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La formatività della relazione educativa
1 La trama enattiva della relazione educativa
Quanto fin qui passato in rassegna indubbiamente evidenzia che l'atto educativo, nel suo complesso, va ritenuto lo strumento attraverso cui l'individuo consegue e da' forma alla propria identità personale, integrando tutte quelle conoscenze, capacità e competenze che gli consentono di vivere umanamente e di maturare, man mano, un'autoconsapevolezza sempre più completa. Ne deriva che l'educare non può coincidere nel mero attribuire all'altro una forma ed un senso prestabiliti, quanto nella sua capacità di generare una trama relazionale che conduce ciascuno alla conoscenza di sé e del mondo, disvelando alla libertà individuale i propri reali "talenti" (Margiotta 1995; 1996a).
Per questo motivo l'educabilità - in quanto requisito d'inizio - invoca la possibilità
che ciascun individuo ha di diventare, almeno in potenza, "ciò che è come è già dentro di sé", in quanto portatore di possibilità, di predisposizioni, di peculiarità proprie che "esigono" di essere educate e formate e così consentirgli la realizzazione della "forma di Sé". Scrive a proposito Musaio (2010, pag. 116):
"La prospettiva è attuare una ermeneutica dell'educabilità come forma nel senso di quel carattere intrinseco che la persona porta con sé e per cui è essa stessa principio di formatività. La persona è una forma che mentre fa, vive la sua propria esistenza, inventa il suo modo di fare. In tal senso prendere forma è anche un'attività che rimanda ad una modalità particolare del fare nel senso della ricerca e della scoperta da parte del soggetto, di quelle modalità che lo conducono verso la «riuscita» della sua formazione. Formare è una sintesi di attività che si alimenta dell'operare, del fare, ma anche dell'inventare, in generale ad una ricerca personale che conduce alla realizzazione di sé in analogia con l'opera d'arte. Conseguentemente la sottolineatura della persona come forma equivale ad affermare che ognuno di noi è in tal modo l'opera che realizza di se stesso, e in quanto opera, richiama qualcosa di in sé concluso, ma al tempo stesso in via sviluppo in quanto aperta a continue rielaborazioni. La persona come forma rimanda alla sottolineatura di quello che è il carattere strettamente personale dell'educabilità e del suo dispiegarsi attraverso l'educazione in vista di una formazione come espressione anche dei suoi tratti di unicità e irripetibilità, e di una singolarità unica. La formazione è infatti processo da intendersi come valorizzazione dei caratteri distintivi che la persona possiede, in relazione alla complessità dei suoi aspetti e dell'intrinseca formatività di tutte le attività che compie, del suo saper fare come dimensione che rinvia primariamente ad un saper essere, alla sua capacità di ricercare e dare un senso al proprio processo di formazione".
La "forma di Sé" si traccia dunque attraverso l'autorappresentazione che l'individuo man mano costruisce a partire dalle personali profondità interrelate alle esperienze di vita, anche in virtù della necessità di coniugare il proprio continuo divenire ad un principio singolare e costante al quale riportare il significato della pluralità di caratteristiche e di cambiamenti che ne qualificano l'esistenza. In altre parole, l'individuo ha bisogno di dare forma unica alla propria identità, non tanto come compagine statica ed immutabile bensì come rappresentazione di sé, manifestabile nella sua singolarità, non sovrapponibile né confondibile con l'identità altrui. Su questo punto Morin (2000, pag. 128 e segg.) spiega che il principio di identità è sintetizzabile nella formula "«io sono me» .dove. «io» resta lo stesso malgrado le modificazioni interne del «me»".
Per tutto ciò, nel percorso che avanza dall'educabilità verso la formazione, passando per l'educazione, l'individuo è chiamato ad una piena responsabilità verso sé stesso che implica ogni sua possibilità d'essere. La tesi di fondo che supporta il presente lavoro interpreta dunque la relazione educativa alla stregua di matrice enattiva di percorsi evolutivi orientati al futuro, percorsi che non possono avere che una connotazione volta alla formazione del Sé. Tale tesi origina dalla visione di Margiotta (2012b; 2013), per il quale il Sé è tale in quanto capace di "darsi una forma" e di cui sa render conto e dare giustificazione. In altre parole, "la relazione educativa si fa formativa quando riesce a «dar forma ai sistemi umani d'azione» (Margiotta, 2011a), sistemi riconoscibili - secondo la logica dell'«embodied cognition» - nei dispositivi del volere, dell'immaginare, del sentire, del pensare di ciascuno dei soggetti immersi in una storicità incorporata, tale cioè da farsi matrice fondamentale generativa enattiva di un ascolto, di un dialogo, di un'interazione, che consentono all'individuo di procedere alla costruzione del Sé, cioè allo sviluppo
della propria autonomia" (Margiotta, 2013, pp. 35-36).
