlo in tale idea, che noi siamo salvi
per il suo intervento. E certo se egli non avesse tenuto lontano da Roma
Antonio, tutto sarebbe andato in rovina. Nei tre o quattro giorni che
precedettero questo fortunatissimo evento la popolazione, sconvolta da certe
voci, pensava di rifugiarsi da te con le mogli e i figli; la stessa, riavutasi
dopo il 19 aprile, preferirebbe ora che tu arrivassi qui anziché accorrere da
te. Se da una gloria solida e vera si può aver frutto, certo io in quel giorno
colsi il frutto migliore delle mie grandi fatiche e delle mie veglie numerose.
Tutta una folla di popolo quanta ne può capire questa nostra città si riversò
da me, e da essa fui portato fino al Campidoglio, issato sui Rostri fra i più
fragorosi applausi. Nessuna vanità da parte mia, né ci dovrebbe essere; ma il
consenso unanime di tutti gli ordini nel ringraziamento e nelle congratulazioni
mi commosse veramente, perché grande e bella cosa è la popolarità conseguita
con la salvezza del popolo.
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