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Storia della pedagogia dal Positivismo all'età contemporanea
1) Il Positivismo e l'educazione
L'età del Positivismo, con la sua fede indiscussa nelle scienze, il primato sociale della borghesia e dei suoi valori, è stata portatrice di nuovi problemi educativi. La richiesta di un aumento della cultura di base, per la formazione del cittadino, si è imposta con maggiore consapevolezza, ponendo il problema urgente di una scolarizzazione di massa. La fiducia in un'educazione capace di diventare, attraverso la scuola, motore del progresso sociale, ha posto l'urgenza di rifondare tutto l'apparato teorico e pratico della pedagogia, ancorandola al fatto e al dato scientifico. La rivoluzione darwiniana, ad esempio, ha dato un importante contributo allo sviluppo della psicologia dell'età evolutiva, ponendo l'attenzione sulla componente biologica dello sviluppo, sullo studio etologico delle emozioni, dei comportamenti e dell'intelligenza. Saint-Simon. Esponente del Positivismo francese, Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon (1760-1825) nei suoi scritti (Catechismo degli industriali, 1823; Il nuovo Cristianesimo, 1825), ha criticato la discriminazione sociale del sistema educativo e ha sottolineato l'inefficacia intellettuale. Saint-Simon ha rivendicato il diritto di tutti all'educazione, intesa come uno strumento politico fondamentale per la trasformazione della società. Egli ha criticato il modello educativo corrente, ritenendolo intellettualmente inefficace: l'educazione deve rendere partecipe il popolo e deve essere potenziata da un punto di vista scientifico, per contribuire al progresso della società industriale.
Comte e l'educazione positiva. Auguste Comte (1798-1857), autore del famoso Corso di filosofia positiva, del Catechismo positivista, del Sistema di politica positiva, delle Lettere, nei suoi scritti ha auspicato l'affermazione di un'educazione «positiva», caratterizzata dall'insegna mento delle scienze «rispondenti alle esigenze della società moderna», sostituendo finalmente quella tradizionale, essenzialmente teologica. Questa nuova educazione «positiva» dovrà favorire la solidarietà fra gli esseri umani e formare al raziocinio. Comte, reagendo alla scuola del suo tempo, orientata alla formazione professionale, ha affermato che un'educazione di tipo umanistico-letterario deve bilanciare la cultura scientifica. Il curricolo scolastico proposto dal pensatore francese è il seguente:
1) da 0 a 7 anni, l'educazione dei bambini spetta alla madre;
2) dai 7 ai 14 anni, con la présentation inizia la prima fase dell'istruzione pubblica;
3) dai 14 ai 21 anni, con l'initiation inizia lo studio di carattere enciclopedico;
4) dai 21 ai 28 anni, con l'ammission iniziano gli studi universitari, e un apprentissage pratique orienta al mondo professionale;
5) a 28 anni, con la destination, c'è l'inserimento nel mondo produttivo.
Comte ha prospettato l'idea di una «educazione permanente», cioè di un processo educativo che non termina con l'inserimento dell'indi viduo nella società adulta, ma dura tutta la vita.
L'utopia pedagogica di Owen. In Inghilterra, Robert Owen (1771- 1858), autore dei Nuovi punti di vista della società sopra la formazione del carattere umano (1822), ha dato vita negli Stati Uniti alla comunità di New Harmony («Comunità di eguaglianza e proprietà comune»), primo nucleo di una nuova società. Nell'opera Il nuovo mondo morale, Owen ha esposto la sua concezione pedagogica fondata sull'idea dell'educazione come condizionamento. Secondo il pensatore inglese, infatti, il contesto socio-culturale in cui il soggetto vive condizionano la formazione della sua personalità. La nuova scuola, ipotizzata dall'Owen, sarà organizzata in edifici funzionali, sarà aperta a tutti, gli allievi potranno usufruire di utili servizi e alterneranno lo studio al lavoro. Owen ha realizzato questa sua idea nella creazione della New Lanark, un sistema scolastico orientato alla formazione del carattere e all'offerta di un'adeguata istruzione di base.
2) Il pensiero pedagogico di Roberto Ardigò
1828 - Nasce a Mantova.
1866 - Sacerdote e insegnante di filosofia presso il liceo di Mantova, pubblica La psicologia come scienza positiva.
1871 - Si sveste dell'abito talare.
1891 - Ottiene la cattedra di Storia della filosofia presso l'Università di Padova
1893 - Pubblica l'opera Scienza dell'educazione, che raccoglie le lezioni di un biennio, dove troviamo la sua concezione pedagogica.
1920 - Muore suicida.
Ardigò è una delle figure più rappresentative della pedagogia positivistica, in Italia. La qualità dell'educazione, secondo Ardigò, è l'acquisizione di sane abitudini sociali, utili a sé e alla società. È tramite l'educazione che le nuove generazioni si inseriscono e diventano parte integrante della società. L'educazione scaturisce soprattutto dalla famiglia e dalla scuola. Ardigò ha affermato che conosciamo attraverso l'intuizione. Il termine «intuitivo» deriva dal latino intu¯ eri e significa «vedere». Il metodo intuitivo è quello attraverso il quale s'insegna facendo vedere.
Abbiamo due tipi di intuizioni:
diretta e naturale;
diretta e artificiale.
Attraverso la prima noi conosciamo le cose del mondo, senza avvalerci di alcun aiuto o supporto e utilizzando solamente i nostri sensi.
