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Donne e carcere : prospettive e discussioni internazionali




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DONNE E CARCERE : PROSPETTIVE E DISCUSSIONI INTERNAZIONALI

"Dopo un grande dolore viene un senso solenne,

Stanno composti i nervi, come tombe,

Il cuore irrigidito chiede, fu proprio lui

A soffrire tanto ? Fu ieri o qualche secolo fa?

(...)

Questa è l'ora di piombo, e chi le sopravvive

La ricorda come gli assiderati

Rammentano la neve:

Prima il freddo, poi lo stupore, infine

L'inerzia".

(Emily Dickinson, 1862)



La detenzione femminile merita di essere studiata, affrontata e gestita in maniera differente da quella maschile perché presenta gravi e specifiche problematiche che si aggiungono ai già innumerevoli disagi e sofferenze che il carcere comporta. Tale riflessione induce a pensare immediatamente alle questioni della gravidanza e della maternità, tuttavia le difficoltà che gravano sulla gestione della detenzione femminile non si rifanno solo a questi pur fondamentali aspetti; bisogna aggiungere i problemi legati alle cause che hanno condotto queste donne in una casa di pena e che avremo modo di sottolineare nei paragrafi seguenti.

A fronte di una cronica scarsità di attenzioni istituzionali, almeno a livello speculativo negli ultimi anni in Italia e all'estero si è assistito ad un incremento di interesse.

Nella conferenza "Women in the Criminal Justice System: International examples & national responses" tenuta a Vienna durante il decimo congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine ed il Trattamento dei Criminali (10-17 aprile 2000) ed organizzata dall'Istituto Europeo per la Prevenzione ed il Controllo del Crimine in associazione

con le Nazioni Unite (HEUNI)21, sono state presentate numerose relazioni riguardanti i diversi aspetti del possibile coinvolgimento delle donne nel sistema di giustizia penale, sia come autrici di reato e detenute sia come vittime sia, infine, come lavoratrici e professioniste nel settore della giustizia penale.

Un'altra importante conferenza "Women in Corrections: Staff and Clients" è stata organizzata dall'Istituto Australiano di Criminologia e si è svolta ad Adelaide nei giorni 31 ottobre e 1 novembre 2000; anche in questa vi sono stati molteplici interventi riguardanti i problemi della detenzione femminile, dai sistemi custodiali ai percorsi riabilitativi.

Risale invece al 1993 la presentazione di uno studio comparato sulle carceri femminili in America del Nord, Gran Bretagna ed Europa del Nord effettuata durante un Congresso internazionale di criminologia (Budapest, 24 - 29 agosto 1993).


Prigioni per donne


Il carcere è progettato solitamente per uomini e le regole che determinano il suo funzionamento sono anch'esse scritte da uomini. Le donne sono sempre state una piccola porzione dei detenuti totali, hanno spesso occupato (e occupano) un'unità separata o adiacente al carcere maschile e sono state sottoposte alle medesime regole degli uomini. Avendo spazi comuni con i maschi ed essendo un gruppo di minoranza accade frequentemente che i programmi ideati per le donne siano sacrificati e che alcune agevolazioni, compresa la possibilità di passare più ore fuori dalle celle, siano limitate.

Parallelamente, nei Paesi dotati di carceri per sole donne, accade che queste strutture siano uniche in un'area geografica molto grande e lì confluiscano condannate provenienti da località anche molto distanti. Si crea così una situazione d'isolamento geografico, l'essere molto lontane dalla propria casa significa meno visite e più abbandono; in tal modo quella che appariva inizialmente una situazione vantaggiosa, l'avere un penitenziario esclusivamente per donne le cui modalità di gestione possono essere modellate secondo le caratteristiche dell'utente donna, diviene invece elemento di disagio.

E' inoltre noto come l'etichettamento associato all'aver subito una condanna sia più oneroso per le donne; in alcuni Paesi addirittura si estende anche alla famiglia da cui provengono e spesso le detenute si vedono rifiutate oltre che dalla comunità anche dai loro familiari. Le donne che hanno infranto la legge sono viste come se avessero commesso una duplice infrazione: hanno violato le leggi del loro Paese ed anche i costumi della famiglia esprimendo il rifiuto di adeguarsi alle regole delle "buone mogli e buone madri".

Tutto ciò aiuta a capire la necessità di una gestione delle carceri attenta alla differenza di genere soprattutto in tema di programmi rieducativi e riabilitativi.


Panoramica della situazione attuale


Le donne costituiscono più del 50% circa della popolazione globale mentre rappresentano il 5% o poco più della popolazione detenuta. Tuttavia nella maggior parte dei Paesi il numero delle detenute nelle carceri femminili sta aumentando molto velocemente ed in alcune regioni del mondo aumenta più velocemente della popolazione carceraria maschile. In Paesi come gli Stati Uniti e l'Inghilterra il numero delle donne in prigione è cresciuto il doppio rispetto al valore di crescita maschile.

Oltre ad una maggiore partecipazione delle donne in alcune attività criminose si riscontra anche, in molte Nazioni, un clima di sentenze più rigide ed un differente approccio verso le donne criminali da parte del sistema di giustizia penale . Si sostiene che poliziotti, pubblici ministeri e giudici siano meno propensi oggi a soprassedere su alcuni crimini meno gravi commessi da donne.

Studi sulla popolazione carceraria femminile in vari Paesi mostrano che le dure leggi sulla droga hanno avuto un profondo impatto sull'aumento delle donne detenute, nonostante queste abbiano posizioni periferiche nel traffico degli stupefacenti e spesso vadano in carcere per il coinvolgimento dei relativi patners di sesso maschile o perché sono state usate dai trafficanti come corrieri da un Paese all'altro il più delle volte per un guadagno di pochissimi soldi. Negli USA il numero delle donne detenute per droga si è alzato dell'888% dal 1986 al 1996 in contrasto con un aumento del 126% dei reati di diversa specie. A Rio de Janeiro, Brasile, nel 1976 il 20% delle donne prigioniere era condannato per reati legati alla droga, nel 1997 la suddetta percentuale aveva raggiunto il 47%.

