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La rilevanza del soggetto passivo
Una politica criminale e coerente deve tendere alla costante sintesi delle posizioni della vittima e del reo per trovare il punto di equilibrio tra libertà individuale e difesa sociale.
Nella storia del diritto e del processo penale, dopo il processo di devittimizzazione (processo di marginalizzazione della vittima), la valenza del ruolo della vittima e dell'autore di reato hanno subito continue variazioni, a seconda del prevalere della retribuzione e generalprevenzione o della specialprevenzione e indulgenzialismo.
Originariamente l'indirizzo maggiormente accreditato è stato quello che concepiva il reato come fatto privato, interessandolo esclusivamente al reo ed alla vittima, il processo come controversia fra tali soggetti, con la partecipazione, più o meno attiva, del gruppo parentale e la sanzione come vendetta privata o contrattata riparazione patrimoniale.
Alla parziale ghettizzazione della vittima contribuiscono la pubblicizzazione del diritto e dell'azione penale, che spostano l'attenzione dal piano individuale a quello collettivo, convergendo nella salvaguardia della tutela degli interessi comunitari; poiché i reati sono concepiti come offesa non della specifica vittima ma dell'ordine sociale, lo Stato diventa il soggetto passivo costante del reato.
Inoltre gli scopi pubblici della pena (retribuzione e conseguente intimidazione) si estraniano da ogni idea risarcitoria e riparativa della vittima; è necessario riconoscere che la tutela della vittima si razionalizza nella concezione retributiva postulando la necessità che il reo debba patire in modo inderogabile e proporzionale al male sofferto dalla vittima. Una sorta di Lex Talionis in grado di garantire la pena nella sua concezione primaria e di considerarla come meritato castigo.
Il valore della vittima e dei suoi diritti sono stati ulteriormente oscurati spostando il fuoco delle scienze criminali sull'autore di reato.
Nella prospettiva criminologica, le cause del reato sono rintracciabili nella società; la recondita esistenza della delinquenza tra le maglie della popolazione conduce ad un progressivo offuscamento di quel senso di responsabilità personale che porta all'esaltazione delle condotte criminogene ad alla mitizzazione della violenza. La stessa vittimologia ha accentuato la tendenza ridimensionatrice del delinquente.
Sia nella prospettiva specialpreventiva che garantista sono rintracciabili la crisi del principio retributivo e generalpreventivo dell'inderogabilità penale.
Nella logica asociale dell'ideologia permissivistica è andata diffondendosi, nell'autore di reato, la regressiva psicologia del "tutto consentito" e del rifiuto della sanzione tout court e di ogni controllo sociale. La convinzione, da parte delle persone detenute, di dover pagare il loro agire antisociale attraverso la privazione della libertà è quanto di più vessatorio e inumano. La pretesa della vittima, per la quale la libertà è dovuta come riparazione di un torto subito, si rende necessaria e giustificabile per non incorrere in un'ulteriore intollerabile giustizia.
E' ben comprensibile come un sistema in cui la vittima ricopre un ruolo marginale non possa riscuotere fiducia da parte dei cittadini che richiedono, a fronte della criminalità pervasiva e onnipresente, giustizia e sicurezza da parte degli organi e delle istituzioni statuali.
La tutela della vittima non è stato un processo adeguatamente perseguito, soppiantato dalla devittimizzazione che ha dominato il pensiero penalistico, sostanziale e processuale, la politica legislativa e la prassi giudiziaria.
L'irrinunciabile esigenza garantista ha impedito di elevare le vittime di reato o potenzialmente tali (e cioè i cittadini in genere) a destinatari attivi della sicurezza, doverosamente esplicitata dalla normativa penale e giuridica. Tutto ciò è stato giocato in un terreno di progressiva liberalizzazione del processo penale, di affievolimento del principio punitivo (nei diritti penale e penitenziario), di indebolimento dell'attività preventiva di polizia e di indiscriminate clemenze legislative e giudiziarie. Accanto a questo, si registrano il mancato potenziamento dei principi rieducativo e punitivo, di assistenza e controllo sociale. Si è, in tal modo, demolito senza nulla sostituire nel recupero dei soggetti a condotta antisociale e nella difesa dei cittadini contro il crimine.
A fronte dell'aumento della criminalità e della conseguente richiesta di difesa sociale, per il principio di reazione, si sta lentamente assistendo ad una riscoperta della vittima che ritorna, a pieno titolo ed in modo inequivocabilmente giustificato, al centro della politica criminale.
Ma in assenza di una precedente predisposizione di mezzi di difesa nuovi e moderni, ciò avviene attraverso una fatale marcia indietro rispetto ai programmi legislativi di liberalizzazione del codice penale ed un potenziamento del principio intimidativo-repressivo.
Le continue oscillazioni emozionali tra garantismo-indulgenzialismo ed intimidazione-repressione rendono l'opera del legislatore dannosa ai fini della prevenzione del delitto.
Una adeguata sintesi è imposta dalla Costituzione, la cui funzione garantista si esplica anche e soprattutto a favore delle potenziali vittime di reato.
Per l'art. 2 lo Stato ha, infatti, il dovere fondamentale di garantire i diritti inviolabili dell'uomo, tra cui sono primari la vita e l'incolumità.
" Questo è il compito di un diritto penale della libertà, dato che il volto nudo del male appare più chiaramente guardandolo anche dalla parte della negletta vittima"
Tra gli scopi del diritto penale va, senza dubbio, annoverato, accanto alla retribuzione, la pacificazione sociale, perseguibile, innanzi tutto, attraverso la riparazione della vittima.
La riparazione ed il risarcimento del danno, laddove siano obiettivamente e soggettivamente possibili, e comunque l'adoperarsi a favore dell'offeso, debbono rappresentare il presupposto di un autentico e genuino "merito" e del reinserimento sociale del reo.
Numerosi studi e ricerche sembrano dimostrare che il bisogno di vendetta o di punizione da parte della vittima, si risolve, in taluni casi, nel desiderio di una riparazione materiale e che la persona offesa è disposta a riconciliarsi nel momento in cui il reo riconosce il danno causato e promette il pagamento.
Tale processo riveste un triplice vantaggio: una maggiore predisposizione delle vittime a denunciare, testimoniare e collaborare con la giustizia, una possibile riduzione del tasso di criminalità, una aumentata fiducia nelle istituzioni giudiziarie, volte non solo a prevenire, attraverso l'applicazione della pena, danni a potenziali vittime, ma anche a salvaguardare la collettività.
E' necessario, tuttavia, sottolineare come la soddisfazione da parte della persona offesa attraverso l'attività riparatoria sia intimamente circoscritta alla non gravità dei reati.
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