2 Quando la relazione educativa diventa formativa? Punti di vista esperti
Una prima condizione che sancisce la formatività di una relazione educativa giace nella responsabilità dell'altro, cioè nella responsabilità da parte di chi ha un'attribuzione di cura - diretta o indiretta - del soggetto che deve crescere o al quale deve insegnare qualche cosa. Da questo punto di vista, connesso all'idea di autonomia come obiettivo vi è il riconoscimento di un'autonomia complessiva sul piano cognitivo ed emotivo. Quindi associato al fattore della responsabilità nel condurre l'altro verso l'autonomia, un fattore aggiuntivo e non secondario che stabilisce che una relazione è educativa giace nell'autonomia raggiunta dal soggetto in posizione iniziale "down"; dal livello di autonomia e dai suoi contenuti dipende la capacità della relazione educativa di essere formativa, il ché avviene quando l'educando assume su di sé la responsabilità della propria autonomia (Ajello).
Tale responsabilità è data in funzione del libero arbitrio dell'individuo e quindi della
sua libertà di scegliere. Libertà di scelta non nel senso di fare tutto ciò che si vuole ma in quanto libertà di agire a partire dalla realtà relazionale che l'individuo vive e nella possibilità che ha di costruire se stesso attraverso le relazioni che instaura e che coltiva. E l'educazione, che avviene unicamente nella relazione, ha come scopo principe quello di aiutare a trovare un senso alle esperienze e ai vissuti, un senso del proprio vivere. A partire da questa base quella relazione può diventare formativa in quanto capace di dare un senso al proprio sé (Cusinato).
La relazione educativa diventa formativa quando l'"educando" - attraverso l'aiuto dell'educatore - comprende che è libero di scegliere la propria strada ma che questa ha dei limiti di cui bisogna essere consapevoli e che non vanno oltrepassati, pena l'indebolimento, se non l'imbarbarimento, del proprio sé. La gestione della libertà non è automatica né tanto meno naturale: va appresa e per questo è necessario che
qualcuno insegni ad esercitarla (Ajello).
Ben si capisce che le questioni cruciali da tenere presenti allorché si vogliano delineare le concrete connotazioni di una relazione educativa che diventa formativa sono almeno due: la prima riguarda il costrutto di area di sviluppo prossimo, ove appunto trova collocazione la funzione mediativa dell'esperto verso l'inesperto; la seconda concerne la dimensione di scaffolding, che comporta un ruolo di supporto attento e professionale dell'educatore che deve essere pronto e disposto a co- costruire l'autonomia del soggetto che sta imparando - obiettivo fondamentale della relazione educativa - ma nel contempo deve essere in grado di sottrarre l'aiuto quando non più necessario (Ajello).
Educazione e formazione sono allora indubbiamente intrecciate, seppure distinte
nei processi che le determinano e nei loro fini. La prima - l'educazione - comporta l'offerta di proposte intenzionali da parte dell'adulto al soggetto in crescita per il miglioramento di sé, quindi di perfezionamento di sé, in vista del raggiungimento di un livello sempre più alto di autonomia e di responsabilità personale. La seconda - la formazione - può essere sostanzialmente assimilata ad un processo autoeducativo, da intendere come quell'atteggiamento attraverso cui la persona - soprattutto già matura e grazie al sostegno di un supporter esperto - viene posta nella condizione di poter attivare un processo di riflessività sulla propria esperienza e quindi di intraprendere un itinerario di miglioramento di sé (Pati).
Da punto di vista del dominio processuale la relazione educativa connota un processo di negoziazione e di reciprocità decise ed implementate non solamente dall'educatore bensì da questi insieme all'educando, in quanto se il secondo non accetta di essere educato, l'intenzionalità educativa del primo si fa voce vacua. Dunque ogni relazione è educativa in potenza, poiché "incontrando l'altro" inevitabilmente ci si tras-forma. Ovviamente l'incontro può tras-formare in maniera non governata, in maniera casuale, non esplicita, inintenzionale: ad esempio, una conversazione estemporanea con una persona interessante incontrata in treno può aver lasciato in noi una traccia ma non si può con questo dire che ci abbia trasformato: invece, quello che può essere avvenuto su suo impulso è un'auto- trasformazione, che ciascuno di noi può fare autonomamente attraverso la riflessione su di sé (Formenti).
