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La lotta alla mafia - non solo gli uomini delle istituzioni




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La lotta alla mafia - non solo gli uomini delle istituzioni


LA LOTTA ALLA MAFIA - NON SOLO GLI UOMINI DELLE ISTITUZIONI La storia della
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LA LOTTA ALLA MAFIA - NON SOLO GLI UOMINI DELLE ISTITUZIONI


La storia della mafia nei primi 60 anni dello stato repubblicano, sullo specifico fronte del contrasto istituzionale, ha registrato molte fasi di resa, alcune contrassegnate da colposa indifferenza verso un visibile espandersi del fenomeno, altre da vera e propria funzionalità ai gruppi protagonisti di tale espansione almeno fino alla fine degli anni '60. Successivamente su questo stesso fronte però si sono avuti grandi atti di resistenza, anche eroici, che hanno visto come protagonisti, indifferentemente, persone normali, semplici e persone note per la loro posizione istituzionale, tutte accomunate dalla profonda convinzione di essere impegnate in una lotta di liberazione civile.

E' alla fine degli anni '70 che qualcosa sul fronte istituzionale comincia a cambiare quando nel febbraio del '78 viene nominato Procuratore della Repubblica a Palermo Gaetano Costa, uomo di sicura fede democratica e di grande determinazione antimafia. Nel giugno del '79 rientra a Palermo quale consigliere istruttore Cesare Terranova. La mafia percepisce immediatamente la pericolosità per i loro affari del duo Costa-Terranova e dichiara finita la tregua sul fronte del sangue istituzionale, siglata negli anni del terrorismo che avevano spostato l'attenzione pubblica molto lontana dalla Sicilia. Infatti, dopo il processo di Catanzaro del '73 seguito alla morte di Scaglione, le istituzioni sembrano non avvertire in quegli anni la presenza della mafia che, conscia di aver corso un grave pericolo con quel processo (che per 75 imputati si concluse con pene minime), ripiega in una più saggia clandestinità e si rifà viva solo nel '77 con l'omicidio del capitano dei carabinieri Giuseppe Russo, cui non segue nessuna apprezzabile reazione istituzionale. Il nuovo "problema" sorto in Procura, viene prontamente risolto ed il primo a cadere sotto il piombo mafioso il 25 settembre 79 è Terranova, ucciso insieme al maresciallo Mancuso. Il CSM nomina allora al suo posto Rocco Chinnici e dà un preciso segno della volontà di non lasciarsi intimidire dalla violenza. Cadono a frotte i servitori dello stato: il presidente della Regione Piersanti Mattarella politico della sinistra democristiana, Pio La Torre segretario del PCI siciliano che avanza la proposta dell'introduzione del reato di "associazione mafiosa", il generale Dalla Chiesa nominato prefetto di Palermo il giorno dopo l'uccisione di La Torre, Costa, Chinnici, Ciaccio Montalto, Cassarà e tanti altri ancora, giudici poliziotti, carabinieri, in una sequenza di sangue che sembra inarrestabile. Questo terrorismo mafioso rivolto contro i rappresentanti delle istituzioni, costituisce prova di un "patto scellerato" di mutua assistenza stipulato con gli eversori dello Stato. L'esempio di Costa e Chinnici viene raccolto però da gran parte della magistratura, in particolare da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che sotto la guida di Antonino Caponnetto, dimostra a tutti che la mafia non è nè invisibile né imbattibile: non vi sono più alibi per nessuno e finalmente il Palazzo di Giustizia si scrolla di dosso l'indifferenza che l'ha accompagnata per troppi decenni. I sacrifici di Falcone (a cui dobbiamo la nascita nel 1992 della D.N.A. Direzione Nazionale Antimafia o Procura antimafia) e di Borsellino in particolare sembrano aver interrotto l' estenuante "periodicità" di una lotta alla mafia che si ripresentava di decennio in decennio solo quando non era più possibile far finta di non vedere le decine di morti ammazzati lasciati per strada. La consapevolezza che la mafia esiste anche quando non dà fastidio con episodi esteriori di criminalità oggi sembra acquisita almeno dalla magistratura, che ha pagato un prezzo altissimo con il sacrificio di magistrati "all'antica" come Terranova, Costa, Chinnici e Saetta, di giudici "maturi" come Falcone, Borsellino, Ciaccio Montalto, di "giudici ragazzini" come Livatino, tutti forti di esperienze conquistate condividendo un ideale di democrazia raggiungibile solo attraverso la liberazione dalla mafia e dal sistema di potere ad essa organico.

