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In carcere tutte le sfide sono possibili




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In carcere tutte le sfide sono possibili


«.a questo punto però devo essere chiaro e fare delle distinzioni: io sono dentro per omicidio, e quindi il problema è diverso che per chi è dentro per reati ben meno pesanti. Insomma, il problema delle vittime dei reati io me lo pongo, capisco che la società debba tutelarsi e penso che dovrebbe tener conto di questi due aspetti, il bisogno immediato di difendersi e quello di dar modo alle persone di ricostruirsi una vita decente. La storia tua penso sia molto diversa, ma la mia mi fa riflettere in modo più spietato».


Francesco (dal guestbook di www.ristretti.it)



1 - Introduzione


L'esperienza redazionale di "Ristretti Orizzonti" è nata nell'anno 1997 grazie all'iniziativa di Ornella Favero, volontaria dell'Associazione Granello di Senape di Padova. L'associazione è anche editore della rivista e ne organizza l'attività attraverso incontri con giornalisti, scrittori, responsabili di associazioni e cooperative; gestisce inoltre la corrispondenza e gli archivi.

La Redazione ha conquistato in questi anni uno spazio importante nel campo dell'informazione, con riconoscimenti significativi anche da parte del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.

Il giornale non è stato fondato con intenti didattici o rieducativi, ma come strumento per far conoscere all'esterno dell'Istituto Penitenziario "Due Palazzi" di Padova, la realtà del carcere e permettere ai detenuti di comunicare i propri sentimenti, idee ed opinioni sulla vita da "ristretti". Analizzando la breve, ma intensa, storia del giornale, stupisce la serietà e la professionalità dell'impegno dei suoi redattori. Hanno affrontato con rigore e determinazione i problemi che gli si sono presentati: uno fra tutti l'aspetto multiculturale della redazione. In qualità di gruppo, hanno lavorato intensamente per creare un giornale con uno stile personalizzato ed una strategia comunicativa specifica per un periodico "dentro". Ultimamente è stato creato un ufficio stampa che integra l'attività della rivista e del centro di documentazione del Due Palazzi di Padova ed impegna una quindicina di detenuti italiani e stranieri in lavori di ricerca, di studio, di rassegna stampa e di documentazione anche per conto terzi (aziende, associazioni, scuole). Gli artefici dell'ufficio stampa del Due Palazzi guardano al domani con fiducia: stanno cercando di aprire anche un ufficio esterno alla casa di pena che permetta ai 'giornalisti', a fine pena, di continuare a collaborare con la rivista 'Ristretti Orizzonti' e con l'ufficio stampa con regolare contratto di assunzione. L'editore, l'associazione 'Il granello di senape', sta cercando il sostegno e il contributo delle istituzioni.

La creazione dell'ufficio stampa ha un significato più ampio rispetto alla pubblicazione del giornale ed alle attività del centro di documentazione: rappresenta l'emancipazione dei detenuti. Non più oggetto di notizie, ma loro stessi fonte diretta e attendibile in dialogo con le istituzioni. «Diffondiamo un rapporto mensile», spiegano i giornalisti del Due Palazzi, «per monitorare dall'interno la realtà delle carceri italiane, istituto per istituto. Grazie al coordinamento dei giornali carcerari, abbiamo i nostri corrispondenti in molti istituti di pena, maschili e femminili, della penisola».

In questi anni di lavoro le attività della redazione si sono moltiplicate (attualmente stanno lavorando alle "pagine gialle" per detenuti ed ex-detenuti in più lingue) fino ad arrivare alla brusca accelerazione creata con la pubblicazione del sito Internet http//:www.ristretti.it.

Questo passaggio li ha portati a riflettere su una questione fondamentale: "Informare significa socializzare?". Si sono accorti, infatti, che il sito Internet è divenuto punto di riferimento, oltre per chi vuole conoscere meglio il carcere come istituzione, anche per ex-detenuti di tutte le carceri italiane in cerca di notizie e di una guida sicura per quella difficile strada verso la risocializzazione non percorsa durante la permanenza in carcere.

Paradosso dell'informazione: chi è "dentro" aiuta chi sta "fuori".

Ed è questa è l'importante novità di "Ristretti Orizzonti".



2 - Intervista ai redattori di "Ristretti Orizzonti"


Ho rivolto ai redattori del periodico "Ristretti Orizzonti" alcune domande sulla loro esperienza.


Quali sono le origini di "Ristretti Orizzonti"?

L'idea di un giornale che "raccontasse" il carcere è nata circa quattro anni fa nell'ambito di un'attività di rassegna stampa: ci rendemmo conto che le notizie che i maggiori giornali diffondono sul carcere spesso non hanno un reale riscontro con quella che è effettivamente la vita in carcere. Certamente, di tanto in tanto, qualcuno più attento fa qualche sforzo per centrare veramente il problema, senza ricorrere troppo ai luoghi comuni, ma notizie che potessero essere utili sia per chi è detenuto sia per chi in carcere lavora, sono veramente poche. Volevamo svolgere anche un servizio d'informazione interna, che informasse i detenuti sugli avvenimenti e le opportunità che si verificano nell'Istituto. Ma i problemi del carcere non si risolvono né si esauriscono al suo interno, il coinvolgimento di chi sta fuori è essenziale, e l'importanza di far conoscere all'esterno la nostra vita fu presto chiara: capimmo che per farlo dovevamo usare un linguaggio semplice e diretto, comprensibile da tutti, perché anche quella linguistica può essere una barriera che contribuisce a mantenere il carcere nell'isolamento sociale e culturale.