La conoscenza avviene, perciò, in tre momenti: intuizione, sensazione ed esperienza. Chi è istruito per mezzo del vecchio metodo ha imparato paroloni senza sapere collegarli, mentre adesso s'insegna per mezzo delle cose. L'ambiente, in cui un individuo nasce, forma l'oggetto della sua prima intuizione, per cui il modo di pensare di un italiano sarà diverso da quello di un giapponese e via dicendo. Per questo l'intuizione segna profondamente ognuno di noi, facendolo essere diverso dagli altri. Per quanto concerne l'intuizione diretta e artificiale, questa ci consente di conoscere attraverso l'esperienza compiuta dagli altri. Ad esempio, tutti sanno che cos'è un fiore, ma solo attraverso la guida dell'insegnante e, grazie allo studio, svolto dai botanici, si potrà coglierne le particolarità. Potremo, quindi, analizzare la corolla, il pistillo, il calice, lo stelo, i petali e così via. Tutto ciò, però, si può apprendere a scuola, luogo nel quale l'alunno potrà acquisire il linguaggio delle varie discipline. Anche Ardigò, come già aveva sostenuto Pestalozzi, ha affermato che bisogna partire dal semplice per arrivare al complesso, dal noto all'ignoto e dal vicino al lontano. Educare significa, poi, far acquisire sane abitudini morali, civili, sociali e altruistiche. Tali abitudini posso no essere acquisite mediante l'esercizio, anche se questo metodo sarà, criticato in quanto, attraverso l'esercizio s'imparano le cose mnemonicamente.
3) Il pensiero pedagogico di Aristide Gabelli
1830 - Nasce a Venezia.
1870-1890 - Direttore del Convitto nazionale Longone a Milano, dopo l'Unità ricopre cariche prestigiose: Provveditore agli Studi a Roma, Direttore capo per l'istruzione primaria e popolare, membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione e ispettore centrale.
1880-81 - Pubblica le opere Il metodo di insegnamento nelle scuole elementari d'Italia; L'educazione razionale e L'istruzione in Italia.
1888 - Elabora i nuovi Programmi per l'istruzione elementare.
1891 - Anno della morte.
Aristide Gabelli, più che un teorico del Positivismo come è stato Roberto Ardigò, è stato colui che ne ha tradotto in pratica i principi nell'organizzazione scolastica. Pur applicando i criteri delle scienze positive, non aderisce completamente al sistema filosofico del Positivismo. Del Positivismo ha respinto, infatti, il materialismo e ne ha criticato l'atteggiamento anticlericale, mentre ne ha sposato la scientificità nell'affrontare i problemi educativi, visti alla luce della realtà sociale in evoluzione e dei fatti concreti. Il Positivismo di Gabelli coincide, dunque, con una vera e propria metodologia d'indagine e con l'interesse volto alla formazione della mente e del carattere, non al numero delle nozioni apprese. La regola è, secondo Gabelli, partire dal particolare, dal noto; il fanciullo è sensibilità, azione, fantasia, quindi bisogna istruirlo attraverso l'azione (il gioco di Fröbel), perchè impara ciò che fa ed esperimenta. Il compito primario della scuola è di insegnare a pensare, partendo dall'osservazione dei fatti; ciò comporta la necessità di un metodo intuitivo, che è più importante del programma, perché quel che conta è come si impa ra non cosa. Gabelli ha parlato di «curriculum implicito», intendendo tutto ciò che il bambino ha ricevuto dall'ambiente, dal quale la scuola deve trarre profitto nella sua opera educativa. Bisogna elaborare un metodo fondato sull'interesse dell'allievo, che stimoli di continuo la sua curiosità. Scopo primario dell'insegnamento è la formazione di abitudini e il fine più alto è quello morale (vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza, rettitudine all'animo). A tal proposito, Gabelli inizia l'opera Il metodo di insegnamento nelle scuole elementari d'Italia con un aneddoto: «Raccontano che una volta venne da un'accademia bandito un premio a chi avesse saputo trovare le ragioni per le quali un pesce morto pesa più di un pesce vivo [.] pensò di mettere sulla bilancia un pesce vivo, poi, avendolo ucciso, ve lo rimise morto, ed accertò che vivo e morto pesava egual mente». Gabelli vuole, in tal modo, sostenere che non è facile rinnovare i metodi d'insegnamento: bisogna cambiare i maestri, abituati al dogmatismo e alla pedanteria, per svecchiare i metodi.
4) L'Attivismo pedagogico e le «scuole nuove»
Nelle «scuole nuove», sorte in Europa e in America a fine Ottocento l'educazione non è più intesa come trasmissione di un sapere oggettivo dall'insegnante al discente, ma come formazione della personalità autonoma dell'allievo. Le «scuole nuove» sono, però, quasi totalmente private e orientate alla formazione della futura classe dirigente. Nel 1917, con l'espressione «scuola attiva», Pierre Bovet ha indicato il principio dell'educazione nuova. Pedagogisti ed educatori di tutto il mondo, che oggi operano in una sorta di sintonia su alcuni temi fondamentali, hanno realizzato studi ed esperienze che vanno sotto il nome di Attivismo pedagogico. Adolphe Ferrière ha individuato nel puerocentrismo il tratto comune all'Attivismo e alle scuole nuove; mentre il De Bartolomeis ha denunciato l'inutilità dell'Attivismo, in quanto non ritiene che la differenza tra ciò che educa e ciò che non educa possa essere incentrata sui concetti di attività e passività. Dewey, Decroly, Claparède, Montessori, nell'ambito dell'Attivismo, hanno proposto un nuovo approccio pedagogico, ponendo al centro del discorso educativo la psicologia scientifica.
5) Ovide Decroly e il metodo globale
1871 - Nasce a Renaix, si forma (come Claparède e Montessori) alla scuola della medicina e dell'educazione dei bambini anormali.