Anche parte della società civile non è stata indifferente all'azione contro la mafia. Se nel periodo dal dopoguerra agli anni '60 le uccisioni fra gli esponenti non "istituzionali" riguardavano soprattutto contadini rivoltosi e sindacalisti loro difensori, è a partire dal settembre del 1970 quando viene rapito e ucciso a Palermo, senza mai farne ritrovare il corpo, il redattore del quotidiano "L'ora" Mauro De Mauro, che si comincia a combattere la mafia attraverso la parola, con il tentativo di sensibilizzare la società sul problema "mafia" denunciandone i traffici illeciti e gli intrecci criminali, ma soprattutto l'assoggettamento culturale caratterizzato da metodi intimidatori, omertosi e clientelari al fine del controllo del territorio.

Da quel 1970 ad oggi tanti sono caduti "giustiziati" (sì, nella mente perversa dei mafiosi, eliminare chi intralcia i loro interessi e minaccia il loro potere, equivale a "fare giustizia"): si ricordi Mario Francese, cronista del Giornale di Sicilia - Giuseppe Fava, fondatore del settimanale "I Siciliani" - Mauro Rostagno, giornalista e sociologo - Libero Grassi imprenditore di Capo d'Orlando che rifiuta di pagare il "pizzo" agli esattori - Beppe Alfano, giornalista del quotidiano "La Sicilia" - Padre Pino Puglisi, parroco della chiesa di San Gaetano a Brancaccio e via via fino ai giorni nostri con l'eliminazione "metaforica" dello scrittore Roberto Saviano, costretto da tre anni ad una vita sotto protezione e costantemente minacciato di morte "vera" a causa della denuncia contro la più efferata camorra contenuta nel suo libro "Gomorra".



Ma la morte più inquietante, per le modalità dell'esecuzione e per gli strascichi durati quasi 25 anni, è quella del militante antimafia Giuseppe "Peppino" Impastato , ucciso incredibilmente lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro il 9 maggio 1978, oggi conosciuto più diffusamente grazie al film "I cento passi" di Marco Tullio Giordana.

Nato nella casa di una famiglia mafiosa, a "cento passi" dalla casa del boss mafioso Gaetano Badalamenti, una distanza fisica che diventa simbolo di distanza culturale, politica e morale da un mondo contro cui Peppino urlerà tutta la sua rabbia. L'attività di Impastato si colloca in un periodo di transizione e può considerarsi una sorta di ponte tra passato e futuro. Egli è insieme l'erede del vecchio movimento antimafia ed il pioniere della nuova fase di lotta. Dal movimento contadino eredita la spinta organizzativa, l'ispirazione sociale: infatti, oltre ad ave organizzato i contadini contro l'espropriazione dei terreni per l'ampliamento dell'aeroporto di Punta Raisi, ha organizzato anche lotte degli edili disoccupati, mentre l'uso del linguaggio, le attività culturali, dal cineforum al teatro di strada e soprattutto alla radio, sono le prime sperimentazioni di un nuovo modo di praticare l'antimafia. Il primo tentativo di formare un nucleo per il coagulo culturale e politico, per l'emancipazione dei giovani attraverso il processo di liberazione totale dalle scorie di un passato molto pesante e che ha procurato effetti psicologicamente distruttivi sul carattere delle nuove generazioni, fu la nascita nel 1976 del circolo "Musica e Cultura" , che aveva lo scopo di affermare una nuova cultura antimafia che contrastasse la sottocultura mafiosa . Tentativo guardato con sospetto dai boss locali, di ritorno dal confino, impegnati a ritessere la loro rete di controllo sul territorio paesano e regionale e boicottato facendo leva sulla grettezza di una parte della piccola borghesia per scaricare sul circolo menzogne, riserve, diffidenza. Tutto ciò mette in crisi il Circolo, ma non il grande bisogno dei giovani di una comunicazione e di un contatto sociale diverso da quello, gretto e ipocrita, della società mafiosa. Sulla scia della nascita delle radio libere,cominciò a prendere corpo l'idea di creare un'emittente alternativa come strumento di circolazione delle idee e la denuncia incalzante dei meccanismi mafiosi. Nasce "Radio Aut" (il nome non vuole essere una storpiatura dell'inglese "out" fuori, ma la possibilità di un'alternativa, "aut" dal latino "o" "ovvero"): una linea d'attacco con il fine della formazione di un minimo di coscienza d'opposizione nella gente contro la mafia,identificata come il punto centrale del sistema di potere. La trasmissione satiro-schizo-politica "Onda pazza", rappresentava il momento di più diretto contatto con la realtà locale: i problemi venivano gonfiati ad arte e proiettati in una realtà apparentemente al limite dell'assurdo, ma in concreto drammaticamente presente. Così Cinisi diventava "mafiopoli" il Municipio diventava "maficipio" Gaetano Badalamenti era "Tano Seduto" il sindaco "Geronimo" un politico democristiano "Piccola cucina a gas" e via di seguito non si risparmiava nessuno speculatore di Cinisi e Terrasini e venivano così denunciati tutti i piani di utilizzazione dell'amministrazione pubblica a fini personali. Il perbenismo paesano fingeva di sconvolgersi all'impertinenza con la quale "persone rispettabili" erano fatte oggetto di pubblico sfottimento, ma di fatto la gente ascoltava la trasmissione anche dalle radioline o nei bar sbellicandosi dalle risate, mentre i diretti interessati, o i loro informatori, cercavano di non perdere una parola di ciò che avrebbe potuto ledere la loro onorabilità. Si alza così il livello dello scontro: la forza espressiva e comunicativa di Peppino, la consapevolezza di poter contare su di un seguito e su un metodo propagandistico che contrapponeva la libera voce al silenzio e all'omertà mafiosa, proprio nel momento in cui la mafia stava raggiungendo uno dei livelli più alti di espansione in paese, attraverso le commesse per la costruzione dell'autostrada Punta Raisi-Mazara, firmano la sua condanna a morte. Il padre mafioso convocato dal boss viene informato che non c'era altra strada che tappargli la bocca con le buone o con le cattive, malgrado l'amicizia. Il padre prova a proteggere il figlio, facendo leva sull'"onorabilità" rispondendo al boss che prima di ammazzare il figlio avrebbero dovuto ammazzare lui. Detto fatto: a settembre '77 viene ucciso Luigi Impastato.