Abbiamo voluto, quindi, proporre una informazione che unisse l'utilità del notiziario alla capacità di approfondimento di una rivista settoriale e illustrasse i temi più scottanti attraverso vicende vissute raccontate dagli stessi protagonisti.

La scelta dei temi e del modo per trattarli è maturata gradualmente: ogni qual volta ci accorgiamo che in un particolare settore l'informazione manca, oppure è insufficiente, ci mettiamo in moto, cominciamo a chiedere notizie, a documentarci, a raccogliere testimonianze, a rompere le scatole a destra e sinistra, finché non riusciamo a capire come stanno realmente le cose.


Quali sono i "temi forti" del vostro giornale?

Le "questioni" più scottanti, con le quali i detenuti devono misurarsi ogni giorno, sono la tutela della salute, la formazione e l'inserimento lavorativo, l'accesso all'istruzione, il rapporto con gli operatori istituzionali e con l'esterno, in prospettiva dell'uscita dal carcere.

Una volta individuati i problemi, che caratterizzano ciascuna situazione, si tratta di proporre delle soluzioni credibili e ciò è possibile soltanto quando le informazioni possono circolare, quando le diverse idee ed esperienze hanno modo di confrontarsi.

Per questo abbiamo cercato, in giro per l'Italia, le situazioni nelle quali i progetti di recupero e di reinserimento sociale funzionano meglio: iniziative promosse dall'Unione Europea, dalle istituzioni nazionali e dagli enti locali, ma anche dal volontariato, dalle associazioni e dalle cooperative sociali.

Entrando nel merito dei vari progetti e attività ci siamo resi conto di quanto fosse necessario conoscere a fondo anche le norme che regolano i rapporti giuridici e amministrativi tra i cittadini, le istituzioni e gli altri soggetti sociali, quindi ci siamo interessati delle leggi che ci riguardano più direttamente, seguendone il cammino parlamentare ed esaminandone le successive modifiche, fino alla definitiva approvazione.

Con l'aiuto di avvocati e giuristi abbiamo vagliato la Simeone-Saraceni, il Testo Unico sulla Immigrazione, la bozza di riforma del Regolamento Carcerario ed abbiamo seguito i lavori della Commissione Grosso, come pure l'iter della legge Smuraglia, che prevede agevolazioni contributive per chi assuma detenuti ed ex detenuti.

Ma, nel carcere, si incontrano anche situazioni di disagio specifiche, oltre ai problemi che interessano tutta la popolazione detenuta: gli immigrati, le donne, i giovani, i tossicodipendenti, hanno esigenze e sperimentano realtà diverse tra loro, seppure accomunate dallo stato di detenzione.

A tutti loro, il giornale dedica uno spazio particolare, con rubriche di storie raccontate in prima persona e con altre a carattere più strettamente informativo, che consentono di far conoscere i diritti e le iniziative rivolte specialmente a queste persone.

Oltre ai temi più strettamente carcerari, gli argomenti ai quali diamo maggior rilievo sono quelli dell'emarginazione: dalla tossicodipendenza, alla devianza giovanile, all'immigrazione, visti con la prospettiva di chi, dopo aver sperimentato simili situazioni, ha voglia di trovare un proprio ruolo di convivenza e integrazione sociale.

I nostri interlocutori privilegiati sono gli enti locali e le istituzioni, da cui prendono avvio le iniziative più valide sul fronte della integrazione sociale, del lavoro e in generale della qualità della vita dei cittadini, anche se si tratta di cittadini detenuti; un occhio di riguardo lo abbiamo anche per gli operatori del volontariato, il cui impegno va spesso a colmare le lacune dell'attività delle pubbliche amministrazioni. Ma enti locali e volontari sono pur sempre "addetti ai lavori" e noi invece abbiamo voluto anche andare oltre, e arrivare a tutte quelle persone che sul carcere hanno poche conoscenze reali e molti pregiudizi.

Fin dall'inizio ci siamo resi conto che i toni lamentosi non facevano per noi e abbiamo preferito usare quelli ironici: da questa scelta è nato anche il titolo del giornale: niente nomi altisonanti, ma una parola un po' assurda come "Ristretti", che nel linguaggio burocratico-carcerario significa detenuti, a cui abbiamo aggiunto "Orizzonti", perché con il giornale intendevamo contribuire ad aprire gli orizzonti troppo ristretti della detenzione.

Ci stiamo mettendo tutto il nostro impegno, per allargare questi orizzonti, nella certezza che il rapporto con il mondo esterno è determinante anche mentre scontiamo la pena, perché quando essa finisca possiamo trovare un posto nella società.

Il giornale diventa uno strumento con il quale portare fuori dal carcere un po' di noi stessi, ma anche per farci uscire davvero, come è successo ai redattori che hanno ottenuto dei permessi per partecipare a manifestazioni culturali, feste e convegni, in veste di inviati "speciali", come accade anche oggi.