1907 - Specializzatosi in neuropsichiatria, fonda a Ixelles la Scuola dell'Ermitage, un esperimento pedagogico pour la vie, par la vie.
1920 - È docente di psicologia infantile a Bruxelles, oltre che esponente di rilievo delle associazioni internazionali per la «scuola nuova».
1921-32 - Pubblica le opere: Verso la scuola rinnovata (1921); La funzione di globalizzazione e l'insegnamento (1929); Lo sviluppo del linguaggio par lato presso il fanciullo (1932).
1932 - Anno della morte.
Decroly è il più insigne esponente dell'Attivismo pedagogico belga. Le idee centrali della sua pedagogia sono la conoscenza della psi cologia infantile, il rispetto per l'individuo e la realtà della natura. Lo psicologo ha individuato sia la funzione del metodo globale, sia l'importanza dei centri d'interesse, affinché ciascun bambino sia motivato all'apprendimento. Decroly ha criticato il sistema educativo tradiziona le, in quanto ha concepito l'ambiente scolastico e il programma, tra-
scurando le facoltà ricettive, elaboratrici e attive dell'allievo, o impegnandole separatamente. Lo psicologo, nella Scuola dell'Ermitage, ha ideato un nuovo ambiente educativo: la natura che circonda l'edificio (campo delle occupazioni attive dell'allievo). Laboratori, campi e giardini, allevamenti, spazi di gioco e di vita comune: questo è lo spazio educativo, nel quale il bambino può avvicinarsi con gradualità alle attività sociali e materiali. In tal modo la scuola potrà raggiungere il suo duplice obiettivo di alfabetizzare l'alunno e di aiutarlo a diventare uomo.
I programmi devono rispondere, contemporaneamente, sia all'esigenza oggettivo-sociale, sia a quella soggettivo-psicologica dell'individuo. Quest'ultima riguarda i suoi bisogni principali, ai quali devono corrispondere quattro centri d'interesse:
- il bisogno di nutrirsi,
- il bisogno di lottare contro le intemperie;
- il bisogno di difendersi dai nemici;
- il bisogno di lavorare con gli altri, riposarsi e ricrearsi.
Tali centri d'interesse servono, secondo Decroly, al maestro per impostare correttamente l'esercizio delle attività di osservazione, di associazione e di espressione. Queste attività, dette «trittico decrolyano», sono indispensabili per il metodo globale. Dall'esercizio dell'osservazione dipende, ad esempio, l'apprendi mento delle scienze: mediante le osservazioni-misura, gli alunni rilevano e annotano gli aspetti qualitativi e quantitativi dei fenomeni osservati. Con gli esercizi di associazione, poi, imparano a intuire legami di causa-effetto e acquisiscono conoscenze più sistematiche, collegando le informazioni precedentemente memorizzate con le nozioni ap prese mediante l'esperienza diretta; infine, ricordiamo gli esercizi di espressione, che comprendono il lavoro manuale, lo scritto, il disegno, la parola, attraverso i quali l'alunno impara a esprimere le idee maturate dentro di sé.
La conoscenza parte, dunque, dal concreto (il tutto preso in modo globale e confuso). Attraverso un processo di analisi, si passa poi all'astratto (le parti del tutto vengono prese in esame in modo distinto); con la sintesi, che rappresenta l'ultimo momento del processo conoscitivo, si recupera l'intero ma con una conoscenza profonda delle sue parti. Il punto debole del metodo d'insegnamento di Decroly è la scelta dei quattro centri d'interesse. Secondo alcuni critici, i bisogni fondamentali del fanciullo, cui il pedagogista belga fa corrispondere i centri d'interesse, non rappresentano l'uomo nella sua totalità: esistono, infatti, anche bisogni di natura affettiva, intellettuale e religiosa.
6) Edouard Claparède e l'educazione funzionale
1873 - Nasce a Ginevra, si specializza in neurologia. Libero docente e ricercatore, sviluppa una teoria biologica e funzionale della psiche, il Funzionalismo, e fonda con Bovet, a Ginevra, l'Istituto Jean-Jacques Rousseau.
1905-31 - Pubblica le opere Psicologia del fanciullo e pedagogia speri mentale (1905); La scuola su misura (1920); L'educazione funzionale (1931).
1940 - Anno della morte.
Edouard Claparède ritenendo ambiguo il termine attivo, utilizzato dall'Attivismo pedagogico, ha preferito parlare di «educazione funzionale», postulando una «scuola su misura». Specializzatosi in Neurologia ha sviluppato una concezione funzionale e biologica della psiche. Le sue opere nascono dalla convinzione, che lo studio dello sviluppo mentale sia a fondamento del rinnovamento della scuola e dell'educazione.
Claparède, partendo dalla convinzione che l'attività educativa debba essere fondata sullo studio psicologico delle fasi dello sviluppo infantile, è stato uno dei maggiori esponenti della psicologia funzionalista, incentrata sullo studio dell'interazione fra psiche e necessità ambientali. L'organismo, secondo la teoria di Claparède, si adatta alle richieste dell'ambiente e conosce attraverso i processi mentali, ossia le funzioni.
L'educazione funzionale deve essere organizzata sui bisogni, che derivano dall'interazione dell'individuo con l'ambiente (come avevano già dimostrato Dewey e Decroly), e sugli interessi che ne scaturiscono. La vita psichica è vista dallo psicologo come una funzione generale di adattamento di un organismo all'ambiente.