Le caratteristiche delle donne in carcere sono simili nei vari Paesi, esse hanno circa 30 anni, sono di condizione economica disagiata , hanno un basso livello di scolarizzazione e spesso sono disoccupate al momento dell'arresto. Le minoranze sono sovrarappresentate sia nelle sezioni maschili che in quelle femminili. In molti Paesi le donne sono detenute per crimini non violenti, contro il patrimonio o legati agli stupefacenti; quando viene commesso un crimine violento per lo più è rivolto contro i loro affetti (familiari, parenti, ecc.). Solo in alcuni Paesi del Sud est asiatico un alto numero di donne è in carcere per l'omicidio dei loro mariti probabilmente conseguente ad anni di violenza domestica.

Le donne in carcere spesso sono non sposate e molte hanno bambini a carico, è meno facile che ripetano il delitto e quasi 2/3 di esse ha subito violenze psichiche o fisiche prima di essere coinvolte nel sistema di giustizia penale. Una ricerca dell'Istituto Nazionale di Giustizia degli Stati Uniti ha mostrato che il 43% delle donne detenute ha subito abusi fisici o sessuali prima di finire in carcere, un alta percentuale anche rispetto agli uomini che, dai risultati della ricerca, pare abbiano subito violenze nel 12% dei casi22.

Poiché le donne sono spesso sole, i loro bambini vengono dati in affidamento o adozione; lo studio menzionato ha riscontrato che 2/3 delle donne detenute ha bambini sotto i 18 anni e tra loro solo il 25%, rispetto al 90% degli uomini, ha detto che i loro bambini stavano vivendo insieme ad altri parenti.

E' inoltre da notare che, da indagini effettuate, è emerso come il tasso d'infezione da HIV e quello relativo alla presenza di malattie mentali sia più alto tra le donne che non tra gli uomini detenuti.


Realtà di alcuni Paesi : similitudini e confronti


America del Nord ed Europa del Nord ( studio comparato, 1991 - 199323)

La ricerca da cui attingiamo le seguenti informazioni è stata condotta da un gruppo di ricercatori facenti capo al Centro internazionale di criminologia comparata dell'Università di Montréal (Québec, Canada). Il gruppo di ricercatori ha studiato alcune "carceri chiuse", "carceri aperte" e case di transizione in otto Paesi diversi: Canada, Stati Uniti, Inghilterra, Scozia, Germania, Danimarca, Finlandia e Norvegia.

I ricercatori, inizialmente, hanno notato che la separazione "carceri chiuse" "carceri aperte" era meno rigida di quanto le parole che le definiscono lasciassero ad intendere. Diverse carceri femminili chiuse avevano una sezione "aperta" o "semiaperta" che permetteva contatti limitati col mondo esterno per motivi di lavoro o formazione ed offrivano quindi un regime disciplinare mitigato rispetto all'orario, una certa autonomia nell'organizzazione dei pasti e dei momenti di svago.

Per quanto riguarda l'America del Nord è emerso come le misure di sicurezza siano ovunque eccessive rispetto al reale pericolo (di evasione e atti di violenza ) rappresentato dal 95% circa delle detenute degli istituti osservati; la disciplina si è rivelata pignola e la sorveglianza esagerata. A questo si aggiunge il carattere arbitrario e disuguale delle regole di classificazione delle detenute; se la maggior parte di esse non merita di essere tenuta in condizioni di massima sicurezza, talvolta questo avviene per ragioni burocratiche e più spesso dipende dall'architettura stessa dei penitenziari femminili che non consente la differenziazione tra il piccolissimo numero di detenute rappresentante un rischio per le compagne o per eventuali tentativi di fuga e la maggior parte di donne poco o per niente pericolose. Un caso eclatante è stato osservato in Canada dove è sorto un nuovissimo carcere costruito come edificio unico per tutte le detenute con sistema elettronico di altissima fedeltà al pari di un'unità di massima sicurezza per uomini molto pericolosi o minacciati di morte dagli altri detenuti.

Dallo studio di due "carceri aperte" o case di transizione americane, i ricercatori segnalano di essersi dovuti ricredere sull'idea che queste strutture fossero esenti da eccessivi controlli del tempo e dello spazio. La vigilanza sulle entrate ed uscite in uno di questi centri ( Houston House, Boston) era di un rigore assoluto ed il margine di libertà nella scelta delle occupazioni nel Programma per detenute a Pittsburgh era molto limitato.

I ricercatori si sono quindi trovati di fronte ad una situazione paradossale, il controllo totale sulla mobilità nello spazio, nelle carceri chiuse, è talvolta compensato (per così dire) da un certo "lasciar-andare" nella supervisione dell'impiego del tempo; al contrario, nelle due strutture aperte segnalate, il controllo del tempo (ore di rientro, programma di orario nella casa stessa, controllo entrate/uscite) è minuzioso. Perciò il piccolo numero di residenti nei centri aperti facilita in un certo senso un controllo "totale".

I programmi di formazione e lavoro risultano sporadici e mal diretti oltre che poco o per nulla frequentati sia in due carceri canadesi ( Tanguay e Kingston) che in due carceri americane (Framingham e Waynesburg). Le attività scolastiche non sono ben organizzate se non nella nuovissima struttura del Québec (Orsainville) ed in uno dei centri americani (Shakopee). Quanto ai programmi di lavoro sono per lo più tradizionali (si affidano alle attività casalinghe o a lavori domestici quali cucina, cucito, parrucchiere) , svolti in strutture spesso inadeguate e con attrezzatura arcaica.

In Europa del Nord le costrizioni sulla mobilità fisica sono esagerate in ogni località studiata: a Butzow e Vechta in Germania, a Ringe in Danimarca, a Hameenlinna in Finlandia ed a Bredtveit in Norvegia.