E' stato difficile "varare" un giornale come il vostro?

La prima difficoltà che abbiamo dovuto superare è stata la necessità di correggere i nostri "vizi" riguardo alla scrittura, perché eravamo abituati ad usare un linguaggio infarcito di termini giuridici, di frasi ad effetto e citazioni letterarie, tutto per dimostrare quanto eravamo colti e come sapevamo emergere dalla mediocrità e dallo squallore del carcere.

Questo tipo di scrittura, ridondante ed ispirata, siamo riusciti a metterla da parte utilizzando lo strumento della discussione, trasferendo al giornale la lingua parlata negli incontri-scontri che avvengono in redazione.

Ogni settimana, dedichiamo due o tre pomeriggi al confronto sui diversi temi all'ordine del giorno e le riunioni diventano spesso incandescenti, perché molte volte le posizioni sono contrapposte e non è detto che si raggiunga un accordo, sul momento. Però, quando torniamo in cella, ognuno ha i suoi appunti e, rivedendoli, magari ci si riflette sopra, così il giorno dopo ci troviamo con idee un po' diverse, anche senza volerlo.

In questo modo abbiamo potuto affrontare argomenti che prima ci sembravano intoccabili.

La battaglia contro l'autocensura è stata la seconda combattuta, in ordine di tempo, dopo quella per la qualità della scrittura: abbiamo parlato dell'uso delle droghe e degli psicofarmaci all'interno del carcere, delle evasioni dai permessi e della recidiva; nei prossimi numeri tratteremo del "codice d'onore" rispettato dai detenuti, tra omertà e malinteso senso di fratellanza e delle sezioni riservate ai "protetti", dove sono isolate quelle persone che hanno commesso reati "infamanti", come le violenze sessuali, oppure che hanno collaborato con la giustizia: persone che, se lasciate tra gli altri detenuti, rischiano di essere aggredite, picchiate, o addirittura uccise.

A questo punto, una nuova dura lotta ci aspetta, quella per promuovere, dentro il carcere, una cultura del lavoro, partendo proprio dalla nostra redazione: la consuetudine, infatti, vuole che nel carcere ognuno si impegni solo il minimo indispensabile per conservarsi il posto e anche la redazione non è stata immune da certi comportamenti, e ha affrontato al suo interno discussioni feroci per ribadire che chi occupa un posto in redazione più per passare il tempo che per lavorare, toglie ingiustamente ad altri la possibilità di impegnarsi nell'attività di redattori del giornale. Attualmente comunque le mansioni di ognuno sono più definite, e cominciano a funzionare anche delle forme di verifica del lavoro fatto.

Allo stesso tempo, ci proponiamo di stare costantemente "alle costole" degli operatori istituzionali, chiedendo un impegno professionale all'altezza dei compiti affidati loro dalla legge penitenziaria.

Sul versante più strettamente giornalistico dobbiamo migliorare ancora, e vogliamo farlo: pensiamo di dedicare una maggiore attenzione alle notizie di attualità, magari con alcune pagine di informazione "in breve" e di stabilire un maggior numero di contatti e di collaborazioni, sia in Italia che all'estero, anche per confrontarci con le condizioni di detenzione e conoscere le opportunità di recupero sociale presenti negli altri paesi. 

Dopo aver definito la fisionomia che intendevamo dare al giornale ed i lettori che volevamo avere, si è trattato di imparare a fare i giornalisti, impresa non da poco, considerando che nessuno di noi aveva esperienza al riguardo, ma molti di noi erano già convinti di saper scrivere e di dover semplicemente "riempire" il giornale con quelle montagne di scrittura che si producono giornalmente in carcere e che costituiscono una sorta di autoaffermazione, di fronte all'annullamento della personalità che opera la detenzione.

Invece il giornalismo è tutt'altra cosa e per rendercene conto abbiamo dovuto organizzare una serie di incontri con scrittori e professionisti della carta stampata: non si è trattato di vere e proprie lezioni, ma da ognuno dei nostri ospiti abbiamo ricevuto suggerimenti e spunti che ci hanno trasformato, da dilettanti quali eravamo, in "quasi" professionisti.

Tra i giornalisti, Enrico Deaglio, direttore della rivista Diario, ci ha spiegato come svolgere un'inchiesta e come "ripulire del superfluo" un articolo usando concretezza e concisione; Vittorio Pierobon, caporedattore de Il Gazzettino di Venezia, ci ha svelato i "trucchi del mestiere" descrivendoci il lavoro in una redazione; Pino Corrias, giornalista del quotidiano La Stampa, ci ha dato alcuni suggerimenti, attraverso la sua esperienza di inviato nelle carceri americane, su come fare un'inchiesta; Gianni Barbaccetto, inviato del settimanale Diario ed autore di interessanti inchieste sulla mafia, ha raccontato i retroscena del lavoro in un periodico, stretto tra la concorrenza rappresentata dai quotidiani e quella della televisione, dove il giornalismo deve caratterizzarsi con l'approfondimento dell'informazione e la ricerca di notizie interessanti anche in situazioni apparentemente ordinarie.

