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APOKOLOKYNTOSIS
Un opera davvero singolare e bizzarra nel panorama della vasta produzione senecana è il "Ludus de morte Claudii", come lo definiscono due dei tre manoscritti principali che lo trasmettono, o "Divi Claudiiapotheosis per saturam", secondo la definizione del terzo; ma il titolo sotto cui l'opera e più comunemente nota è quello greco, di "Apokolokyntosis", che ci fornisce lo storico Dione Cassio. Tale parola è una deformazione di "apotheosis" (trasformazione in Dio) nella quale la componente "theo" (Dio) è sostituita da "Kolokynt" che significa zucca. La traduzione diverrebbe cosi' "zucchificazione". La zucca è presa come emblema della stupidità e della vuotaggine e tale parola significherebbe dunque "non trasformazione in zucca" ma piuttosto "deificazione di una zucca, di uno zuccone", alludendo alla fama non proprio lusinghiera di cui godeva Claudio. Questo sarcastico pamphlet politico finalizza e deificazione è scritto nella forma della satira menippea, genere letterario inventato da Menippo e introdotto nella cultura romana da Varrone nel I secolo a.C. In questo tipo di letteratura, a parti in prosa si alternavano parti in poesia, e al tono serio il faceto. Ma nel pamphlet di Seneca di serio c'è ben poco, se non l'intenzione di ferire la memoria dell'imperatore appena scomparso e di piacere al suo successore, Nerone. E l'accanimento, la causticità, la spietatezza dell'attacco personale non sembrano aver nulla con il tono sorridente e pacato di Varrone, avvicinandosi piuttosto ai modi aggressivi che erano stati della satira di Lucilio e che presto sarebbero tornati ad essere di quella di Giovenale.
Il suo contenuto può essere riassunto cosi': dopo uno scanzonato proemio in cui Seneca fa la parodia agli storici , con le loro solenni promesse di obiettività e verità, con i loro pezzi di bravura descrittivi, vediamo Claudio agonizzante. Un ampio brano poetico descrive le Parche che spezzano il filo della vita di Claudio e filano invece, un filo d'oro per Nerone, che darà corso a una nuova età dell'oro. Apollo stesso riconosce a Nerone la natura di divinità solare. Claudio infine, muore in un attacco di diarrea e l'azione passa in cielo. Giove viene informato che si è presentato un tale canuto, zoppicante, col capo tremolante, incapace di esprimersi: non si capisce che lingua parli (allusioni a difetti fisici di Claudio). Giove incarica Ercole di andare a vedere di che si tratta: Ercole dapprima si spaventa, pensa di dover affrontare l'ennesimo mostro, ma poi, intravede in Claudio una forma quasi umana. Gli chiede chi è con un verso omerico, cui Claudio risponde con un altro verso omerico, vantando origine da Troia. Ma viene sbugiardato: è un Gallo e come ci si deve aspettare da un Gallo, ha devastato Roma. Vediamo poi, gli dei riuniti in concilio (evidente parodia delle sedute del senato romano) per decidere se accogliere Claudio. Alcuni parlano contro, con allusioni sferzanti alla sua stupidità, alle sue stravaganze, ai suoi delitti. Altri parlano a favore, perché interessati al commercio di diritti di cittadinanza che fioriva alla corte di Claudio: anche Ercole si è fatto ora patrocinatore interessato della sua causa. Risulta decisivo l'intervento del dio Augusto, che accusa Claudio di una lunga serie di uccisioni di membri della sua stessa famiglia. Claudio viene cacciato dall'Olimpo. La scena torna sulla terra: Claudio, a Roma, assiste, ingenuamente compiaciuto, al proprio solenne funerale: udiamo un canto funebre, con lodi del defunto, che suonano beffarde. Claudio viene infine, trascinato agli Inferi, dove saluta con incoscienza Messalina e una folla di altre persone da lui stesso uccise. E' infine, condannato a due curiose pene per contrappasso: giocherà eternamente a dadi con un bossolo senza fondo (allusione alla sua passione per i dadi) e avrà il compito di segretario di un liberto addetto al giudice Eaco (Claudio, che aveva dato tanto potere ai suoi liberti e che si era attribuito compiti di giudice in ogni tipo di processi, sarà aiutante di un liberto che fa l'aiutante di un giudice).
Questa aperta irrisione del sovrano appena divinizzato non deve essere stata fatta conoscere presto al pubblico: la funzione propagandistica della divinizzazione ne sarebbe stata compromessa. L'opera era probabilmente destinata, in primo luogo, al divertimento degli ambienti di corte in cui le battute su Claudio erano un gioco abituale. Ma questa opera aveva anche un positivo valore di sostegno al nuovo regime. Nerone prometteva un distacco dalla politica tirannica del predecessore e un ritorno alla moderazione augustea: Claudio viene condannato appunto da un duro discorso di Augusto, e il regno di Nerone è invece annunciato come nuova età dell'oro.
Il racconto si snoda con grande facilità e leggerezza, disinvolto nei mutamenti di luogo come in quelli di stile e di metro. Nelle parti in prosa, pur fitte di citazioni auliche e di parodie dello stile degli storici, alla tensione espressiva dei Dialoghi e delle Lettere a Lucilio si mescolano e intrecciano volgarismi e colloquialismi, nelle parti poetiche domina la parodia, fino alla storpiatura, dell'epos e della tragedia. La dinamica del testo è travolgente, indiavolata e pullula a ogni passo di allusioni sferzanti, di provocazioni pungenti. L'umorismo sottile si mostra in una continua serie di espressioni ironiche e allusive; ma la nota fondamentale è data dalla comicità grottesca: la regalità di Claudio è investita di qualificazioni degradanti enormemente dilatate, e questa risata aspra e deformante è reazione a una realtà cupa di sopraffazione e di delitto.
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