Per Margiotta non c'è educazione senza relazione: l'espressione di tale atto primario - tipico di qualsiasi rapporto fra diseguali, dove il soggetto più anziano, più competente, supposto sapere, si incarica di insegnare comportamenti funzionali alla conservazione della vita biologica e spirituale a chi non dispone ancora di tali conoscenze e abilità - è dato dalla cura della relazione. Relazionarsi, in un processo educativo, non rappresenta una contingenza, ma un vincolo, senza il quale non c'è quel processo. La relazione educativa è esperienza e pratica della cura. La cura - nel senso epistemologico e filosofico del termine - viene qui definita come l'insieme degli atti, delle pratiche e delle teorie, dotati di transitività circolare fra bisogno- risposta, dipendenza-autonomia, in cui è incluso sempre anche il bisogno del curante, che Margiotta indica essere necessità ontologica e pratica bio-culturale mediante la quale si è immessi in un Mondo e si è mantenuti in vita all'interno dei contesti che quel mondo descrivono. Nella relazione educativa i giovani si muovono in un mondo già formato, in un contesto organizzato, strutturato, che esisteva prima della loro comparsa, ed è proprio la relazione educativa che stabilisce il ponte, il vincolo col passato. Vincolo non statico, nell'obbligo di scomporre e ricomporre diverse visioni del mondo, trasformare e trasformarsi. In ciò giace la capacità della relazione educativa di essere formativa. Certo che se la relazione c'è ancora non esiste - almeno a livello della ideologia dominante - una teoria capace di circolare verso le pratiche, di metterle in significato, di nutrire un pensiero educativo e di formazione orientato alla cura. In ogni caso la formatività della relazione educativa può essere anche stabilita sulla base di una serie di azioni definite dall'autore in-clusive (volte verso l'interno, le prime tre) ed ex-clusive (volte verso l'esterno, le seconde tre):
conservare, ad indicazione della necessità di essere consapevoli del debito che ci lega agli altri, sentimentale, intellettuale; consapevoli del dono e dell'ostaggio che ciascuno rappresenta quando si instaura la relazione, a cui l'atto del donare ha dato avvio. Una relazione educativa è formativa quando riesce a valorizzare la riconoscenza in quanto azione conservativa e generativa.
preservare, il cui significato etimologico fondamentale rimane l'argomento della
fedeltà: fedeltà ad un compito, ad un oggetto ritagliato in vari contesti, definiti e determinati dalle storie, dalle presenze, dalle aspirazioni, dagli scopi. La relazione educativa è dunque formativa in quanto preserva - tra i vari oggetti - la famiglia e la scuola come contesti inconfondibili, appositamente costruiti nel tempo di apprendimento delle nuove generazioni e di saldatura tra le generazioni; la specificità della famiglia come ambito e momento tutto particolare nella storia dell'individuo; l'autorità come autorevolezza; la soggettività dell'individuo; lo studio come pratica che richiede sforzo, accettazione di regole e vincoli;
(c) riparare, atto strettamente legato ai primi due in quanto la conservazione e la preservazione presuppongono la constatazione che qualcosa si può rompere, corrompere, degradare. Se nella logica a cui ci hanno abituato anni di consumismo ciò che è rotto semplicemente si butta via, si sostituisce, nell'ottica di una intersoggettività educativa la riparazione acquista il senso umanissimo del sapersi perdonare, reciprocamente, del sapere che il danno è effetto di una reciprocità di atti commessi, per incuria, per insipienza, sui quali è possibile tornare, non rimuovendoli o negandoli, ma facendone argomentazione, parola condivisa fra gli attanti. Ed è anche in questo atto che la relazione educativa si fa formativa;
promuovere e trasformare, due azioni che, come indica l'etimo dei loro prefissi
"pro" e "tra", conducono verso l'esterno. Ma verso dove? Sempre più spesso i bambini e i giovani chiedono agli adulti di dare fondamento - nel senso di giustificare - a quello che essi chiedono loro di fare. La relazione educativa ha occasione di farsi formativa se aiuta gli educandi a comprendere che la richiesta loro fatta è per stimolarli e per affiancarli nel moto verso un altrove, per formare al nuovo mediante quel che già è presente, attraverso lo stupore e la meraviglia. La sfida educativa consiste nel promuovere le condizioni attraverso cui l'educando sviluppa la capacità di avere cura di sé, in cammino verso l'autonomia dal genitore/precettore/insegnante. La formazione trasformativa, diciamo in modo un po' ridondante visto che ogni buona formazione è mutamento, è il prodotto dello spiazzamento cognitivo, di un'emozione, di un movimento del sentire. Nella relazione educativa, promuovere e trasformare servono alla sua cura perché sono verbi generativi, perché fanno vedere l'ulteriore, ciò che nello spazio e nel tempo i più giovani possono immaginare, fantasticare, ciò che desiderano e a cui possono aspirare;