Anche dagli scrittori abbiamo ricevuto insegnamenti importanti, a cominciare dall'incontro con Oreste Pivetta, autore, con il senegalese Pap Khouma, del libro "Io, venditore di elefanti", nel quale lo scrittore ci ha suggerito di occuparci dei problemi dei detenuti stranieri non con discorsi ideologici sul razzismo, ma piuttosto facendo raccontare a loro stessi le loro vicende vissute.

Autori come Andrea Carraro ed Eraldo Affinati ci hanno introdotto a temi più strettamente legati alla qualità della scrittura e Gianfranco Bettin ci ha introdotto alle tecniche del romanzo - verità, che lui ha usato ne "L'erede" e "Petrolkimico", di cui è autore. Pino Cacucci, autore di romanzi come "Puerto Escondido" e "In ogni caso nessun rimorso", ci ha parlato dell'importanza della scrittura come mezzo di autoanalisi e del particolare valore che assume per chi è detenuto (anche lui è stato in carcere, per alcuni mesi, a San Vittore): permette di sfogarsi, ma anche di alimentare le relazioni con chi sta fuori, di riempire le giornate e dire al mondo che siamo ancora vivi.

Quello con Antonio Franchini, editor alla Mondadori, è stato un incontro particolare: il suo lavoro consiste nel scegliere i libri che saranno pubblicati dalla casa editrice milanese, e molti di noi accarezzano segrete ambizioni letterarie. Però Franchini non ha alimentato le nostre illusioni: il mercato della editoria è estremamente selettivo, l'offerta da parte degli autori enorme ed i lettori relativamente pochi, quindi solo gli scritti veramente validi riescono ad ottenere la pubblicazione.

Il giallista Carlo Lucarelli, poi, è anche diventato nostro collaboratore e ci manda, per la pubblicazione su Ristretti Orizzonti, racconti accompagnati da consigli di scrittura, racconti suoi e di altri scrittori, suoi amici. Edoardo Albinati, insegnante nel carcere romano di Rebibbia, ha presentato in redazione il suo libro - diario "Maggio selvaggio", che descrive con estrema obiettività il mondo carcerario, con le sue ipocrisie e brutture, ma anche con l'interesse umano e sociale che vi si può scoprire, in una visione lontana da ogni conformismo.

Oltre a questi incontri, abbiamo seguito un corso vero e proprio di scrittura, tenuto dal Prof. Stefano Brugnolo, autore di un "Ricettario di Scrittura Creativa": con lui abbiamo appreso le varie tecniche per realizzare un racconto, un articolo, un'intervista, ed abbiamo migliorato la nostra conoscenza della lingua italiana, degli stili, della struttura del discorso, delle tecniche di comunicazione.

Dopo una prima serie di lezioni, svolte tra il '98 e il '99, intendiamo ora riprendere il corso in maniera più strutturata e proseguire anche con gli incontri con scrittori e giornalisti: il prossimo incontro previsto è con lo scrittore (è stato anche insegnante a San Vittore) Davide Pinardi, autore tra l'altro della raccolta di racconti "Il ritorno di Vasco e altri racconti dal carcere".


Come è organizzata la redazione?

La redazione si è costituita per autoaggregazione intorno ad un nucleo "storico": oggi lavorano alla realizzazione del giornale quindici redattori, oltre alla coordinatrice ed a vari collaboratori esterni, mentre nella Casa di Reclusione Femminile della Giudecca è nata, da alcuni mesi, una seconda redazione, che ha affiancato quella di Padova.

Nel gruppo ognuno ha propri compiti specifici e, poi, una parte del lavoro è svolta in comune, ad esempio la scrittura dei testi, l'effettuazione delle inchieste, delle interviste e delle ricerche dei materiali di documentazione.

Alcuni redattori hanno scelto di dedicarsi ad attività meno appariscenti, ma ugualmente fondamentali per il funzionamento del giornale: dall'archivista-segretario, all'addetto alla grafica, a quello che si occupa della corrispondenza e delle spedizioni.

Stiamo costituendo un archivio nel quale sono raccolti e catalogati materiali di diversa provenienza, dai testi dei disegni di legge, alle rassegne stampa, ai progetti di inserimento sociale, alle pubblicazioni realizzate in altre carceri italiane e altro ancora: la gestione dell'archivio richiede un notevole impegno, del resto largamente compensato dalla possibilità di fare riferimento alla documentazione contenuta per ogni esigenza di consultazione, informazione, studio e ripasso, che si verifica regolarmente quando dobbiamo preparare un incontro con gli operatori sociali, o un dibattito in redazione.

Un altro contributo fondamentale al funzionamento della redazione arriva dalla corrispondenza, che per noi significa fare del 'giornalismo per corrispondenza', visto che le nostre possibilità di movimento sono. piuttosto limitate.

Attraverso le lettere raccogliamo critiche e suggerimenti dei lettori, interventi sui temi da trattare e testimonianze di esperienze vissute; a nostra volta, chiediamo informazioni e invitiamo i corrispondenti ad un coinvolgimento maggiore sui temi che ci stanno a cuore.

In questo modo siamo venuti a conoscenza di iniziative importanti come gli sportelli informativi aperti nelle carceri di Bologna e Roma Rebibbia, come l'ufficio per il lavoro dei detenuti, aperto a Firenze con il patrocinio dei sindacati, come di altre cooperative che promuovono l'inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti.