Nelle carceri "chiuse" le donne vengono trattate come pericolosi criminali anche se la maggior parte di esse è stata condannata per infrazioni che non rappresentano una minaccia per la vita di nessuno. Per quanto riguarda la minoranza condannata per crimini contro la persona, nel 99% dei casi, i tentativi di omicidio e gli omicidi commessi dalle donne sono avvenuti nei confronti di una persona loro vicina, per motivi affettivi o di autodifesa e le possibilità di ricaduta si aggirano attorno all'1%. A fronte di questa realtà le misure di sicurezza esterne ed interne al carcere risultano decisamente sproporzionate : doppi portelli, allarmi multipli, sicurezza perimetrica ( i muri di cinta, già molto alti da regolamento, sono stati ulteriormente alzati dal direttore di Vechta).

Nonostante nella maggior parte dei Paesi europei a cui i ricercatori si sono interessati la filosofia penale ricusi i sistemi progressivisti e la classificazione secondo vari livelli di sorveglianza ( maximum, medium, minimum), questi hanno osservato l'esistenza di unità in cui le detenute sottostanno ad un regime più mite riguardo alle entrate ed uscite, all'organizzazione dei pasti e del tempo libero.

Quanto ai programmi di lavoro le carceri europee, nel periodo dell'osservazione, non offrivano nulla di moderno, anzi le attività erano le più tradizionali (tessitura, cucito, riparazione di vestiti, maglia, corsi di taglio).

Una delle differenze emerse tra carceri nord-americane e carceri tedesche e scandinave riguarda l'organizzazione dei pasti.

In Europa le detenute possono preparare loro stesse i propri pasti o, comunque, assumerli in un'atmosfera molto meno formale che in America; si trova quindi una certa "vita da famiglia normale" molto diversa dal sistema quasi industriale che caratterizza le grandi cucine centrali in America .

Conclusioni della ricerca

Rispetto alle istituzioni chiuse, i ricercatori segnalano di aver scelto l'osservazione non di tutte le carceri femminili e nemmeno di un campione rappresentativo di esse, bensì sono state scelte quelle considerate "aperte" e all'avanguardia. Il fatto che sia stato ovunque riscontrato un sovrappiù delle misure di sicurezza, una certa mediocrità quanto ai programmi di formazione e lavoro ed il carattere arbitrario nella regolamentazione dei rapporti con i figli e con i coniugi risulta affatto eloquente.

Le misure di sicurezza eccessive si trovano quindi ovunque, anche in paesi come la Danimarca, la Norvegia e la Finlandia considerati per la loro politica di "carcerazione minima". Certo, il tasso di detenzione varia considerevolmente, ad esempio, dal Canada alla Norvegia, eppure le stesse misure di massima o media sicurezza sono imposte a donne che non sono quasi mai colpevoli di crimini contro la vita umana.

La mediocrità dei programmi di formazione e lavoro trova eccezioni, per diversi motivi, a Shakopee (Minnesota), a Ringe in Danimarca ed a Burnaby in Canada. A Shakopee i lavori proposti, pur non rappresentando attività innovative (si confezionano abiti ma la produzione proposta è moderna ed elegante), sembrano avere un valore pedagogico e rispondere ai bisogni di educazione "concreta" di parecchie giovani contravventrici.

Le detenute di Ringe (dove esiste un regime di convivenza maschi/femmine) non sono giovanissime, si occupano della manifattura dei mobili e questo, secondo le risposte delle intervistate costituisce "uno sbocco sulla scena nazionale della manodopera". Tuttavia il programma di Ringe è stato ideato da un uomo che si è sempre occupato dell'educazione dei ragazzi e che mirava (grazie alla presenza di donne detenute) a "normalizzare" la vita dei giovani condannati al carcere chiuso.

Quanto al carcere di Burnaby, questo offre una varietà di occupazioni introvabili altrove quali l'allevamento dei cani, il giardinaggio, la formazione preparatoria per l'esercizio della funzione di bambinaia e qualche corso sulla manutenzione esterna e interna dei fabbricati. C'è tuttavia da chiedersi quante famiglie supereranno il timore di affidare i loro figli ad una baby-sitter ex-detenuta.

Il carattere arbitrario degli addolcimenti apportati alla privazione dei contatti con i figli ed i coniugi si verifica dappertutto. La politica di riavvicinamento dei bambini più piccoli alle madri tramite la concessione di molte ore di vita in comune è risultata maggiormente incentivata in Germania (sono stati studiati il carcere di Butzow nella Germania dell'est e quello di Vechta nella Germania dell'ovest) anche se numerose restrizioni quali l'età dei bambini, la durata della pena e la personalità della madre intervengono in questa possibilità di contatto. Una politica simile a quella osservata in Germania è stata riscontrata ad Hameenlinna in Finlandia, lì infatti un'intera unità è riservata alle madri di bambini piccolissimi e soprattutto neonati. A Ringe, invece, l'ammissione di bambini piccoli all'interno del carcere è stata esclusa per la compresenza dei ragazzi che avrebbe causato problemi e costituito un rischio per la sicurezza dei piccoli. Nessuna unità madre-figli nemmeno nelle istituzioni nord-americane osservate.

I ricercatori segnalano comunque i problemi legati a questo tipo di politica nei confronti delle detenute madri; da un lato è emerso come spesso la presenza dei bambini venga utilizzata come mezzo di pressione verso le madri per incentivarle ad un maggior conformismo e ad una maggiore sottomissione ai regolamenti, dall'altro bisognerebbe valutare quali conseguenze potrebbero scaturire dalla crescita dei primi anni di vita in un carcere.


Gran Bretagna

Il primo dato che Lewis25 evidenzia in una sua recente ricerca è il medesimo emergente da molte altre ricerche: il numero di donne in carcere è aumentato e tende tuttora ad aumentare; la nota positiva, sottolinea Lewis, è che il governo inglese ha finalmente stanziato dei fondi per lo sviluppo di programmi trattamentali, ha istituito un Osservatorio Femminile (Women's Policy Group) all'interno del servizio carcerario ed ha recentemente promulgato una piano d'intervento riguardante donne che hanno commesso crimini.

In Gran Bretagna le donne sono circa il 17% degli autori di crimini e rappresentano poco più del 5% della popolazione carceraria, tuttavia il loro numero dal 1993 al 1998 è duplicato e le cause di questo incremento possono ricondursi a tre fattori:

molte più donne vengono processate e questo è dovuto al maggior numero di arresti;

vengono emanate più sentenze che comportano la carcerazione femminile;

le condanne sono in media più lunghe.