coltivare, per la pregnanza dell'immagine inerente l'atto di rimette alla terra il
seme, che rimanda al mantenimento della tradizione per gettare un ponte verso
l'altrove. Nella relazione educativa il "coltivare" è un atto inclusivo e divergente insieme, comprensivo di tutti gli atti presenti nei precedenti predicati. La tradizione è lascito ed è tramite, come suggerisce l'etimo, traslato, traduzione e tradimento. Il genitore, il maestro, l'anziano, coltiva e poi lascia andare ciò che ha fruttificato. Il figlio, il discente, il giovane ascolta, impara, ma poi deve uccidere il maestro, come nell'apologo mitico, presente in tutte le culture. Adattamento e ribellione devono stare sul percorso dei doveri e della responsabilità. Nella relazione educativa la responsabilità è una parola-chiave. Verso se stessi, come responsabilità nella costruzione di un percorso identitario che non tradisca il desiderio di autenticità, che assecondi quella che capiamo essere la nostra pro-pensione. Verso gli altri, come responsabilità rivolta alla relazione interpersonale e al consorzio sociale. L'esercizio della responsabilità comporta la fiducia che il contenuto del patto che ci lega nella relazione sia buono, per noi, per l'altro, per il contesto (Margiotta).
La relazione educativa viene dunque definita come quel rapporto intersoggettivo teso a dare forma, non nel senso di "plasmare" ma di aiutare l'altro a prendere la sua forma, favorire nell'altro il suo prender forma di sé. La parola-chiave che rende conto della formatività della relazione educativa è perciò "ricerca di senso". I genitori educano i figli, in un contesto che è tutto relazionale, quando li aiutano a dare risposte alle esigenze di senso. Una relazione è dunque educativa non tanto quando "dà forma" ma quando "l'educatore affianca l'educando nel "suo prender forma (Iori).
Spostandosi da una prospettiva antropo-pedagogica ad una prospettiva socio-
relazionale (Donati), assimilando quest'ultima ciascuna relazione ad una azione reciproca (rel-azione) ne deriva che quella educativa coincide non tanto con una relazione funzionalmente specializzata quanto con la valenza formativa di tutte le relazioni del mondo vitale. La relazione educativa connota un sistema prassico concepito come rete di azioni reciproche finalizzate a dei valori etici. Le relazioni sociali - tra individui - in-formano sempre, nel senso che incidono nel dare una forma a chi sta in-relazione. Se e come quella relazione sociale possa dirsi educativa dipende dalla configurazione della stessa: lo è quando si configura come bene relazionale per coloro che stanno in relazione fra di loro, ciò presupponendo una reciproca riflessività relazionale, tesa alla generazione di un effetto emergente virtuoso.
3 La riflessività quale dispositivo principe dell'enazione
La considerazione principale che si è costituita a guida del presente percorso di ricerca ha riguardato la capacità della relazione educativa di essere formativa - ovvero enattiva, generativa di conoscenza, e dunque capace di "dar forma al sé" nel senso di favorire, se non consentire, l'autorealizzazione individuale in un assetto intersoggettivo - cioè la realizzazione autopoietica dell'individuo, direbbero Maturana e Varela - nonchè il disvelamento di una coscienza consapevole.
Ma qual è il dispositivo principe capace di produrre enazione? La risposta non è naturalmente univoca ma, più di altri, il modello dell'integrale antropologico di Margiotta (cfr. §2.2.4) - che molto si basa da un lato sui contributi di Dewey inerenti lo sviluppo del pensiero riflessivo quale obiettivo primario dell'educazione e dall'altro sull'indiscutibile rapporto testimoniato dalla ricerca empirica tra pensiero, contesto ed esperienza - ci sembra capace di avvalorare la significatività pedagogica del nesso tra pensiero riflessivo e processi formativi. A questo proposito scrive Margiotta (2011c):
".in una società - la nostra - per la quale le categorie dell'instabilità, dell'incertezza, della precarietà, dell'incontrollabilità si impongono come categorie ontologiche e gnoseologiche, il pensiero riflessivo in quanto pensiero euristico e critico potrebbe costituire un «dispositivo-strumento» di formazione quanto mai necessario per una società del post Twin Tower che voglia dirigersi verso la costruzione di una nuova democrazia trovando, sempre, nell'educazione lo «spazio esperienziale» funzionale a realizzare la crescita e lo sviluppo individuale e sociale.".