Ci sono degli stranieri che collaborano al vostro giornale?

Gli stranieri sono rappresentati da uno spagnolo, un albanese, due tunisini, un francese di origine mediorientale, un turco: tutti loro hanno ovviamente dovuto misurarsi con la barriera costituita dalla poca conoscenza dell'italiano, ma un po' alla volta si sono bene inseriti, portando in redazione un importante elemento di multiculturalità e, attualmente, stiamo seriamente pensando di sfruttare la loro conoscenza di lingue diverse per avviare un servizio di traduzione, sia per i documenti della amministrazione carceraria, sia per le comunicazioni degli enti pubblici, che devono essere compresi dagli immigrati.

Un prima commissione è già stata eseguita: la traduzione in arabo di un questionario, formulato dal Ser.T e rivolto ai detenuti della Casa di Reclusione di Padova, dove sono molto numerose le persone di madre lingua araba.

I compiti più strettamente giornalistici, che gli stranieri svolgono in redazione, vanno dalla raccolta, presso i connazionali, di storie che illustrino le motivazioni ed i problemi incontrati nella loro esperienza di emigranti, all'analisi delle attività svolte dalle istituzioni e dalle associazioni del privato sociale a favore degli immigrati.

Da alcuni mesi, nella Casa di Reclusione della Giudecca, a Venezia, si è costituita una redazione di sole donne, che ci invia molto materiale interessante e dà modo, a noi prima che ai lettori, di conoscere la realtà della detenzione al femminile.

Godete di finanziamenti pubblici o siete "sul mercato"?

"Ristretti Orizzonti" è scritto ed elaborato graficamente all'interno del carcere e stampato da una tipografia esterna ed imbustate nell'Istituto penitenziario. Redattori e collaboratori svolgono le loro attività a puro titolo di volontariato, poiché fino ad oggi siamo riusciti solamente a coprire i costi di stampa e spedizione ed anche questo minimo risultato ha richiesto un notevole impegno da parte di tutti.

Parte delle risorse economiche provengono dagli abbonamenti e dalle vendite dirette al pubblico, effettuate in occasione di feste e manifestazioni culturali alle quali abbiamo partecipato, come la Festa del Volontariato Carcerario, avvenuta sull'isola di San Servolo, a Venezia.

La fantasia, poi, ci ha aiutato a finanziarci anche sfruttando alcune "professionalità non giornalistiche" presenti in redazione: soprattutto l'organizzazione di cene spagnole preparate dal nostro cuoco di Barcellona, con uscite in permesso premio.

Infine, prestiamo la massima attenzione a tutti i bandi emessi dagli enti locali, in tema di reinserimento sociale delle persone socialmente svantaggiate, e proponiamo dei nostri progetti, tra i quali l'apertura di una Vetrina della Solidarietà, a Padova, per la vendita dei prodotti artistici e artigianali realizzati in carcere, e di una Agenzia per il lavoro dei detenuti, ex detenuti e tossicodipendenti.

Già abbiamo ricevuto un primo contributo dagli enti locali, con i quali siamo impegnati in progetti di informazione e promozione culturale: attualmente stiamo lavorando all'organizzazione di un Ufficio Stampa all'interno del carcere, mentre contiamo di poter presto inaugurare anche una sede esterna, nella città di Padova.


Che bilancio potete fare di questi quattro anni di attività?

Abbiamo realizzato diciannove numeri, di cui gli ultimi quindici, autorizzati alla libera vendita, sono diffusi in Italia e all'estero e spediti personalmente a rappresentanti delle istituzioni, dei partiti politici, degli enti locali e delle associazioni del privato sociale. Abbiamo effettuato interviste e dibattiti con uomini politici e pubblici amministratori, incontrato scrittori e giornalisti, che ci hanno dato suggerimenti importanti sul modo di lavorare

Abbiamo effettuato interviste con tutte le componenti della comunità carceraria e distribuito due questionari anonimi per raccogliere le testimonianze dei detenuti sulla salute in carcere e sui problemi legati alla tossicodipendenza.

I nostri inviati sono stati presenti, grazie ai permessi premio, a numerose manifestazioni sociali e culturali: dal Festival del Cinema di Venezia, alla Fiera del Libro di Bologna, alla festa di Legambiente, a Civitas, a Expo-Scuola. Nel carcere della Giudecca (Ve) si è costituita, nell'estate del 1999, una seconda redazione, che ha affiancato quella di Padova.

A partire dal n° 4/1999 anche l'elaborazione grafica del giornale è realizzata all'interno dell'Istituto Due Palazzi di Padova, questo è ora possibile grazie alle attrezzature il cui acquisto è stato finanziato dall'Assessorato alla cultura della Provincia di Padova.

Abbiamo partecipato all'organizzazione, insieme al volontariato della Toscana, del Convegno "Carcere e Informazione" (1° Convegno Nazionale dei Giornali Carcerari), che si è svolto a Firenze il 3 e 4 Dicembre 1999

Con i materiali prodotti e raccolti durante l'anno 2000, abbiamo prodotto il CD Rom: Un anno di studi giuridici e sociali, costituito da sette sezioni.