Claparède ha individuato le leggi fondamentali dello sviluppo alle quali l'educatore deve rifarsi per individuare le concrete modalità di sviluppo di interessi e bisogni dell'allievo:
1) legge della successione genetica (lo sviluppo avviene per tappe costanti, ripetendo lo sviluppo della specie);
2) legge dell'esercizio genetico-funzionale (l'esercizio di ogni funzione, che determina lo sviluppo, è premessa dello sviluppo di quelle successive);
3) legge dell'adattamento funzionale (l'esercizio nasce da un bisogno o da un interesse);
4) legge dell'autonomia funzionale (implica che il bambino deve essere considerato un essere completo e autonomo);
5) legge dell'individualità (unicità di ogni individuo).
Secondo l'educazione funzionale di Claparède, il bambino deve essere libero di farsi da sé (primato dell'autoeducazione sull'eteroeducazione), in relazione ai propri bisogni e interessi profondi. Il fanciullo, secondo i principi della pedagogia di Claparède, deve essere centro del sistema educativo. Lo studioso, dunque, ha teorizzato un'educazione che parte dai bisogni del bambino, come leva per realizzare pienamente la formazione completa dell'individuo. L'educatore deve, pertanto, diventare non solo stimolatore d'interessi, ma anche una guida per il processo educativo degli alunni, affinché questi, attraverso la ricerca personale, possano acquisire le conoscenze indispensabili, per orientarsi nella vita sociale e operare scelte professionali, compatibili con la formazione, realizzata attraverso l'educazione.
7) John Dewey e l'Attivismo pedagogico americano
1859 - Nasce a Burlington, un piccolo Stato del Vermont.
1884 - Si laurea all'Università di Baltimora con una tesi sulla psicologia di Kant.
1896 - Fonda una «scuola laboratorio» elementare annessa all'Università di Chicago.
1897-1930 - Pubblica le opere: Il mio credo pedagogico (1897); Scuola e società (1900); Principi morali nell'educazione (1909); Democrazia ed educazione (1916); Le fonti di una scienza dell'educazione (1929); Esperienza ed educazione (1930).
1952 - Anno della morte.
In Marx e nei marxisti sono emersi alcuni assunti che ne hanno caratterizzato le finalità educative; essi sono: la natura sociale dell'uomo e dell'educazione; il lavoro come tratto caratteristico dell'individuo; la natura scientifica dell'educazione; il principio dell'uguaglianza educativa. Tali assunti, dal punto di vista teorico, hanno rappresentato un passo decisivo nell'affermazione della democratizzazione dell'educazione. La teoria pedagogica del socialista americano, John Dewey, ha costituito, complessivamente, un momento rivoluzionario della metodologia educativa, in grado di rispondere concretamente al mutamento sociale e culturale prodotto della rivoluzione industriale. L'uomo ha bisogno, secondo Dewey, di cultura e di tecnica, di teoria e di pratica, di scuola e di lavoro; soltanto così si può definitivamente superare la vecchia contrapposizione tra i Licei e gli Istituti tecnici e professionali. Le conseguenze didattiche e formative di tali premesse sono state molteplici. Innanzitutto il lavoro è diventato il punto centrale della formazione di base: i bambini apprendono gli aspetti elementari del leggere, dello scrivere e del far di conto mediante i lavori domestici, quelli agricoli e artigianali; il lavoro viene considerato come uno strumento di formazione, mediante il quale l'allievo può svolgere attivamente la sua «professione» di alunno. La scuola diventa un luogo intenzionale d'istruzione, dove si utilizzano materiali didattici (strutturati o costituiti da oggetti d'uso comune) concepiti come strumenti di lavoro, che garantiscono apprendimenti significativi, in quanto garantiscono all'alunno la possibilità di leggere la realtà. Nella scuola concepita da Dewey, l'educatore ha la funzione di guidare e di stimolare l'esperienza infantile, senza imposizioni e forzature. Questa nuova scuola, superando la tradizionale separazione tra cultura tecnica (destinata alle classi subalterne) e cultura umanistica (riservata alla classe dirigente), sarà in grado di garantire un'educazione democratica, destinata a tutti. L'educazione, giacché è fondata sugli interessi naturali del bambino, si esplica, secondo il pedagogista americano, attraverso le occupazioni attive e le attività creative. I bambini devono essere, quindi, impegnati a sviluppare progressivamente lo spirito d'iniziativa personale e sociale
8) Maria Montessori e l'educazione infantile
1870 - Nasce a Chiaravalle (Ancona).
1896 - È la prima donna italiana a laurearsi in medicina; interessata all'educazione dei bambini disadattati, ricopre la carica di direttrice della Scuola magistrale ortofrenica di Roma.
1898 - Assistente alla clinica psichiatrica, si interessa all'educazione dei disadattati e, a Torino, presenta i risultati delle sue ricerche.
1907 - Nel quartiere di S. Lorenzo, fonda con l'aiuto del Direttore generale dell'Istituto Romano dei Beni Stabili, Edoardo Talamo, la Casa dei bambini.
1909 - Pubblica l'opera che rappresenta il vero "manifesto" del montessorismo: Il metodo della pedagogia scientifica applicata all'educazione infantile delle case dei bambini.
1916 - Esce l'opera Autoeducazione nelle scuole elementari.
1921 - Pubblica il Manuale di pedagogia scientifica.
1924 - Nasce l'Opera nazionale Montessori e la Scuola magistrale Montessori, chiusa dal fascismo.
1933 - Si dimette dall'Opera nazionale e parte prima per la Spagna, poi si reca in Inghilterra e infine in Olanda, dove già vi sono moltissime scuole montessoriane. Qui si stabilisce definitivamente l'Associazione Montessori Internazionale.
1938 - Pubblica l'opera Il segreto dell'infanzia.
1940 - Alla vigilia della II guerra mondiale si reca in India.