Al funerale presenzierà tutto il gotha mafioso del paese al quale Peppino rifiuterà pubblicamente di stringere la mano, mettendosi a braccia conserte davanti a tutti coloro che

aveva indicato, attraverso la radio e nei comizi (si era candidato alle elezioni comunali) come mafiosi o tirapiedi di Badalamenti. Questa probabilmente l'offesa più grande che Giuseppe Impastato fece alla mafia del suo paese. L'8 maggio 1978 un conoscente era venuto da Palermo per riferire che un esponente discretamente quotato nella DC di Cinisi, l'aveva informato che quella sera e in quei giorni sarebbe successo qualcosa di grosso, ma non ebbe il tempo o il coraggio di riferirlo a Impastato. Alla sera Peppino lasciò un amico davanti a casa e se ne andò verso casa sua seguito da un'auto già vista vicino ad Radio Aut. Da allora nessuno lo vide più. Quando più tardi l'amico di Palermo comunicò agli altri quanto gli era stato riferito, cominciarono subito le ricerche di Peppino: tutti gli amici si mobilitarono, qualcuno venne seguito da un'auto guidata da persona "in odor di mafia", altri arrivarono anche nei paraggi del luogo del delitto, ma nessuno riuscì a trovarne traccia. Alle 6 di mattina del 9 maggio 78 la notizia: Peppino era saltato in aria con una bomba, sui binari della ferrovia dirimpetto ad una cava. La stessa mattina un'altra terribile notizia: a Roma in Via Caetani era stata fatta ritrovare un'auto con dentro il corpo straziato di Aldo Moro. In quello stesso momento cominciò l'opera non solo di depistaggio, ma anche di distruzione della figura delle idee e la memoria di Peppino Impastato, facendo circolare voci che Peppino era morto mentre stava preparando un attentato per far saltare in aria il primo treno del mattino, carico di operai e studenti pendolari. Chi aveva concepito questo delitto, aveva calcolato anche che la gente avrebbe subito accettato la versione che più faceva comodo: l'attentato "politico" era la soluzione più plausibile per un "pazzo" come Peppino, su cui incombeva qualche ombra di simpatia per il terrorismo. Ma non aveva fatto i conti con la determinazione degli amici e dei compagni di Peppino di svelare la truffa sul suo omicidio. Ai funerali partecipano centinaia di persone arrabbiate ed in lacrime che gridavano "Badalamenti boia", a Palermo veniva indetta una manifestazione quasi spontanea per Peppino ed il 14 maggio del 1978, alle elezioni comunali di Cinisi, Giuseppe Impastato viene eletto consigliere e la sua lista consegue il 6% dei voti. Bisognava prendere atto che gli inquirenti l'avevano fatta grossa e che il paese, così come l'opinione pubblica, non l'aveva bevuta. Così nell'inchiesta si fa strada l'ipotesi del suicidio confermata da una lettera (di molti mesi prima) trovata fra le carte di Impastato coperta dal segreto istruttorio e passata disinvoltamente ad un giornale. Dopo la distruzione, la diffamazione: Impastato non è stato ucciso, ma s'è ucciso in quel modo per farlo credere e trasformarsi da fallito in martire. Queste le parole pubblicate da un giornale con la foto scattata durante il servizio militare e quindi presente solo nell'archivio dell'esercito.