La prima presenta le attività organizzate dal Centro di Documentazione Due Palazzi nella Casa di Reclusione di Padova.

Ognuna delle altre tratta di un tema sociale di grande rilievo e attualità:


Carcere,


Immigrazione,


Tossicodipendenza,


Devianza minorile,


Prostituzione 


Malattia mentale.



Queste sei sezioni sono suddivise in capitoli che offrono materiale documentario di vario genere: inchieste giornalistiche, testimonianze di vita vissuta, ricerche statistiche, rassegne stampa, testi legislativi.

La produzione e la raccolta della documentazione contenuta nel CD ROM si è conclusa il 30 dicembre 2000.


"In carcere tutte le sfide sono possibili", questo è stato il vostro slogan per la presentazione del sito internet: https://www.ristretti.it., come va la sfida?
Nel carcere Internet non può entrare, però, dal carcere, Internet può uscire e 'portare fuori' idealmente anche le persone che vi sono rinchiuse.

A Padova succede proprio questo, da quando il Centro di Documentazione Due Palazzi, formato dalla redazione della rivista Ristretti Orizzonti e dal Gruppo Rassegna Stampa, ha attivato un proprio Sito, interamente realizzato nella Casa di Reclusione.

A gestirlo sono i detenuti, di cui molti non hanno neppure mai visto come funziona Internet, essendo in carcere da prima che la rete nascesse e non potendo usufruire di permessi all'esterno. e comunque, in carcere, Internet è ancora proibita (il carcere aguzza l'ingegno e costringe a usare la fantasia, là dove la realtà la puoi solo immaginare). Il Sito contiene inchieste, testimonianze, rassegne stampa, materiali di studio sul carcere e sul disagio sociale, e anche una pagina interattiva, che permette di 'parlare' con i detenuti.

Nel Sito si trovano testimonianze, inchieste, interviste ed altro materiale documentario sul carcere e sui temi del disagio sociale (immigrazione, tossicodipendenza, prostituzione, minori etc). Ecco quelli che a noi sembrano i veri elementi di novità del sito, rispetto all'offerta presente in Internet:

Le notizie commentate dai detenuti, ovvero le notizie su temi riguardanti la giustizia e il carcere sono selezionate ogni settimana e commentate dai diretti interessati, i detenuti;

il carcere 'parla' con la città, una linea diretta con la quale si può comunicare con il carcere ed esprimere le proprie opinioni sui temi della giustizia. Ad esempio si può discutere di 'sicurezza' con i diretti responsabili e vedere se davvero, per avere città più sicure, serve a qualcosa aumentare le pene;

storie e testimonianze dal carcere, le scritture autobiografiche di donne e di uomini che, nelle ristrettezze della detenzione, hanno scoperto l'importanza e il piacere di raccontarsi;

le inchieste di "Ristretti Orizzonti", realizzate attraverso questionari distribuiti ai detenuti, l'elaborazione e la discussione dei dati raccolti (prossimamente sarà disponibile un'inchiesta sulla salute in carcere);

appuntamenti in carcere, cioè gli eventi culturali organizzati dal Centro di Documentazione (Il prossimo sarà una Giornata di Studi sul volontariato penitenziario e i problemi dell'informazione, in programma per il 26 ottobre 2001 all'interno della Casa di Reclusione di Padova);

le interviste a scrittori, giornalisti, magistrati, operatori penitenziari: sono già disponibili, tra l'altro, un'intervista a Duccio Demetrio, uno dei massimi esperti di scritture autobiografiche, e un'intervista al direttore del carcere Le Vallette di Torino;

S.O.S. Immigrati, le informazioni più utili per gli stranieri detenuti, soprattutto in vista della scarcerazione: permessi di soggiorno, indirizzi di associazioni e case di accoglienza. Con molti testi tradotti in arabo, albanese, serbocroato.

nel Sito, inoltre, è possibile trovare l'ultimo numero di Ristretti Orizzonti, le informazioni ed i materiali prodotti dal Gruppo Rassegna Stampa e gli studi e le ricerche dell'Ufficio Stampa.


In questi ultimi anni, come redazione di Ristretti Orizzonti, avete sperimentato l'applicazione delle nuove tecnologie (CD Rom, sito internet). Cosa ne pensate del cambiamento?

Risponde Francesco, il detenuto-redattore che ha curato la realizzazione tecnica del sito internet https://www.ristretti.it.


Prima cosa, va detto che molti di noi (compreso il sottoscritto) hanno imparato ad usare i computer qui in carcere, da adulti, quindi l'informatica la viviamo con la curiosità ed il piacere della scoperta. Il passaggio dalla videoscrittura ai programmi più complessi s'inserisce in questo quadro di continua "ricerca del nuovo", non è soltanto funzionale all'elaborazione e alla divulgazione dei materiali che produciamo.

I CD-ROM sono utili per ricevere dall'esterno (e per mandare all'esterno) materiali documentari, anche multimediali, in tempi rapidi. Il sito internet, pure, consente di arrivare al pubblico in tempi più rapidi rispetto alla rivista (bimestrale).