1946 - Torna in Europa.
1950 - Riceve il Premio Nobel per la Pace.
1952 - Pubblica l'opera La mente assorbente.
1952 - Anno della morte.
L'idea fondamentale del metodo montessoriano è quella di sviluppare nei bambini gli elementi semplici (i sensi); questi, infatti, costituiscono atti complessi. L'educazione non deve, perciò, fornire la cultura, ma, sviluppando gli elementi fondamentali che la costituiscono, deve creare le condizioni e i presupposti per acquisirla.
Montessori ha sostenuto che la nuova pedagogia deve essere fondata sull'osservazione obiettiva del soggetto da educare e non sul bambino studiato in laboratorio. Il bambino non si mostra negli esperimenti di laboratorio e non esprime la sua autenticità neanche nella scuola tradizionale, che lo reprime; per studiare il bambino in libertà, bisogna, dunque, creare le condizioni di vita scolastica. La pedagogia «scientifica» della Montessori ha come scopo primario proprio la trasformazione della vita scolastica e della personalità infantile da far crescere. La spontaneità del bambino è il presupposto per comprendere che l'educazione non è altro che autoeducazione. Il metodo è, tuttavia, studiato scientificamente e, pertanto, non è possibile mutarlo; esso ha una rigorosa determinazione e deve essere applicato alla lettera e con esattezza.
Secondo la Montessori, il metodo deve anche costituire un ambiente nel quale debba essere eliminato tutto ciò che ritarda o impedi sce lo sviluppo naturale dell'essere umano. L'ambiente del bambino deve essere, perciò, costruito su misura e in modo proporzionato alle sue esigenze (sedie, banchi, armadi, servizi igienici e così via). L'educazione non è, quindi, opera della maestra tradizionale, ma del bambino stesso, motivato dall'ambiente e dal materiale didattico. La maestra deve essere, a tal proposito, sostituita dalla Direttrice. Questa, conoscendo perfettamente il metodo ed essendo capace di applicarlo letteralmente, deve avere la funzione di un'educatrice che non insegna alcunché, ma dirige soltanto, senza alcuna imposizione, l'attività del bambino.
9) Rosa Agazzi e l'educazione infantile «materna»
1866 - Nasce a Brescia.
1895 - Con la sorella Carolina, incoraggiata dal direttore didattico Pietro Pasquali, fonda la prima Scuola materna a Mompiano, nei pressi di Brescia.
1929 - Teorizza gli aspetti più importanti di questo fortunato esperimento nell' opera Guida per le educatrici dell'infanzia.
1942 - Pubblica l'opera Note di critica didattica, ed è stata chiamata a sovrintendere molte scuole materne sorte in tutta l'Italia.
1951 - Anno della morte.
L'espressione «scuola materna» verrà, poi, utilizzata dallo Stato per indicare le scuole per l'infanzia di Stato, istituite nel 1968; ciò dà la misura del peso che hanno avuto le fortunate esperienze di Rosa Agazzi. La concezione pedagogica della Agazzi si basa su un metodo che vuole offrire all'infanzia, all'interno della scuola, un ambiente attivo che rispecchi quello familiare e faciliti, in tal modo, il libero sviluppo dell'educando. La studiosa ha realizzato un asilo che esclude la preconizzazione istruttiva, che caratterizza l'asilo di Aporti, pensandolo come ambiente affettivo e familiare in grado di stimolare la creatività del bambino, e il suo dialogo con gli adulti, grazie alla presenza «materna» delle educatrici (spunti pestalozziani). Nell'asilo delle sorelle Agazzi non si trova la figura della maestra giardiniera dei Kindergarten fröbeliani, né la vigilante o l'assistente delle sale d'asilo, ma una nuova figura «educatrice», dotata di spirito di iniziativa, di organizzazione e promozione, sensibilità e flessibilità, che la rende capace di coordinare la vita scolastica dei bambini. Tale visione dell'educatrice della scuola materna verrà, poi, recepita integralmente negli Orientamenti della scuola materna statale del 1969, e sostituita solo negli Orientamenti del 1991 (da quella più generica di «insegnante») a sottolineare il nuovo carattere progettuale della scuola dell'infanzia.
Rosa Agazzi ha rivolto la propria opera educatrice a «bambini e non a scolari», e per loro ha organizzato la scuola come una piccola casa: una sala è adibita a «museo delle umili cose» e raccoglie i materiali didattici («cianfrusaglie senza brevetto»); oltre all'aula e a un ripostiglio per i grembiulini e altro, vi è un giardino con animali e piante. Il suo metodo educativo è incentrato sul «far da sé» del bambino: le attività individuali libere, sotto l'attenta sorveglianza dell'educatrice, devono essere intensificate a scapito di quelle collettive e sedentarie. L'educatrice deve predisporre ambiente e situazione, rispettando la spontaneità del bambino. I bambini devono svolgere attività legate alla vita pratica: curare la propria igiene, spostare i materiali e gli strumenti didattici, dedicarsi al giardinaggio, per sviluppare la capacità di osservazione e di un rap porto consapevole con la natura. L'educatrice deve assumere la funzione di una madre. Anzi, l'efficacia del metodo sta proprio nella capacità della maestra di amare i bambini come i propri figli. Un'altra caratteristica del metodo di Rosa Agazzi è il contrassegno, che, arricchito attraverso l'esperienza, non assume soltanto la funzione di contraddistinguere la proprietà privata dei bambini, ma anche quella di arricchire le loro conoscenze e di essere utile per l'insegnamento della lingua, del disegno e della geometria. Attraverso i contrassegni i bambini, dunque, possono ampliare gli orizzonti della conoscenza e migliorare, con l'emulazione, il proprio comportamento.