Comincia il braccio di ferro: poco convinto dall'ipotesi dell'attentato il capitano Basile (ucciso) il caso è formalizzato da Gaetano Costa (ucciso), Rocco Chinnici (ucciso) lo avoca a sé e decide di occuparsene personalmente. Ma in silenzio si arriva dopo 6 anni all'archiviazione: Nino Caponnetto sostituto di Chinnici firma la sentenza. Omicidio mafioso sì, ma ad opera di ignoti. Il minuzioso lavoro di ricerca degli amici e la determinata ostinazione della famiglia, in particolare il fratello Giovanni e la madre Felicia, porta alla riapertura dell'inchiesta nel 1988, e la comunicazione giudiziaria inviata da Falcone a Badalamenti rappresenta finalmente un atto di coraggio, ma nel 92 di nuovo l'archiviazione, un frettoloso tentativo di chiudere una vicenda diventata scomoda. (nel '90 il ministro degli interni nega a Impastato la qualifica di vittima della mafia).

Nel '95 si arriva alla terza riapertura "a seguito delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Palazzolo Salvatore, arricchite dal contributo di Gaspare Mutolo, Antonino Calderone, nonché le dichiarazioni resa da Tommaso Buscetta Francesco Marino Mannoia Calogero Gangi....." e nel 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti incriminato come mandante del delitto. Dopo complicate vicende giudiziarie il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto colpevole Vito Palazzolo e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L'11 aprile 2002 dopo quasi 24 anni, Gaetano Badalamenti è condannato all'ergastolo quale mandante dell'omicidio di Peppino Impastato.

La forza delle idee, la consapevolezza che le parole, l'arte sotto le sue più svariate forme, possano risvegliare le coscienze e sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia, è il filo ideale che collega Peppino Impastato negli anni fino a Roberto Saviano, le cui vite hanno diverse similitudini: la lotta alla mafia attraverso la comunicazione, la radio, la musica e la satira e il film sulla sua vita per Impastato, la scrittura e la trasposizione al cinema e a teatro dell'opera per Saviano. I film "I cento passi" e "Gomorra" hanno fatto il giro del mondo, dando un risalto, una conoscenza ed una visibilità al "problema" mafia quasi più dell'antimafia emotiva suscitata dall'indignazione per i grandi delitti e le stragi. La reazione rabbiosa delle mafie è la stessa: l'eliminazione fisica di Peppino e quella metaforica, come già ricordato, di Saviano costretto ad una vita senza legami né relazioni; lo stesso tentativo di diffamazione: "terrorista" e "comunista fallito" per Peppino, avido opportunista che si arricchisce con i diritti del libro e del film nonché portatore di "disagio" nei paesi da lui denunciati, per Saviano.

Perché la mafia ha paura delle parole, della visibilità più che delle inchieste giudiziarie.

Perché prospera nel silenzio, nell'omertà e nella seduzione attraverso il potere ed i soldi.



Immobili e aziende confiscate alla mafia



Una cultura che escluda l'avidità di soldi e la sete di potere, che persegua la diffusione della legalità - va ricordata l'opera dell'Associazione nazionale "Libera" il cui presidente e Don Ciotti che raccoglie centinaia di associazioni su tutto il territorio nazionale, per la gestione dei beni confiscati e sequestrati alla mafia e che comincia a dare i suoi frutti, tra gli altri il vino prodotto in Sicilia denominato "I cento passi" - perché l'atteggiamento "mafioso" va aldilà della logica di "clan", ma lo ritroviamo ovunque vi siano clientele, protezioni, raccomandazioni, cooptazioni e corruzioni di vario genere.