Rispetto a questi strumenti abbiamo registrato un buon interesse del pubblico, in particolare da parte di operatori sociali, studenti, etc.



Secondo te, le nuove tecnologie, possono essere uno strumento formativo in grado di ampliare gli "orizzonti", anche se "ristretti", delle persone che ne usufruiscono?

Sì, possono esserlo, ma è importante non sopravvalutare il loro ruolo.

Il lavoro più interessante e creativo consiste sempre nell'ideazione dei contenuti: lo studio del disagio sociale, nei suoi vari aspetti, e del linguaggio migliore da utilizzare per farlo conoscere alla gente. Prima viene la "cultura sociale", poi la tecnologia.

Ho pochissima fiducia nel fatto che i computer, internet, etc., in se stessi, siano in grado di migliorare i rapporti tra le persone. Ai detenuti, spesso, manca il senso di appartenenza alla società esterna ed è facile capirne il motivo: chi proviene da condizioni di emarginazione, di esclusione, non può "pensarsi" che in questi termini. Qui c'è uno strappo da ricucire e credo sia possibile farlo soltanto con un impegno a 360°, da entrambe le parti.

In carcere la sola formazione informatica, senza momenti di confronto capaci di scuotere le persone dalle loro convinzioni, non diventa strumento di integrazione, anzi può anche essere uno strumento in più da usare nelle piccole e grandi "guerre personali" contro gli altri, contro chi è "diverso" perché di altra etnia, classe sociale, etc..

La formazione informatica invece è importante, se si riesce a dare il giusto peso alle tecnologie, che sono un ottimo strumento se ben utilizzate, per esempio per informare meglio e più rapidamente, dentro il carcere e dal carcere.

"Lavorare sul computer" può voler dire tante cose: scrivere (o correggere) dei testi, oppure svolgere operazioni maggiormente tecniche, come l'impaginazione di un giornale, la gestione di una banca dati, la costruzione di un sito internet.


Io credo che, comunque, il computer e internet 'obblighino' in un certo modo a modificare alcuni schemi di pensiero. Ad esempio, davanti alla stesura di un testo (come potrebbe essere questo) non devo preoccuparmi degli errori o di che cosa ho scritto, perché il testo è mobile, lo posso tagliare incollare, modificare infinite volte, rileggere, correggerlo e cosi via, aiutando così il pensiero ad essere più flessibile, cosa ne pensi?

E poi, correggimi se ho capito male, tu dici:«In un mondo di emarginazione, come quello del carcere, mancava solo il computer ad estraniare le persone dalla realtà; le persone hanno bisogno di contatti umani veri, prima occorre la cultura 'del sociale' e poi si può pensare ad utilizzare le nuove tecnologie per ampliarne l'orizzonte», è cosi?

Tutte queste attività prevedono momenti di creatività e momenti di ripetizione "meccanica" (di determinati comandi da inviare al computer), ma in percentuali molto variabili: la videoscrittura richiede il massimo grado di creatività, ma la banca dati ne richiede il grado minimo.

Credo che alcuni lavori al computer siano più alienanti di altri e rappresentino le moderne catene di montaggio.

Poi è sempre una questione di misura, perché un conto è trascorrere cinque ore al giorno davanti ad un monitor e un conto è trascorrerne quindici, come sto facendo io, che in pratica accendo il computer alle otto del mattino e lo spengo a mezzanotte.

Questo ti può anche far capire perché sono molto scettico sull'utilizzo delle "nuove tecnologie" in carcere. ne ho fatto indigestione. Per farti un esempio, è da circa un anno che ho il computer in cella e, in questo arco di tempo, ho ridotto di due terzi i rapporti con le altre persone, sia con i compagni di detenzione, sia con le persone all'esterno (con le quali avevo una intensa corrispondenza).

Non sono soddisfatto di questa situazione, ovviamente, eppure non riesco più a staccarmi dal lavoro al computer, anche perché da lì mi provengono le soddisfazioni più concrete, impossibili da provare in altro modo.

Questa descrizione, probabilmente, non può essere presa come regola di carattere generale. Diciamo che, nel carcere, il rischio di divenire "dipendenti" dal computer è più forte che all'esterno, appunto perché qui non hai molte alternative altrettanto. seducenti.


Mi hai parlato di due cd-Rom, io ero rimasto a uno, mi puoi dire di cosa trattano?

Abbiamo prodotto un CD Rom che raccoglie ricerche e studi nei vari ambiti del disagio sociale: carcere, immigrazione, tossicodipendenza, disagio minorile, disagio psichico, prostituzione (Un anno di studi giuridici e sociali) ed un secondo CD Rom che contiene le "vicende vissute" dei detenuti, circa 80 in tutto (Storie e testimonianze dal carcere).


Pensi che in un futuro, l'esperienza di informatica che attualmente stai facendo, ti possa servire in un inserimento lavorativo, qualora tu non abbia già altre possibilità?

Quello che so fare al computer l'ho imparato da autodidatta, quindi non credo di avere una preparazione di livello professionale. Inoltre lavoro su una dozzina di diversi programmi e questo non mi consente di maturare una specializzazione "verticale".