Dalla ricerca condotta emerge inoltre che le donne hanno un tasso di recidiva inferiore agli uomini, infatti nel 1995 il 46% delle donne detenute risultava aver commesso un altro crimine nei due anni precedenti mentre la stessa percentuale per gli uomini saliva al 56%. Le donne quindi tendono ad avere una "carriera criminale" più breve sia per quanto riguarda la durata temporale, sia in riferimento al numero dei crimini commessi.

I gruppi di minoranza, che compongono il 6% della popolazione inglese, rispetto alla popolazione penitenziaria sono il 25%; questa differenza è dovuta principalmente al fatto che circa la metà delle donne detenute di minoranza etnica sono straniere spesso arrestate perché coinvolte nel traffico di droga dall'Africa o da Paesi caraibici.

Considerando un'indagine effettuata sulle caratteristiche delle donne detenute si nota come queste siano molto diverse rispetto agli uomini ed altrettanto diverse rispetto alle donne in generale. In breve:

il 55% delle detenute ha un figlio sotto i 16 anni;

il 55% delle detenute ha avuto il primo figlio durante l'adolescenza mentre, nel totale della popolazione femminile, questo avviene per circa il 19% delle donne;

il 41% delle condannate ed il 54% delle rinviate ad una corte superiore era tossicodipendente prima di entrare in carcere;

il 40% ha abbandonato presto la scuola;

solo il 3% aveva un impiego prima di entrare in carcere;

il 50% ha subito violenze domestiche;

una detenuta su 5 ha avuto ricoveri per malattie mentali o è sotto osservazione psichiatrica;

il 40% ha assunto farmaci per problemi di salute mentale negli anni precedenti la detenzione;

il 50% delle carcerate assume farmaci per problemi di salute mentale.

Lewis afferma che l'attuale governo sta provando con difficoltà a fare in modo che le forze dell'ordine si coordinino con i dipartimenti sociali; aggiunge inoltre che molto del lavoro necessario per ridurre il tasso di criminalità femminile è a lungo termine ed è associato al modo di affrontare ed incentivare alcuni programmi politici. Alcuni esempi sono dati dalle seguenti possibili iniziative : ridurre la povertà e l'esclusione sociale tramite l'introduzione di speciali sussidi per i più poveri, trovare lavoro ai genitori single, aiutare le ragazze-madri e ridurre il numero dei senzatetto; portare aiuto alle vittime di violenze domestiche ed ai bambini soli per assicurare loro una crescita il più possibile serena (più soldi ai servizi sociali); studiare strategie contro la tossicodipendenza che favoriscano l'accesso delle donne a servizi di supporto; modernizzare i servizi sanitari di cura a malattie mentali ecc.

Il Sistema di Giustizia Criminale sta lavorando su tre fronti:

tipi di sentenze: possono risultare più appropriati per le donne autrici di reato nuovi tipi di sentenze collegati a progetti per ridurre la spinta a commettere reati a causa del bisogno di droga; questi possono consistere in disposizioni da seguire fuori dalla struttura penitenziaria (rientri obbligati a certe ore, ecc.) ed approcci al sistema di giustizia riparativa (restorative justice);

utilizzo di bail e remand decision ossia privilegiare scelte di "custodia" in case comuni per condannate evitando la soluzione carceraria ;

stabilire modalità di comportamento per condannate che hanno ottenuto i benefici della probation o della custody.

Il "probation Service" utilizza circa 50 programmi sperimentali di vario tipo alcuni dei quali per sole donne e tuttavia questi non hanno avuto molto successo nella riduzione della recidiva.

Dal gennaio del 1999 si è cominciato ad utilizzare il rilascio con braccialetto elettronico e 1800 donne sono state sottoposte a questa misura che dovrebbe gestire il passaggio dalla vita custodiale a quella comunitaria mantenendo il controllo delle rilasciate per un certo periodo di tempo.

Nonostante le previsioni d'intervento programmatiche appaiano degne di merito, apprendiamo che il direttore delle carceri inglesi, Martin Narey, nel novembre del 2001 ha annunciato che una terza prigione maschile (oltre alle due già convertite sempre nel corso del 2001) sarà convertita e trasformata in carcere femminile per far fronte alla crescita del numero delle detenute26. Tale incremento nell'ultimo anno è dovuto, oltre ai motivi già citati, al numero di custodie cautelari emesse dai tribunali; il numero delle donne per cui è stata richiesta una pena detentiva è cresciuto del 7%.

Il direttore delle carceri si è detto molto preoccupato soprattutto del fatto che i fondi stanziati dal governo per i programmi destinati ai detenuti con problemi di droga sono insufficienti per il costante aumento di persone che avrebbe bisogno di seguire questi programmi; il problema coinvolge naturalmente la maggior parte delle detenute che è in carcere proprio per questioni legate alla tossicodipendenza.

Le associazioni che lavorano con e per i detenuti sottolineano che le donne stanno avendo problemi enormi nelle ex carceri maschili, in particolare per quanto riguarda l'assistenza sanitaria. In un rapporto pubblicato dall'associazione Nacro , "Women Behind Bars" oltre alle denunce di scarsa assistenza e carenza di programmi di reinserimento viene segnalato l'aumento del numero di suicidi all'interno delle carceri femminili. In particolare in Scozia, nella prigione di Corton Vale, recentemente due giovani detenute si sono tolte la vita. La medesima prigione è tristemente nota per l'elevato numero di suicidi, ben otto tra il 1995 ed il 1998.


Canada

Per quanto riguarda il Canada anche Trevethan28 sottolinea che grazie ad una miglior comprensione delle caratteristiche delle donne detenute è possibile pianificare programmi di aiuto e scelte politiche per utilizzare al meglio i budgets di spesa stanziati per i bisogni della popolazione carceraria. La suddetta comprensione può aiutare ad identificare le aree di prevenzione e potrebbe ridurre l'incidenza della criminalità femminile.