Il dispositivo principe che produce enazione giace dunque nella riflessività, processo che, avvalendosi degli strumenti del dialogo, della conversazione, della narrazione, mobilita in assetto interazionale e si fa strumento capace di "dare forma", cioè senso e significato, ai sistemi umani di azione (ibidem).
"«Formativo» allora non è solo ciò che attiene a situazioni strutturate di apprendimento ma comprende tutto ciò che rende «significante» azioni volte alla creazione di valore. Formazione è un «dare forma» ma solo a partire dalla possibilità di «generare forme nuove» di conoscenza orientate al valore. La formazione diviene quindi lo spazio di un agire strategico orientato all'attivazione significante del senso creativo e generativo dei sistemi d'azione e degli «accoppiamenti strutturali» in cui ci si riconosce. L'agire formativo garantisce, a sua volta, la costruzione di nuovi significati e di una ricorsiva produzione di senso e di creazione del valore. Questa visione immerge la formazione nelle interazioni di generazione di valore che, a loro volta, sono espressioni di dinamiche di interazioni tra sistemi e ambienti. Tale approccio diviene utile anche per il «miglioramento» delle strategie di formazione, generando modelli di funzionamento e consentendo un controllo a più variabili. Ma ciò è possibile solo intendendo questo processualmente; spostando cioè continuamente i «confini» del sistema inizialmente contornato, oltrepassando così la decifrazione del funzionamento (l'attività) per far posto a quella del senso. In questa ottica la formazione si configura come esperienza morfogenetica-riflessiva-interattiva (Margiotta, 1998). Morfogenetica in quanto espressione di una dimensione generativa che costituisce l'esperienza e l'azione formativa; riflessiva in quanto capace di apertura di senso massimizzando lo spazio del possibile e riaprendo combinatorie oltre le «regole di composizione» già date; interattiva per il riferimento intersoggettivo e intenzionale dell'azione formativa. Questa visione ci conduce a rileggere la formazione in chiave non di razionalità pianificatoria (espressione della vecchia logica del controllo del periodo fordista) quanto piuttosto come espressione di un programma di ricerca capace di sviluppare possibilità di costruzione in rete di sistemi d'azione della persona capaci di interpretare e governare i processi di co- evoluzione, di auto-determinazione, di personalizzazione, nella diade ricorsiva globale/locale. Diviene allora sempre più evidente come la formazione costruisca trame di significato e di valore in una con il concetto di cambiamento e di potenziale di sviluppo" (Margiotta, 2011a, pag. 74).
Per concludere, la lezione che abbiamo potuto trarre dal percorso sin qui compiuto è che una relazione intersoggettiva di natura educativa si fa formativa quando si realizza come enattiva, cioè generativa di forme significanti nelle azioni e nelle interrelazioni umane - quindi produttiva di senso - in una strategia gnoseologica e valoriale indirizzata all'estrinsecazione del Sé. In accordo con Margiotta (2012b;
2013), il dispositivo principe capace di produrre enazione non può che fondarsi sulla
riflessività.
L'educazione non può dunque che essere relazionale, in quanto processo nel contempo naturale e culturale che si dispiega in assetto intersoggettivo. È in questo spazio intersoggettivo - nella relazione educativa - che gli individui evolvono in virtù del reciproco scambio, formandosi alla coscienza. Tra i molti spazi dell'educare
- ovvero tra i molti luoghi e modi dell'educare - ve ne è uno di privilegiato ed
irrinunciabile - che è lo spazio "familiare" - con i vissuti primari e basilari che in esso prendono forma e dove le interrelazioni danno origine alle radici dell'identità
umana.
Resterà ora da comprendere se rendendo gli adulti - nel caso precipuo i genitori - consapevoli della "trama enattiva" della loro capacità educativa, si può contribuire a modificarne gli assetti metacognitivi inerenti i relativi saperi, le conoscenze, le prassi (cfr. Margiotta, 2011d), nella convinzione che il più efficace supporto alla genitorialità giaccia non tanto sul potenziamento del ruolo ("cosa" deve saper fare un adulto per essere genitore) quanto sulla consapevolezza se proprio Sé ("chi" deve riuscire ad essere l'individuo per potersi esprimere adeguatamente - tra gli altri - anche nel ruolo genitoriale).
Sarà questo l'argomento della seconda parte del presente lavoro.
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