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DEFINIZIONE DI ETICA E MORALE
"La morale non ha niente di divino; è una faccenda puramente umana."
[Albert Einstein]
Il termine Etica deriva dalla parola greca Ethos, ovvero comportamento, abitudine, costume.
Sua corrispondente latina, la parola Morale, da mos; mores.
Entrambi i termini, etimologicamente, hanno lo stesso significato di tradizione, costume, usanza.
Tuttavia, l'equivalenza non vale se entriamo nel campo filosofico.
In filosofia, il termine morale, sta ad indicare un insieme di regole che definiscono il comportamento degli individui in una determinata epoca e/o società.
La morale può variare di tempo e luogo, in quanto fa riferimento a dei comportamenti sociali e giuridici, ovverosia regole e norme che regolano l'agire e il fare e che mutano a seconda della società che le stabilisce.
Differentemente, etica è la parola che definisce una meta morale; un "qualcosa" che va dopo e oltre la morale stessa.
Le due definizioni, tuttavia, rimangono strettamente legate tra loro. Questo ci porta a rapportarle e ad osservare in che modo essere interagiscono tra di loro.
Soffermiamoci, innanzitutto, sul termine morale.
In base alla definizione soprastante, si apre un campo estremamente vasto per l'applicazione della morale
stessa.
Essa, infatti, può assumere quattro principali significati e/o applicazioni:
Qualcosa che è meno di qualcos'altro; se si considera una certezza che sia soltanto morale, da cui possono essere fornite prove soltanto morali, e su cui si possono fondare condanne soltanto morali.
Qualcosa che è più di qualche altra cosa; questo perché la morale vieta cose che la legge, intesa come normativa costituzionale, non vieta e condanna anche là dove i giudici non possono condannare.
Ciò che è privato: in questo senso la morale risponde ad una singolarità dell' individuo e ciascuno dà da sé i principi a se stesso.
Ciò che è universale: le regole morali stanno al di sopra delle altre regole, perché vincolano tutti gli uomini. La morale sta a fondamento di gruppi più grandi di quelli formali; al limite si parla di morale dell'umanità.
Nel significato 3) e nel significato 4), possono essere riassunti anche i primi due. Difatti, nel 3) le regole private della morale hanno qualcosa in meno rispetto alle regole pubbliche (meno estensione, meno forza), ma anche qualcosa in più (impongono più obblighi, sono più esigenti in fatto di responsabilità); mentre nel 4), le regole morali pretendono di essere universali perché sono meno particolareggiate e perciò la classe di persone cui si rivolgono è più estesa.
Da
questi quattro casi che abbiamo isolato, possiamo evidenziare una certa ambiguità
nella morale stessa.
La morale sembra faccia riferimento a regole al di fuori di sé, ovvero alle leggi.
Tuttavia, da questi stessi significati, possiamo notare come essa sia, sì sottomessa alle regole giuridiche imposte dall'uomo, ma anche al di sopra di queste.
Di conseguenza, ne possiamo dedurre che la morale, intesa nella sua accezione primordiale, consiste nella rispondenza alle leggi statali e sociali (e, di conseguenza, comportamentali) di un popolo in un determinato luogo e tempo, ma essa, tuttavia, è allo stesso tempo sottoposta a un "qualcosa" che si trovi al di là delle istituzioni umane.
Questo "Qualcosa" è l'Etica.
L'etica è da sempre stata oggetto di forte argomentazione da parte dei filosofi; la sua storia si basa sulla successione delle riflessioni dell'uomo e sul suo agire.
Da Aristotele, ad Hegel e a tutti gli autori successivi, ogni libero pensatore ha avuto il suo disquisire sull'etica.
Tutti, però, giungono ad indicare (non propriamente con questo termine) l'oggetto dell'etica come prestazione, ovvero un comportamento che sia una virtù.
La virtù si basa non sull'osservanza di una norma (in questo caso si rientra nel campo della morale), ma dal soddisfacimento di condizioni che riguardano la vita del singolo, della comunità e il rapporto tra essi.