Dal 1977 le donne accusate secondo il Criminal Code sono passate dal 14% al 19% (Canadian Centre for Justice Statistics) e questo incremento risulta più drammatico riguardo alle più giovani (dal 13% al 23%); per le donne adulte invece la crescita è stata minore (dal 14% al 18%). Non solo sono aumentate le accusate ma anche le condannate alla detenzione che, per quanto riguarda le carceri circondariali (provincial/territorial facilities) sono passate dal 5% al 9% mentre se consideriamo le prigioni federali (federal facilities) l'aumento è dal 3 al 4%; in ogni caso le minoranze etniche all'interno della popolazione carceraria sono sovrarappresentate rispetto al loro numero in generale.

Le donne detenute29 nelle carceri circondariali hanno commesso soprattutto crimini non violenti (72%) legati al consumo e spaccio di droga, furti, ecc.; le detenute in carceri federali, al contrario, hanno spesso commesso crimini violenti (64%) ma, nonostante questo, rappresentano una piccola porzione delle condannate.

Nella maggior parte dei casi queste donne hanno un livello di scolarizzazione più basso rispetto al totale della popolazione femminile, inoltre il 64% delle detenute nei penitenziari territoriali e l'80% delle detenute in quelli federali risultava senza lavoro al momento dell'incarcerazione.

Il Correctional Service del Canada (CSC) ha dedicato alle donne detenute, coinvolgendo operatori penitenziari gruppi di avvocati e comunità accademiche, alcune iniziative di ricerca:

profili di donne: nelle istituzioni federali, in carcere, nella comunità, donne che scontano lunghi periodi di detenzione o l'ergastolo o, infine, donne coinvolte in organizzazioni criminali;

esame del livello di sicurezza cui sottoporre le carcerate: riscrivere una scala di valutazione del tipo di custodia da usare solo per le donne, studiare quindi i fattori che portano a questa riclassificazione;

valutazione di programmi per detenute: terapia comportamentale, riabilitazione psicosociale, programmi di supporto.

Bisogna comunque aggiungere che la piccola, eterogenea e geograficamente dispersa popolazione carceraria femminile è un ostacolo alla raccolta di dati qualitativi e quantitativi ed i ricercatori continuano a discutere sulla metodologia più appropriata da utilizzare negli studi di genere (che distinguono il dato femminile dal maschile).

Parlando della situazione canadese, Pate30, dopo aver sottolineato la femminilizzazione e criminalizzazione della povertà, individua alcuni elementi dell'incremento delle popolazione carceraria femminile. Oltre alle già citate leggi emanate per la cosiddetta "guerra alla droga" ed alla politica di tolleranza zero di fronte ai diversi autori di reati (che siano donne o uomini, "gender-neutral") Pate cita anche l'eliminazione o diminuzione di alcuni servizi sociali di supporto sia per quanto riguarda la salute che in riferimento a situazioni d'indigenza.

La politica canadese di smantellamento delle strutture psichiatriche e di deistituzionalizzazione delle persone affette da disturbi mentali, inasprita dai tagli ai fondi sociali, ha avuto l'effetto di gettare letteralmente molte donne sulla strada e, in ultima analisi, nel più ampio e stretto controllo sociale dettato dal sistema di giustizia penale. Nonostante tale sistema abbia il più basso livello di efficacia con i costi più alti che potrebbero essere usati per rispondere alle malattie ed ai ritardi mentali, questo non può non intervenire nei confronti di chiunque abbia infranto la legge incurante della pregressa invalidità. In carcere poi, i problemi di salute mentale vengono equiparati a situazioni di rischio. In Canada le invalidità fisiche e psichiche sono incluse nella sezione 17 delle norme del Corrections and Conditional Release Act (CCRA) come fattori che debbono essere considerati nella determinazione delle classificazioni del livello di sicurezza cui sottoporre le detenute. Anche se questo non significa necessariamente la sottoposizione ad un maggiore regime di sicurezza, tuttavia equiparare disturbi mentali e cognitivi ad un semplice fattore di rischio serve solo a perpetuare la visione sociale delle persone affette da tali disturbi come pericolose. Sebbene questo sia precisamente il tipo di stereotipo aberrato dalle previsioni di eguaglianza della sezione 15 della Canadian Charter of Rights and Freedoms bisogna purtroppo segnalare che negli ultimi quattro anni e mezzo il Canada ha isolato nelle unità di massima sicurezza soprattutto le suddette donne. In realtà molte di loro rappresentano il rischio più grande per se stesse e per il proprio benessere; sono comunque incredibilmente difficili da gestire nell'organizzazione di un penitenziario, specialmente se oppongono resistenza e se cercano in ogni modo di auto-ferirsi o addirittura suicidarsi.

Se questo è uno dei motivi dell'incremento della popolazione carceraria femminile, almeno per quanto riguarda la situazione canadese, tale aumento deve essere visto senz'altro con occhi diversi poiché richiede interventi specializzati di natura medica e di una diversa politica di trattamento.

Parallelamente Pate critica una scelta governativa in apparenza utile ma in realtà deleteria. In Canada sono stati costruiti cinque nuovi penitenziari femminili dislocati in regioni che erano costrette a mandare le loro condannate in carceri lontane centinaia di chilometri; questa scelta le ha tenute più vicine alle loro case ma ha anche favorito l'incremento delle condanne inferte proprio per la possibilità di utilizzo di un nuovo e vicino penitenziario. I giudici inoltre tendono a infliggere pene più lunghe perché credono nella possibilità che queste donne possano ricevere un più completo trattamento riabilitativo/assistenziale. Il risultato di queste illusioni è che i servizi di assistenza esistenti per problemi mentali sono troppo richiesti e incapaci di incontrare i bisogni di tutte le donne che vorrebbero accedervi e troppe donne che in realtà non dovrebbero essere affidate a quel tipo di trattamento si trovano con una sentenza che lo richiede espressamente.


Australia (Victoria)

Rispetto al continuo aumento del tasso di criminalità lo stato di Victoria ha mantenuto una percentuale di incarcerazioni relativamente bassa e nel 1998, per il quarto anno consecutivo, è risultato essere lo stato australiano avente il più basso numero di detenuti.

