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Psicomotricità
La psicomotricità è un termine usato per lo più nel lessico pedagogico con il quale si indicano attività proposte in situazione scolastica e post-scolastica. La psicomotricità si compone di due parti: psiche, che deriva dal greco e indica la parte non tangibile, non biologica dell'essere umano; motricità, che invece sta ad indicare l'azione di movimento compiuta dal corpo o da parti di esso. Pertanto usare questo termine significa sottolineare il collegamento fra ciò che è interno e ciò che è visibile.
Alla fine degli anni '60, anni in cui nasce la psicomotricità in Francia, l'Italia vive elaborazioni pedagogiche molto antiquate; è una scuola basata sull'imperialismo verbale, orientata solo sulla psiche. Con i moti universitari del '68 si comincia a modificare il piano delle strutture educative. Negli anni successivi gli insegnanti del M.C.E. (movimento di Cooperazione Educativa) faranno il resto e apriranno la porta a quella ventata di rinnovamento didattico proprio degli anni '70, dunque la psicomotricità si sviluppa anche grazie ad una generale sensibilità al rinnovarsi dei temi dell'educazione.
Gli studi che Wallon sviluppa in Francia dagli anni '30/'40 a proposito del rapporto tra emozione e tonicità del corpo interessarono tutte le presone che si erano occupate di rieducazione motoria. Per Wallon l'uomo è un'unità biologica che vive, cresce e si esprime attraverso il movimento e ciò è molto evidente nei primi anni di vita.
Un altro riferimento importante ci è dato da Piaget sull'origine dell'intelligenza. Per questo autore lo sviluppo intellettivo non è dovuto alle pressioni esterne, ma nemmeno si può considerare l'intelligenza come una struttura preformata.
Tutti questi approfondimenti si collegano agli studi che i neurologi fanno sull'immagine del corpo, alle traduzioni del comportamento delle ipotesi freudiane sul concetto di inconscio. Se l'uomo è un'unità che non solo pensa ma anche agisce, non devono poter esistere due diverse organizzazioni educative, una per l'intelletto e l'altra per il corpo, ma bisogna tendere ad unificarle.
Negli anni '80 la psicomotricità incomincia ad essere messa in discussione per le sue traduzioni pratiche. Se è stato importante scoprire che il movimento è legato allo psichismo, è stato più importante verificare quanto i percorsi di lavoro psicomotori portassero a risultati coerenti con le elaborazioni tecniche a monte. Da questo punto di vista la scuola italiana ha mostrato alcuni limiti, ecco i principali:
LA CONFUSIONE. Spesso la psicomotricità si suddivise in differenti scuole di pensiero (psicomotricità di Vayer, psicocinesi di Le Boulch e terapie psicomotorie di Lapierre), spesso in contrasto tra loro. Allora ci si cominciò a domandare quale sia la migliore ma si trattò di un quesito paradossale perché ogni esponente presentava la propria scuola come la migliore; le differenze che si espressero nell'evolversi di questa pratica portarono molti elementi di confusione;
L'INGENUITA'. Dopo il grande successo che la pratica psicomotoria ottenne essa venne inserita ufficialmente nel programma delle scuole francesi prima che si fosse diffusa in Italia. In Italia il "boom-psicomotorio" avvenne negli anni '70-'74 e si basò su testi e proposte formative copiate dai testi francesi. In quegli anni agli alunni dell'ISEF si insegnava ancora la tradizionale Educazione fisica, mentre nelle scuole elementari sorgono piccole aule di psicomotricità; l'attività motoria è quindi condotta da personale extra-scolastico. La critica alla scuola italiana è fondata sul piano organizzativo e procedurale che ha portato ad un grave scadimento qualitativo;
LA COERENZA. Tradurre in pratica le teorie psicomotorie richiedeva la ridiscussione dell'ordinamento didattico, dominato da lettura, scrittura e poesie. Una scuola così strutturata non poteva rappresentare un favorevole terreno di sviluppo. La psicomotricità divenne un'attività lontana sia dall'educazione intellettuale sia dall'educazione fisico-sportiva. Perdurava un modello educativo a comparti: un comparto "psicomotorio" che aveva la pretesa di unificare il bambino-mente col bambino-corpo e un piccolo comparto di motricità lucida e spontanea. Lo spazio psicomotorio diveniva un fatto particolare, un laboratorio di un paio d'ore settimanali ma era investito di altissima responsabilità: quella di rimediare alla differenza fra educazione del corpo e educazione della mente. Non ci si rendeva conto che questa nuova psicomotricità realizzava una frantumazione del corpo; al bambino era richiesto di vivere una motricità artificiale permeata di finalità cognitive. Una frammentazione di questo genere era ben lontana dalle idee prefissate, tanto che gli psicomotricisti non si ponevano il problema della motivazione da parte del bambino rendendo le lezioni assai noiose e poco coinvolgenti.
Nei confronti dei principi ispiratori della psicomotricità, tutta la moderna didattica del movimento è in debito. Sarebbe necessario ripensare alle traduzioni pratiche che hanno finito per ricadere in grandi errori. Il bambino non necessita né di pratiche esoteriche né di condizioni particolari. Un nuovo modo di intendere l'educazione motoria oggi non passa attraverso l'invenzione di nuovi modelli né attraverso dibattiti accademici riguardo quale sia il miglior modo per fare psicomotricità. Dire che il bambino è un tutt'uno dalla testa ai piedi è una cosa risaputa, dire che il bambino deve essere educato a utilizzare io suo corpo in maniera lucida, variata può portare ad un accorso in teoria ma a divergenze in pratica. Ma sul confronto della traduzione pratica si potrebbero definire le linee di sviluppo dell'educazione motoria del terzo millennio.
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