10) La psicopedagogia del Novecento
Le correnti di psicologia clinica e sperimentale, diffusesi in Europa tra l'inizio del XX secolo e gli anni Trenta, hanno profondamente condizionato la pedagogia e la didattica. La grande tradizione di psicopedagogia ginevrina ha, ad esempio, plasmato la visione pedagogica di Piaget, al quale Claparède ha affidato uno dei fulcri dell'Attivismo, l'Istituto J.J. Rousseau. Enorme è stato l'influsso di studiosi come Piaget e Freud, dei teorici della Gestalt (il tutto viene percepito prima delle parti che lo compongono) e di Vygotskij, sulla psicopedagogia contemporanea.
Sin dall'antichità numerosi pensatori si sono interrogati sulle caratteristiche del bambino e sui fattori che ne influenzano lo sviluppo. Platone ha compreso che, nonostante le differenze individuali, le capacità sono innate, e ha affermato che l'educazione della prima infanzia contribuisce a determinare le inclinazioni e l'adattamento futuri. Locke ha affermato, a questo proposito, che una disciplina precoce favorisce lo sviluppo dell'autocontrollo. Rousseau ha sostenuto che ai bambini deve essere permessa la libera manifestazione dei loro «impulsi naturali». Lo psicologo, invece, ricerca la soluzione scientifica dei problemi e si pone come scopi:
1) la descrizione delle funzioni psichiche dei bambini nelle diverse età e di scoprirne le caratteristiche dei mutamenti in quelle funzioni;
2) la spiegazione dei mutamenti del comportamento, per scoprirne i processi che ne sono alla base.
La psicologia (fino ad allora legata alla filosofia, come emerge dallo stesso significato originario del termine: dal greco psiché = anima e lògos = scienza) intesa come scienza autonoma, sperimentale, è nata con gli esperimenti sulle sensazioni tattili e visive di E.H. Weber e di
G.T. Fechner in Germania, intorno al 1860. J.B. Watson ha fondato la teoria del Comportamentismo o Behaviorismo, che ha avuto grande risonanza in America intorno negli anni 1920-1940, secondo la quale solo le risposte dei muscoli o delle ghiandole interessano lo psicologo. Questa teoria è anche chiamata dello Stimolo-Risposta, perché vengono prese in considerazione solo le risposte date a un determinato stimolo. Secondo questa teoria la sorgente di tutti i fenomeni psicologici è costituita dalle stimolazioni provenienti dal mondo esterno (già Locke, nel XVII sec., aveva sostenuto: nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu).
F.B. Skinner (1904-1990), autore delle opere Comportamento degli organismi e Il comportamento verbale, ha elaborato la teoria del condizionamento operante: il comportamento può essere positivamente modificato mediante l'impiego di risposte positive; la risposta ad uno stimolo viene rinforzata mediante qualsiasi tipo di ricompensa o gratificazione. Mentre il condizionamento classico considerava la risposta come riflesso di uno stimolo, senza riuscire a spiegare come
venivano acquisite nuove risposte, il condizionamento operante di Skinner ha considerato la risposta come risultato della correlazione di una risposta con il suo rinforzo. È il rinforzo che fa sì che l'azione venga ripetuta e quindi appresa.
Skinner ha teorizzato la figura dell'«insegnante programmatore», il quale elabora un programma diviso per items (brevi sequenze di contenuti e di istruzione): è nello svolgimento sequenziale del programma che l'allievo trova gratificazione.
La Gestalt o teoria della Forma o della configurazione, teorizzata da M. Wertheimer, K. Koffka, W. Kohler, ha come campo di azione la percezione: ciò che noi percepiamo, cioè il tutto, è diverso dalle singole parti che lo compongono. Contrariamente ai comportamentisti, i gestalisti hanno dato importanza alla psicologia introspettiva, ossia all'indagine sulla modalità percettiva del bambino.
La teoria del Cognitivismo considera l'organismo un sistema di elaborazione di informazioni, che accumula e utilizza mediante determinate strategie: l'apprendimento è possibile solo grazie alla presenza delle strutture bio-chimiche, le quali recepiscono le stimolazioni provenienti dall'ambiente, adeguate a essere percepite. I maggiori teorici di questa teoria sono Piaget e Bruner, i quali hanno fondato le loro teorie su due presupposti fondamentali:
- l'organismo possiede strutture innate in grado di elaborare le informazioni esterne, per cui ha un ruolo attivo nell'elaborazione dell'esperienza, sin dalla nascita;
- dall'introduzione, tra le strutture innate, delle stimolazioni provenienti dall'ambiente esterno, dipende lo sviluppo.
Freud, il padre della psicoanalisi, ha individuato tre sfere psichiche: l'ID o ES, da cui nascono gli istinti; l'IO o l'EGO, interazione tra ID e Super-IO; il Super-IO, che domina l'IO, rappresenta le
inibizioni attraverso le quali si articola l'evoluzione della personalità.
Lo sviluppo dell'IO avviene attraverso diverse fasi:
- fase orale (primo anno di vita);
- fase anale (secondo anno di vita, durante il quale il bambino acquisisce il controllo muscolare);
- fase fallica (3-5 anni, è presente il complesso di Edipo o di Elettra);
- fase di latenza (6-11 anni, l'attenzione è concentrata sulla realtà
circostante).
L'assenza di problemi psichici nel bambino dipende, secondo Freud,
dal suo sviluppo equilibrato tra le richieste che gli vengono dall'istinto
e quelle provenienti dalla coscienza morale.
11) Jean Piaget e la psicologia genetica
1896 - Nasce a Neuchatel in Svizzera.