Nonostante questo Victoria non si sottrae all'incremento generale nemmeno per quanto riguarda l'ambito femminile; i dati rilevano che tra il giugno del 1995 ed il giugno 1998 il numero di donne detenute in Australia è cresciuto del 35%, in Victoria, nello stesso periodo, la crescita è stata del 32%.

Tale aumento ha causato seri problemi per la mancanza di posti necessari nelle carceri esistenti infatti le donne devono utilizzare celle inadeguate perché troppo piccole. Anche se il Governo, scrive Armytage31, mantiene una linea politica per cui la carcerazione dovrebbe essere l'ultima risorsa soprattutto per crimini non gravi e crede nella necessità di utilizzare sanzioni alternative, l'incremento del numero delle detenute non si è fermato.

Per affrontare questa situazione il Governo ha impostato una strategia di riduzione del crimine basata sulle seguenti linee direttive:

sviluppo di una piano di giustizia minorile;

creazione di svariate opzioni per cui sia chiaro che il carcere è davvero l'ultima scelta possibile;

previsione di un programma di riabilitazione effettivo all'interno del carcere;

utilizzo di programmi assistenziali prima e dopo il rilascio per assicurare il reinserimento nella comunità.

Volendo affrontare i bisogni della popolazione carceraria femminile è necessario aver presente che, come informa il Community Correctional Services(CCS), la maggior parte delle donne in questione ha problemi di dipendenza da droga o alcool, viene da situazioni di violenza familiare, ha problemi di salute, ha una lunga storia di disoccupazione, ha figli e problemi economici. In poche parole sono persone svantaggiate socialmente ed economicamente.

Le patologie delle detenute, oltre ad essere legate alle situazioni di tossicodipendenza, riguardano problemi dentali, ginecologici e mentali; quest'ultimi sono caratterizzati da un alto tasso di depressione, ansietà e disturbi della personalità.

Nell'ambito del programma riabilitativo rientra il proposito di far mantenere i contatti tra le recluse ed i propri familiari; il Victoria è l'unico stato australiano in cui opera un programma di "visite residenziali" che si propone di mantenere il legame relazionale tra madri e figli e, naturalmente, anche con gli altri membri della famiglia (patners, genitori,ecc.). Tale programma consente ai familiari di passare del tempo di visita "di qualità" poiché provvede al mantenimento della privacy delle detenute e dei visitatori. Nel carcere di Tarrengrower è disponibile una struttura per visite che possono durare un massimo di due notti e tre giorni; nel medesimo carcere un programma basato sulle vacanze scolastiche consente alle madri di poter stare coi figli in età scolastica nell'apposita unità di alloggio per quattro giorni. Nonostante questo non sia possibile in tutte le strutture penitenziarie, è comunque un buon passo iniziale.

Un'altra importante questione riguarda il tasso di mortalità femminile dopo il rilascio dal carcere, rilascio che spesso risulta traumatico e altamente stressante. Nel Victoria dal 1987 al 1997, sono state individuate 93 donne decedute in breve tempo dopo la scarcerazione, attualmente l'11% delle donne viene rilasciato sotto condizione di una supervisione (parole supervision). Per questo motivo si stanno organizzando delle "Women's Community Transition Unit" (luoghi di passaggio dal carcere alla comunità); nella città di Melbourne sono disponibili 20 posti letto per donne appena scarcerate dove esse possono alloggiare per sei mesi con l'opportunità di riallacciare i ponti con la comunità.

Un' ulteriore iniziativa riguarda donne con problemi di tossicodipendenza e quindi, dopo la scarcerazione, a rischio di recidiva, ricaduta nell'utilizzo di sostanze d'abuso e overdose. Tramite questa iniziativa un gruppo di assistenti qualificati stende un programma individualizzato e comincia ad assistere queste donne almeno sei settimane prima del rilascio individuando possibilmente un alloggio ed il trattamento da seguire.


Gli Stati Uniti ed il rapporto di Amnesty International

Riguardo al problema della carcerazione femminile negli Stati Uniti, Brennan32 ha fornito alcuni dati interessanti.

Negli ultimi anni molto è cambiato nell'esperienza degli USA sulle questioni riguardanti le donne ed il loro coinvolgimento nel sistema di giustizia penale e questo è dovuto a svariati fattori . Innanzi tutto le donne hanno assunto posizioni di leadership all'interno del governo, in secondo luogo il fatto che esse rappresentino un buona parte di possibili elettori ha influenzato i discorsi politici ed infine, sfortunatamente, un numero crescente di donne e ragazze è coinvolto in attività criminose.

Negli ultimi dieci anni il tasso di arresti è cresciuto del 158%, circa tre volte più velocemente rispetto a quello maschile e, nonostante il numero di donne in carcere sia sempre molto inferiore rispetto a quello degli uomini, le detenute nelle carceri federali dal 1980 si sono quadruplicate.

Parallelamente non si è assistito ad un riassestamento del sistema di giustizia, dei servizi o dei programmi atti ad incontrare i bisogni specifici delle donne in carcere. Per affrontare i suddetti problemi il Dipartimento di Giustizia ha avviato alcune osservazioni sulle donne che hanno infranto la legge e si sta, al contempo, impegnando a sviluppare idonei programmi assistenziali.

Brennan tuttavia ha completamente trascurato di citare uno scomodo monito rivolto agli Stati Uniti da Amnesty International proprio in materia di carcerazione femminile.


Amnesty International e i diritti umani delle detenute

Il fatto che una donna sia privata della libertà non autorizza nessuno ad umiliarla, trattarla in modo inumano o ad usarle violenza; ciononostante nelle carceri di tutto il mondo innumerevoli donne sono oggetto di violazione dei diritti umani per il loro essere donne vulnerabili. Molte rischiano la tortura, la violenza sessuale, accade che vengano negate cure mediche di cui hanno veramente bisogno e vengono prese di mira con punizioni crudeli e discriminazioni.

L'8 marzo 1999, "Giornata mondiale della donna", Amnesty International ha lanciato una campagna mondiale volta ad evidenziare i diritti delle detenute ed in particolare ha segnalato la condizione delle donne detenute negli Stati Uniti.