Tuttavia, la virtù presenta le stesse identiche ambiguità della morale; da un lato costituisce il quadro di una tradizione unitaria, in cui i diversi principi rappresentano le regole di gruppi umani o soluzioni diverse ma compatibili, dall'altro, invece, rivela l'eterno conflitto tra rinnovamento e tradizione.
Questi aspetti, però, sebbene ambivalenti, risultano essere essenziali, in quanto vogliono riferirsi ad una tradizione apparentemente unitaria e presentare interpretazioni globali dei suoi mores.
Siamo, quindi, rientrati nel campo della morale, sebbene non completamente.
L'obiettivo dei filosofi, da Platone in poi, è stato trovare un'unità reale da introdurre nel carattere ambiguo della morale.
Processo avvenuto con diversi espedienti, dai sofisti che tentarono di disquisire sulla morale (discorso metamorale) anziché un discorso di morale; all'imperativo categorico di Kant che vedeva in una volontà buona il fondamento della sua etica.
Come punto di riferimento, fu presa la scienza, che diventò misura e limitazione delle pretese morali in conflitto.
Alla scienza viene, quindi, affidato il compito di rendere la morale univoca e ordinata; evitando l'arbitrarietà delle leggi.
La scienza in questione, è proprio l'etica, in quanto introduce ordine, fissità e costanza nella morale e, per questo, viene detta scienza della morale.
Tuttavia, se l'etica può permettersi di "controllare" la morale e, con essa, tutte le istituzioni umane, è solo perché questa è, in sé, sostanzialmente unitaria e organica, a dispetto delle contraddizioni.
Se la morale, oggetto di scienza dell'etica, viene fissata, perde l'elasticità che la caratterizzava e che, quindi, la rendeva valida.
Inoltre, da Platone in poi, sono pochi i filosofi che hanno studiato l'applicabilità della morale, preferendo dedicarsi, utilizzando l'etica come base, alla ricerca di un ordinamento universale, piuttosto che locale, dove con questo termine si vuole definire un ordinamento, o una struttura etica limitata al singolo stato.
Con questo passaggio dal singolare all'universale, si ha e non si ha, allo stesso tempo, quello che definirei: "lo scacco dell'etica".
L'etica, infatti, dovrebbe mantenersi in medias res tra l'universale e il singolo, in quanto concerne sia il primo, sia il secondo caso.
Purtroppo, proprio per questo suo essere scienza, viene molto spesso limitata all'uno o all'altro campo; senza considerare i casi in cui il termine viene usato a sproposito per indicare non la scienza della morale, ma la morale stessa.
Questo passaggio è stato compreso dai filosofi
successivi all'epoca medioevale, che vedeva l'etica come una scienza
finalistica, e all'epica dell'etica dell'utile, che vede nel piacere e
nella conoscenza della natura i mezzi per costruire un'etica adeguata che non
si faccia nessuna illusione sulla natura, ma si basi sul calcolo accurato delle
conseguenze delle azioni.
Primo fra tutti ad elaborare un'etica diversa, fu Mandeville, il teorizzatore
della virtù come finzione.
Se la virtù, oltre ad essere artificiale, risulta finta, nonché indispensabile per la stessa società fittizia che l'ha creata.
Da qui parte la decadenza della virtù e, di conseguenza, dell'etica.
La prima vera applicabilità dell'etica in campo sociale, si avrà solamente nel periodo successivo alla Restaurazione, quando l'oggetto dell'etica non è più una morale astratta, bensì una morale sociale.
Nazionalità, organizzazione burocratica-costituzionale, ecc.diventano le nuove parole d'ordine su cui basarsi per l'analisi etica; in questo quadro, non è più la scienza della natura a fornire il fulcro della costituzione dell'etica, bensì le scienze giuridiche, economiche e storiche.
Già con Shopenhauer si era dimostrato, in modo intuitivo, l'incompatibilità tra la natura e la morale; con Nietzsche, gli esistenzialisti, i neo-positivisti, ecc.viene quindi proclamata la fine dell'etica classica.
E, mentre l'etica moriva, la morale continuava a regnare, riportando il mondo alla condizione (per oltre mai cessata), dello sfruttamento della tradizione (ovvero della morale e dell'etica)a fini politici.