1918 - Si laurea in biologia.
1921 - Entrato nell'Istituto Jean-Jacques Rousseau per volontà di Claparède, inizia i suoi studi sul giudizio e sul ragionamento.
1923 - Pubblica l'opera Pensiero e linguaggio nel fanciullo.
1932 - Pubblica l'opera Il giudizio morale nel fanciullo. Si interessa alle ricerche della Gestalt e al concetto di struttura e diventa direttore aggiunto dell'Istituto.
1930 - È direttore del Bureau International de l'Éducation.
1941 - Poiché si è dedicato allo studio dello sviluppo logico dei preadolescenti, pubblica La genesi del numero nel bambino.
1946 - Pubblica l'opera La formazione del simbolo nel bambino.
1955 - Fonda il Centro di epistemologia genetica, dove i suoi studi e le ricerche sullo sviluppo logico dei preadolescenti vengono proseguiti attraverso un'équipe di ricercatori.
1963 - Pubblica l'opera Problemi di psicologia genetica
1964 - Pubblica l'opera Lo sviluppo mentale del bambino.
1969 - Pubblica l'opera Psicologia e pedagogia.
1980 - Anno della morte.
Piaget si è dedicato allo studio clinico e sperimentale dei bambini fino a nove anni, dando vita all'epistemologia genetica. Mentre la visione freudiana è incentrata solo sull'emozione e sull'affettività, la psicologia genetica, non considera l'affettività come motore dello sviluppo psichico, ma studia esclusivamente lo sviluppo delle funzioni e delle strutture cognitive legato all'intelligenza. L'intelligenza è concepita da Piaget come un caso specifico di comportamento adattivo, che ha lo scopo di far fronte all'ambiente, mediante una continua creazione di forme sempre più complesse e un progressivo adattamento di queste forme all'ambiente. In base alla teoria dello studioso ginevrino, il bambino possiede alla nascita solo dei riflessi basilari; l'apprendimento avviene, poi, attraverso due processi: l'assimilazione e l'accomodamento. Con la prima il bambino incorpora, in uno schema già noto, nuovi dati e stimoli dell'ambiente, dunque risponde a uno stimolo esterno con un'azione già organizzata; l'accomodamento si ha, invece, ogni volta che uno schema posseduto, dovendo incorporare nuovi dati della realtà, si modifica, si «adatta» alla nuova situazione, ossia quando il bambino forma una nuova risposta reagendo allo stimolo. I due processi non sono opposti bensì complementari. I riflessi innati si trasformano in azioni, che determinano la nascita nella mente di uno schema (una struttura elementare), mediante il quale le azioni potranno essere interiorizzate, divenendo operazioni reversibili (mentalmente si è in grado di invertirle). Le fasi fondamentali di sviluppo dell'intelligenza (e, parallelamente, di evoluzione del linguaggio, del senso morale, del processo di socializzazione) sono:
Periodo senso motorio, da 0 a 2 anni: riflessi o meccanismi ereditari; prime tendenze istintive, prime emozioni (primo stadio); prime abitudini motorie; prime percezioni organizzate; primi sentimenti differenziati (secondo stadio); intelligenza senso-motoria o pratica; organizzazioni affettive elementari e esterne (terzo stadio).
Periodo pre-operatorio (età della scuola dell'infanzia), che comprende il periodo dai 2 ai 4 anni del pensiero «simbolico-preconcettuale» e quello che va dai 4 ai 7 anni del pensiero «intuitivo»: intelligenza intuitiva; sentimenti interindividuali e spontanei; rapporti sociali di subordinazione all'adulto (quarto stadio).
Periodo operatorio concreto (età della scuola elementare), caratterizzato dall'apparire della «reversibilità» per cui è possibile annullare mentalmente i risultati di un'azione: operazioni intellettuali concrete (inizio della logica); sentimenti morali e sociali di cooperazione (quinto stadio).
Periodo operatorio formale (età della scuola media), caratterizzato dall'apparire del ragionamento astratto e ipotetico, privo di riferimenti concreti alla realtà. Il soggetto comprende le regole di funzionamento di insiemi astratti: operazioni intellettuali astratte; formazione della personalità (sesto stadio).
Piaget, dunque, ha sostenuto che le fasi di sviluppo psicologico sono sostanzialmente universali, per cui l'intervento dell'educatore non produce particolari modifiche; quest'ultimo deve lasciare spazio all'azione del fanciullo, creando le condizioni adatte all'esercizio del suo fare. Piaget ha parlato del «piccolo scienziato», assennato e individualista, che solo verso i 6-7 anni, quando il suo sviluppo sociale e linguistico gli permette di percepire «il punto di vista dell'altro», è in grado di socializzare le sue ricerche. È soprattutto grazie agli studi di Piaget, che oggi l'insegnamento tiene conto della fase evolutiva del soggetto da istruire e della logica di apprendimento ad essa adatto.
Vigotskij, in Apprendimento e sviluppo intellettuale nell'età scolastica, sostiene che quella di Piaget è una teoria che parte dal presupposto dell'«indipendenza del processo di sviluppo dal processo di apprendimento»; per cui l'apprendimento sarebbe un «processo meramente esteriore», che si limita a utilizzare «i risultati dello sviluppo anziché precederne il corso e mutarne la direzione». Vigotskij in realtà polemizza con un Piaget ancora legato alla giovanile concezione biologico-naturalistica. Il Piaget più maturo ammette, invece, che l'educazione familiare e scolastica, entro certi limiti, possa «accelerare» gli stadi dello sviluppo mentale.
12) La teoria dello sviluppo cognitivo di Jerome Bruner
1915 - Nasce a New York.