Come accade in altri Paesi anche negli Stati Uniti la popolazione carceraria non rispecchia la popolazione in generale infatti le minoranze, in carcere, sono sovrarappresentate. La percentuale delle donne di colore tra le detenute è otto volte superiore a quella delle donne bianche e la percentuale delle donne di origine ispanica lo è di circa quattro volte. La cosiddetta "guerra alla droga" ha avuto un impatto sproporzionato sulle donne appartenenti alle minoranze; per esempio, nello Stato di New York il 7% delle detenute ispaniche ed il 59% delle detenute afroamericane sono state incarcerate per crimini legati al traffico di droga, rispetto al 34% di detenute bianche.

Per quanto riguarda lo sviluppo di programmi specifici per donne, un'indagine del 1997 effettuata su 52 dipartimenti di correzione ha evidenziato che solo 19 di questi avevano avviato programmi per donne vittime di violenza domestica e 9 offrivano programmi per vittime di aggressioni a sfondo sessuale.

E' inoltre carente l'istituzione di programmi che consentano il mantenimento dei rapporti tra madri e figli che vivono fuori dal carcere, nonostante si sia calcolato che tra le detenute siano presenti più di 80.000 madri e che i bambini al di sotto dei 18 anni figli di madri incarcerate siano più di 200.000. Tutti gli Stati hanno delle leggi che prevedono l'interruzione della patria potestà dei genitori detenuti in carcere.

Tra il 1997 ed il 1998 sono state arrestate più di 2.200 donne in stato di gravidanza e più di 1300 sono i bambini nati da detenute; in almeno 40 Stati questi bambini vengono portati via dalle madri quasi subito dopo il parto o al momento in cui la madre viene dimessa dall'ospedale.

Dopo aver riconosciuto quanto sia importante consentire alle donne detenute il mantenimento di stretti legami con i loro figli, il Congresso aveva promulgato nel 1994 una legge proprio perché venissero realizzati progetti per agevolare questi rapporti; purtroppo il Congresso non ha parallelamente indicato la copertura finanziaria per la realizzazione dei progetti segnalati.

Nonostante il governo degli Stati Uniti si proclami difensore dei diritti e delle libertà individuali questo sembra non emergere dai rapporti riguardanti la condizione delle detenute. Alcune delle violazioni derivano dall'abuso di metodi di limitazione del movimento; spesso le prigioniere vengono ammanettate anche quando non costituiscono una minaccia per le guardie, non fanno eccezione le donne incinte e le partorienti.

Altri metodi utilizzati negli USA sono le sedie di costrizione , le cinture e gli scudi elettrici il cui utilizzo nelle strutture carcerarie è sempre in aumento.

Sono state raccolte notizie riguardanti casi di guardie carcerarie costrette alle dimissioni o sottoposte a provvedimenti disciplinari per aver sottoposto ad abusi sessuali donne detenute nelle carceri di Florida, Idaho, Illinois, Maryland, New Hampshire, Michigan, Ohio, Texas, Virginia, West Virginia e Wyoming. Il Dipartimento di Giustizia ha intentato un'azione legale contro gli Stati dell'Arizona e del Michigan come conseguenza di indagini nelle prigioni statali che hanno provato la presenza di continui abusi a sfondo sessuale commessi dalle guardie carcerarie che "senza alcuna ragione plausibile" spiavano le detenute mentre si vestivano, si facevano la doccia ed utilizzavano i servizi igienici.

L'Ufficio Federale delle Carceri (Federal Bureau of Prison) nel marzo del 1998 ha acconsentito al risarcimento di 550.000 dollari a tre donne al fine di chiudere la causa con la quale quest'ultime avevano affermato che gli operatori nelle istituzioni correzionali della California si erano resi colpevoli ed avevano permesso lo stupro ed altre forme di abusi sessuali nei loro confronti tra l'agosto ed il novembre del 1995. Non solo, la denuncia accusava gli stessi operatori di aver consentito ai detenuti maschi di entrare nelle celle femminili in cambio di denaro e/o altri favori e di aver cercato di intimorire le donne che avevano sporto denuncia per i maltrattamenti subiti.

Lo stupro di una detenuta è considerato dalla legge internazionale una forma di tortura e qualsiasi tipo di abuso a sfondo sessuale viola la proibizione di sottoporre le detenute a trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Tali comportamenti violano anche le leggi federali americane e le leggi statali; 36 Stati, il distretto di Columbia e le autorità federali hanno promulgato leggi che proibiscono specificatamente relazioni a sfondo sessuale tra il personale carcerario e le detenute riconoscendo inoltre che tali relazioni non possono mai dirsi realmente consensuali a causa della posizione di potere che occupano le guardie verso le detenute. Sono invece 14 gli Stati non dotati di leggi specifiche.

Gli istituti di reclusione hanno un sistema che consentirebbe alle detenute di esprimere le loro lamentele e tuttavia le detenute stesse hanno dichiarato ad Amnesy International che le vittime di abusi sono spesso restie a sporgere denuncia per paura di non essere credute o perché temono ritorsioni da parte del personale penitenziario.

Una ricerca datata 1997 ha verificato che, nelle prigioni di 40 stati in cui sono detenute delle donne, in media il 41% del personale è di sesso maschile. I principi elencati negli standard minimi indicati dagli Stati Uniti per il Trattamento dei Prigionieri stabiliscono che le detenute debbano essere sorvegliate da guardie di sesso femminile mentre il personale di sesso maschile (medici, docenti, ecc.) deve essere accompagnato da agenti donne.

Secondo quanto riportato nel 1995 da un'indagine nelle carceri del Michigan intrapresa dal Dipartimento di Giustizia statunitense "quasi ogni persona intervistata ha raccontato di aver subito atti sessualmente aggressivi da parte delle guardie".

Ai problemi appena elencati si aggiunge un'assistenza medica spesso non rispondente alle reali necessità e quindi inadeguata agli standard internazionali.

Una delegazione di Amnesty International nel novembre del 1998 ha visitato il Madera County Hospital in California dove vengono ricoverate o detenute gravemente malate o quando hanno le doglie del parto oppure per un breve periodo dopo il parto. La corsia per le detenute era chiusa a chiave e vigilata da quattro guardie armate, ogni donna era legata al letto per una gamba, una di esse a mostrato alla delegazione i ceppi che le consentivano di sdraiarsi solo su di un fianco e non di girarsi.