Mi piace concludere questa mia riflessione sulla mafia con le parole di una canzone dei "Modena City Ramblers", conquistati anche loro come tanti, dalla storia di Peppino Impastato e dalla forza delle sue idee, che a loro modo contribuiscono a diffondere e che si intitola come il film "I cento passi"


"Sei andato a scuola? Sai contare?

"Come contare?"

"Come contare? 1,2,3,4, sai contare?"

"Sì, so contare"

"Sai camminare?"

"So camminare"

"E contare e camminare insieme lo sai fare?"

"Sì, penso di sì"

"Allora forza! Conta e cammina! Dai.1,2,3,4,5,6,7,8.."

"Dove stiamo andando?"

"Forza! Conta e cammina! 9.90,91,92,93,94,95,96,97,98,99 e 100!


'Lo sai chi ci abita qua? A? U zù Tanu ci    abita qua!"

"Cento passi ci sono da casa nostra, cento passi!"

E' nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo, parlava alla sua radio

Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di Giustizia che lo portò a lottare

Aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell'ambiente da lui poco onorato

Si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale di porterà dolore.

"Ma la tua vita adesso puoi cambiare solo se sei disposto a camminare,

gridando forte senza aver paura

contando cento passi lungo la tua strada"

Allora.1,2,3,4,5,10,100 passi!1,2,3,4,5,10,100 passi!.1,2,3,4,5,10,100 passi!

"Noi ci dobbiamo ribellare"

Poteva come tanti scegliere e partire, invece lui decise di restare

Gli amici, la politica, la lotta del partito. alle elezioni si era candidato

Diceva da vicino li avrebbe controllati, ma poi non ebbe tempo perché venne ammazzato

Il nome di suo padre nella notte non è servito, gli amici disperati non l'hanno più trovato

"Allora dimmi se tu sai contare, dimmi se sai anche camminare, contare, camminare insieme a cantare

la storia di Peppino e degli amici siciliani"

Allora.1,2,3,4,5,10,100 passi!1,2,3,4,5,10,100 passi!.1,2,3,4,5,10,100 passi!

Era la notte buia dello stato italiano, quella del 9 maggio 78.

La notte di Via Castani , del corpo di Aldo Moro, l'alba dei funerali di uno stato

"Allora dimmi se tu sai contare, dimmi se sai anche camminare, contare, camminare insieme a cantare

la storia di Peppino e degli amici siciliani"

Allora.1,2,3,4,5,10,100 passi!1,2,3,4,5,10,100 passi!.1,2,3,4,5,10,100 passi!

Allora.1,2,3,4,5,10,100 passi!1,2,3,4,5,10,100 passi!.1,2,3,4,5,10,100 passi!

"E' solo un mafioso, uno dei tanti"

"E' nostro padre" "Mio padre! La mia famiglia! Il mio paese! Io voglio fottermene!

Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare!

I cento passi

Viva la vida, muera la muerte!


BIBLIOGRAFIA





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Alessandro Coletti, "Questione meridionale", 1973

Diego Gambetta, "La mafia siciliana. Un'industria della protezione privata", 1992

Giovanni Falcone, "Io Falcone vi spiego cos'è la mafia" Unità 31/5/1992

Ezio Costanzo, "Mafia e alleati", 2007

Vittorio Martinelli, "Il ritorno della mafia in Sicilia un regalo degli alleati" Volontà n.12, 1993

Redazione ItaliaLibri, "Mori, il Prefetto di ferro, la linea dura contro la mafia" 2001

Enrico Galavotti, "Strutture e regole di Cosa Nostra"

Centro Studi Gruppo Abele, "Mafie vista libro", 2008

Giuseppe di Lello, "La Magistratura e la mafia", 1997

Attiglio Bolzoni, "Da Lucky Luciano a Charles Gambino i boss del mare tra Sicilia e America", la Repubblica 21 ottobre 2008

Umberto Santino, "La mafia siciliana dalle stragi alla mediazione", 2003

Csd "Giuseppe Impastato", "Mafia e antimafia: un percorso di analisi", 2008

Procuratore Piero Grasso, Relazione Commissione Antimafia 25 febbraio 2009

Salvo Vitale,"Peppino Impastato una vita contro la mafia", 2008

Roberto Saviano, "Gomorra Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra", 2008



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