1941 - Consegue il dottorato in psicologia all'Università di Harvard.
1950-1956 - Docente presso la facoltà di Harvard e poi di Oxford, sviluppa una concezione strutturalistica della percezione, concentrandosi poi più spe cificamente sul pensiero.
1956 - Pubblica l'opera Il pensiero, strategie e categorie, che ancora risente dell'influsso di Piaget, con la quale nasce simbolicamente il Cognitivismo americano.
1959 - Durante la Conferenza di Woods Hole sostiene la necessità di una nuova psicologia e pedagogia negli studi sull'infanzia.
1960 - Fonda il Centro di studi cognitivi
1961-1966 - Pubblica le opere: Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture (1961); Verso una teoria dell'istruzione e Studi sullo sviluppo cognitivo (1966). In esse emerge la decisiva svolta della pedagogia americana in senso strutturalistico; il distacco da Piaget è ormai definitivo.
1971 - Pubblica l'opera Il significato dell'educazione, che dimostra l'interesse per lo sviluppo della prima infanzia.
1983 - Esce l'opera Il linguaggio del bambino, dove emerge l'interesse dello studioso per lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione.
1990 - Pubblica l'opera La ricerca del significato.
Negli anni Sessanta del Novecento si sente il bisogno, negli Stati Uniti, di superare la concezione della pedagogia attivistica. Grazie alla teoria dell'informazione (che fa dell'organismo un sistema di elaborazione del l'informazione, capace di usare varie strategie), ai contributi degli studi di etologia (che hanno messo in luce che il comportamento è spesso frutto della maturazione più che dell'apprendimento) e a quelli della linguistica chomskiana (esiste un meccanismo innato per l'acquisizione del linguaggio; la grammatica è un insieme di regole che vengono applicate in modo produttivo per generare nuove frasi grammaticali) che negli anni Sessanta, in America, si è registrata una ripresa della psicologia cognitiva. Nella Conferenza di Woods Hole, diretta da Bruner nel 1959, si impongono le moderne teorie sul curricolo e sulla programmazione e progettazione didattica; tale Conferenza segna l'affermazione della figura di Bruner, come protagonista della svolta pedagogica negli Stati Uniti. Le opere e gli studi di Bruner offrono, dunque, alle nuove generazioni una formazione basata sul potenziamento dell'intelligenza e sull'arricchimento della conoscenza.
Bruner ha ritenuto necessario superare l'attivismo pedagogico, perché non è più sufficiente basare l'insegnamento sull'esperienza e sulla socializzazione, ma è indispensabile che il programma di ogni disciplina (concezione strutturalista) sia finalizzato a comprendere in modo approfondito i principi costitutivi della struttura della disciplina stessa.
Egli ha sostenuto, quindi, l'importanza nell'educazione delle «strutture delle conoscenze», le quali hanno una struttura generativa tale da consentire l'elaborazione di schemi funzionali, entro cui collocare i particolari che via via si incontrano. Per Bruner, tre sono le forme di rappresentazione: la rappresentazione attiva, basata sull'azione; la rappresentazione iconica, caratterizzata dall'immagine; la rappresentazione simbolica, fondata sul linguaggio. La conoscenza cresce secondo un modello di organizzazione strutturale attraverso tre fasi:
fase attiva o esecutiva, nella quale la conoscenza è legata al «fare»;
fase iconica, nella quale la conoscenza dipende dall'organizzazione sensoriale e dall'uso di schemi mentali ed immagini: rappresentazione dell'azione con figure;
fase simbolica, rappresentazione dell'azione con simboli o segni: la conoscenza si fonda sul linguaggio.
In base alla suddivisione di Bruner, secondo la quale ogni età ha un suo codice (età della scuola dell'infanzia: fase attiva; età della scuola elementare: fase iconica; età della scuola media: fase simbolica), adeguando le spiegazioni alle capacità di apprendimento dei soggetti, è possibile insegnare tutto a tutti. Bruner afferma che la creatività è un aspetto importante dell'intelligenza dei fanciulli, che consente loro di esprimere la propria individualità. Il curricolo didattico deve, dunque, avvalersi, utilizzando di volta in volta quella più adeguata a comunicare le conoscenze all'educando, di diverse forme di rappresentazione. La scuola deve, al contrario, favorire, senza privilegiarne alcuna, contemporaneamente tutti e tre i tipi (attiva, iconica e simbolica) di rappresentazione. La teoria bruneriana attribuisce all'insegnante una funzione centrale nel processo di apprendimento; emerge una nuova figura docente caratterizzata dalla competenza disciplinare, da conoscenze psicologiche e capacità di gestire un corso di studi, collaborando con i colleghi. Mentre, dunque, Piaget, da epistemologo, è più attento agli aspetti spontanei dello sviluppo e della maturazione, Bruner prende in considerazione gli effetti che può produrre l'istruzione nello stimolare e guidare lo sviluppo mentale del fanciullo:
«L'educazione al pensare scientifico, anche a livello elementare - avverte Bruner - non deve seguire passivamente il corso naturale dello sviluppo conoscitivo dell'allievo. Essa può anche guidare lo sviluppo intellettuale proponendo all'allievo problemi difficili del suo sviluppo. L'esperienza ha mostrato la validità del tentativo di offrire all'allievo in fase di sviluppo problemi che lo stimolino a progredire».Bruner sostiene l'importanza di stimolare il pensiero intuitivo dell'allievo, utilizzando il metodo della scoperta, che ha il vantaggio di potenziarne le capacità intellettive, migliorarne le possibilità di impiego della memoria, aumentarne la soddisfazione.
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