Altrettanto drammatico è il problema delle detenute che soffrono di disturbi mentali; la mancanza di appropriate cure mediche per questo tipo di patologie è quasi una costante.

In California, le carcerate classificate come "pericolose per la sicurezza" possono essere tenute in isolamento a lungo termine nella "Security Housing Unit" (SHU), unità di massima sicurezza nella prigione di Valley. Queste detenute, che passano dalle 22 alle 24 ore al giorno in una piccola cella senza alcun tipo di lavoro o rieducazione, possono trascorrere anni o l'intera condanna confinate nella SHU per aver commesso semplici infrazioni disciplinari successive.

Strutture di massima sicurezza stanno sorgendo in tutto il sistema carcerario degli Stati Uniti, a volte, l'intero penitenziario è di massima sicurezza.

Ultima situazione da menzionare emergente dal rapporto di Amnesty riguarda la condizione delle persone richiedenti asilo; gli standard internazionali cercano di proteggere la condizione di queste persone affermando che dovrebbero essere incarcerati solo in casi strettamente necessari, secondo condizioni chiare e solo come ultima risorsa. Nonostante questo un numero indefinito di richiedenti asilo langue nelle carceri statunitensi; molti di loro sono rinchiusi per più tempo di quanto stabiliscono le regole internazionali, divengono vittime dei ritardi e delle incompetenze istituzionali subendo duri trattamenti ed incarcerati accanto a persone accusate di reati criminali.

Il numero di donne richiedenti asilo ospitate nei penitenziari degli Stati Uniti è solitamente basso, questo provoca il loro isolamento e, come appena accennato, la loro mescolanza con criminali comuni. La loro possibilità di accesso all'assistenza legale è limitata o nulla perché la durata della loro permanenza in carcere è indefinita ed esse possono essere trasferite in qualsiasi momento. In alcuni Stati ed in alcune strutture carcerarie le donne richiedenti asilo vengono perquisite ed ammanettate, a volte questa procedura viene adottata anche durante gli spostamenti all'interno della prigione stessa. Il Servizio di Immigrazione e Naturalizzazione (ISN) ha da poco stabilito degli standard minimi che, se applicati, migliorerebbero la situazione esistente.

Dalla situazione complessivamente descritta risulta chiaro che i meccanismi disponibili negli Stati Uniti per impedire abusi contro i diritti umani e per porre rimedio a quelli già compiuti sono inadeguati; gli standard carcerari sono scadenti e pochi Stati hanno organi indipendenti ed efficaci per verificare il trattamento delle detenute.




In cooperazione con l'Istituto Australiano di Criminologia (AIC), l'Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (UNICRI), il Centro Internazionale per la Riforma del Diritto Penale ed il Sistema di Giustizia (ICCLR&CJP), l'Istituto Nazionale di Giustizia (NIJ) e l'Istituto Latino Americano delle Nazioni Unite per la Prevenzione del Crimine ed il Trattamento del Criminali (ILANUD).


Morash, Bynum e Koons "Women offenders: programming needs and promising approaches" National Institute of Justice, Research in Brief, Agosto 1998.

Marie-Andrée Bertrand, Sylvie Dion, Concetta Di Pisa, Anurée B.Fagnan, Louise Langelier-Biron e Julia McLean "Ẻtude comparée de prisons pour femmes en Amérique du Nord, en Grande-Bretagne et en Europe du Nord″ , Congrés international de criminologie, Budapest 24 - 29 agosto 1993.

I ricercatori si riferiscono qui ad istituti con dimensioni equiparabili.

Chris Lewis (dirigente dell'Offenders and Corrections Research Unit, Britissh Home Office) "Research and developments in Britain 1999-2000"; dagli atti della conferenza dell'AIC "Women in corrections: Staff and Clients", Adelaide 31 ottobre-1 novembre 2000.

"Le celle scoppiano di donne" , articolo tratto dal quotidiano "Manifesto" del 28 novembre 2001 pubblicato sul sito del Centro di Documentazione Due Palazzi (www.ristretti.it) realizzato dai detenuti del carcere Due Palazzi di Padova e dalle detenute della Giudecca a Venezia.


Nacro, nata nel 1966, è un'organizzazione inglese di volontari indipendenti che lavora per la riduzione del tasso di criminalità tramite l'assistenza e l'aiuto nella reintegrazione degli ex-detenuti (www.nacro.org.uk).


Shelley Trevethan (Senoir Research, Correctional Service, Canada) "An Examination of Female Inmates in Canada: characteristics and treatment" dagli atti della conferenza dell'AIC "Women in corrections: Staff and Clients"; Adelaide, 31 ottobre- 1 novembre 2000.


I dati utilizzati per l'esposizione risalgono all'ottobre del 1996.

Kim Pate (direttrice esecutiva della Canadian Association of Elisabeth Fry Society, una federazione di società autonome che lavorano con e nell'interesse delle donne coinvolte nel sistema di giustizia penale) "Women in corrections: the context, the challenges" dagli atti della conferenza dell'AIC "Women in corrections: Staff and Clients"; Adelaide, 31 ottobre- 1 novembre 2000.


Penny Armytage (Commissioner, Office of Correctional Services, Department of Justice, Victoria) "Women in corrections: getting the balance right" dagli atti della conferenza dell'AIC "Women in corrections: Staff and Clients"; Adelaide, 31 ottobre- 1 novembre 2000.


Noël Brennan (Principal Deputy Assistant Attorney General United States, Department of Justice) "Women in Criminal Justice- An American Perspective" dagli atti della conferenza del HEUNI "Women in the Criminal Justice Sistem: International examples & national responses"; Vienna, 10-17 aprile 2000.

Amnesty International è un movimento internazionale indipendente da qualsiasi governo, parte politica, interesse economico e credo religioso; opera per la promozione e difesa in tutto il mondo dei diritti umani così come stabiliti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; possiede status consultivo presso le Nazioni Unite ed ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1977.


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