A parte queste considerazioni, la mia prospettiva di "inserimento lavorativo" consiste nella possibilità di trascorrere fuori dal carcere alcune ore al giorno, appunto per svolgere un lavoro esterno (si chiama "articolo 21", nel gergo penitenziario). Termino la pena nel 2020 e solo allora potrò pensare ad un "normale" lavoro ed a una altrettanto "normale" vita.

In questo (lungo) lasso di tempo preferirei dedicarmi ad un'attività che preveda una maggiore relazione con la gente: l'idea di uscire dal carcere al mattino, trascorrere le ore fuori seduto davanti ad un computer e poi ritornare dentro la sera, non mi attira molto, se devo parlarti con franchezza.

Forse molti altri accetterebbero volentieri questa sistemazione, non lo so, io non sono affatto entusiasta dell'enfasi con la quale si parla delle "nuove tecnologie".


Intervista raccolta il 13 novembre 2001

- Riflessioni sull'esperienza di "Ristretti Orizzonti" -


La novità dell'esperienza di "Ristretti Orizzonti", è quella di aver oltrepassato la barriera di stereotipi sul carcere, per ciò che riguarda le comunicazioni sociali; è per questo, che nel loro campo, sono considerati "i primi della classe". Negli istituti penitenziari, generalmente, le informazioni provengono solo dall'esterno, ma i detenuti, con l'esperienza editoriale sono riusciti ad invertire la tendenza, facendo conoscere le loro opinioni ed idee, senza pietismi o commiserazione per la loro condizione di detenuti. Essere "redattore-detenuto" è una esperienza difficile, poiché occorre comprendere il modello di comunicazione più adatto per una realtà, quella del "fuori", senza poterla vivere direttamente. Un ulteriore merito del lavoro effettuato è legato all'approfondimento degli argomenti trattati: in carcere la televisione monopolizza l'informazione ed è noto che, tranne in alcune occasioni, la TV non è uno strumento adatto per l'approfondimento personale, anzi, spesso è uno strumento di "evasione" dal quotidiano che permette di sognare ad occhi aperti; una situazione non ottimale per una realtà come il carcere. Una concorrenza difficile da vincere per chi, come "Ristretti Orizzonti", ha puntato molto sull'affrontare i "nodi" della vita da detenuto tramite la riflessione, il confronto ed il dialogo.

A distanza di alcuni anni e dopo molte esperienze, oltre all'aspetto concreto del lavoro in redazione, gli stessi redattori si sono accorti di essere cambiati, soprattutto per quanto riguarda la collaborazione di gruppo. Lavorare insieme per un obiettivo gli ha permesso di porre in secondo piano i problemi personali e questo fatto li ha condotti a riflettere.

«Dopo un po' di tempo che lavori in gruppo, però, ti accorgi che ci sono problemi collettivi, i tuoi passano un gradino indietro e riesci a capire come l'impegno a risolvere i primi, alla fine, ha una ricaduta positiva anche sulla tua situazione personale» .

Comprendere gli altri per comprendere se stessi; rispettare gli altri per scoprire le proprie risorse positive. Se si è in grado di considerare le ragioni altrui all'interno di una piccola comunità, tanto più all'uscita dal carcere sarà possibile una proficua risocializzazione. Una via concreta e possibile è quella di occuparsi di un giornale per una crescita personale.

Un secondo aspetto che si è consolidato nella "cultura aziendale" di "Ristretti Orizzonti" è quello dell'impegno nell'arginare la cosiddetta "recidiva". Molti detenuti (circa il 60/70%) rientrano in carcere anche dopo pochissimo tempo e i giornalisti si sono resi conto, anche attraverso Internet, di questa problematica. Molti ex-detenuti li contattano per avere informazioni ed indicazioni su "cosa fare" adesso che sono fuori. Questo nuova deriva sta creando, nella redazione, spazi di ricerca e di approfondimento  su questa "risocializzazione a distanza". Grazie all'accesso alla Rete, il pubblico cui rendere conto delle proprie conoscenze e delle proprie proposte è fortemente aumentato e questa nuova responsabilità, per la redazione, è una ulteriore prova da affrontare.

L'ultimo aspetto, ma forse quello che rimanda a maggiori riflessioni, è quello dell'informazione. Essere informati è essenziale per una possibile risocializzazione. La conoscenza, anche dei problemi altrui, è strumento fondamentale per affrontare con serietà la propria situazione. In una civiltà dell'informazione come la nostra, è impossibile non comprendere questa realtà: il rischio è l'esclusione o la messa ai margini. 

L'informazione, il confronto ed il dialogo, anche con i moderni mezzi di comunicazione, permettono la riflessione e l'indagine su di sé. L'isolamento, l'incomunicabilità e l'inconsapevolezza, hanno solamente effetti negativi in personalità particolarmente "difficili".

Moltiplicare i propri orizzonti comunicativi, mette in discussione il proprio modo di comunicare e permette di amplificare le possibilità di contatti con altre persone, di ricevere notizie, di ricercare informazioni e di conoscere nuove realtà. Le nuove tecnologie dell'informazione, ed in particolare Internet, esaltando gli aspetti comunicativi ed informativi, operano in funzione di queste esigenze e diventano essenziali per una risocializzazione carceraria adeguata nel terzo millennio.





Testimonianza di un redattore

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