L'ultima strada tentata per l'etica, è stata la ricerca del collegamento con la scienza attraverso il metodo.
Si evidenziano, qui, diverse vie:
La dignità della scienza consiste nel suo essere conoscenza. L'etica è una forma di conoscenza con proprie regole e la morale, in quanto oggetto di studio dell'etica, è, quindi, razionale anche quando non lo sembra.
L'etica non ha metodi diversi dalla scienza, pur differendo da essa.
L'etica, infatti, applica il metodo della scienza:
a) a situazioni in cui sono rilevanti comportamenti umani.
b) adoperandolo però su prescrizioni o su significati emotivi. Nel primo caso per costruire ragionamenti in cui prescrizioni assunte nelle premesse possono passare alle conseguenze attraverso proposizioni descrittive; nel secondo caso le proposizioni scientifiche correggono valutazioni emotive.
c)
in quanto anche essa è formulabile
come un sistema assiomatico, ma la sua logica è un ampliamento della
logica scientifica.
Di conseguenza, la conoscenza etica non è vista come fonte delle norme, bensì come strumento di controllo delle norme esistenti.
Funzione che viene esplicitata in due modi: tramite l'analisi del particolare (descrizione associata alle valutazioni) e l'inserimento nell'universale (generalizzazione delle regole).
Ricapitolando, nel corso della storia, l'etica ha tentato di costituirsi come scienza della morale, passando attraversi stadi:
L'etica, tuttavia, a dispetto che venga considerata come scienza matematica o concezione della scienza, ha sempre tentato di esporre la pretesa della morale di essere la legislazione di una società migliore di quella esistente.
Voleva, quindi, essere la privazione della morale del suo elemento irrazionale che, pure, è stato dimostrato inscindibile dalla razionalità della morale stessa.
La morale, infatti, non può essere considerata una legge universale, in quanto varia a seconda del tempo, del luogo e dello spazio.
Paesi diversi, in epoche uguali, hanno stabilito morali differenti; così come lo stesso Stato, in epoche differenti.
La morale, per quanto irrazionale o razionale sia, esiste sempre, in quanto è fondamento delle norme giuridiche e sociali di uno Stato; di movimenti che operano con forze aggressive mettendo in discussione il vecchio ordine morale e proponendone di nuovi.
Differentemente, l'etica non è sempre esistente.
Proprio per la sua valenza scientifica, l'etica si è limitata ad essere un sistema di proposizioni.
Così facendo, la morale è diventata regola e l'etica un discorso sulle norme che, tuttavia, nella loro stessa ricerca sono state collocate nella sfera dell'inconsapevole, pregiudicando la certezza etica, ovvero il suo essere conoscenza/consapevolezza.
Questo deficit etico è difficilmente colmabile, a meno che non si ponga l'etica non come scienza della morale, ma come ordinamento personale e universale che accompagna la morale stessa.
Di conseguenza, la soluzione ideale sarebbe un'integrazione paritaria tra morale ed etica, in cui ciò che è etico è morale e ciò che è morale è etico.
Nelle società complesse, ovvero nell'universale, ciò è a dir poco verosimile.
Già il rapporto etica-morale dello Stato e quello del cittadino differiscono, in quanto allo Stato è permesso ciò che al cittadino, ovvero al singolo individuo, non è consentito.
Quindi, mentre nel singolo si può trovare una concordanza tra il binomio etica-morale, nell'universale il compito aumenta di difficoltà, in quanto viene meno il rapporto paritario ed etica e morale si subordinano a vicenda.
L'ideale sarebbe intendere l'etica come insieme di diritti inderogabili che il cittadino, come lo Stato, deve rispettare per la tutela di sé e degli altri cittadini/Stati.
In questo modo, non viene meno la componente etica primordiale (meta morale; un "qualcosa" che va dopo e oltre la morale stessa.), né la componente morale (insieme di regole che definiscono il comportamento degli individui in una determinata epoca e/o società) che diventa non più oggetto dell'etica, bensì applicazione dell'etica stessa.
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