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Da questa breve analisi si può vedere che il fenomeno "disagio" è ben presente nella nostra società italiana. Se alcune forme risultano in netta diminuzione (suicidi), altre però sono in aumento (atti di delinquenza, bullismo, anoressia).
Sul fenomeno del malessere giovanile e del disagio si interrogano molti autori, tra questi un'attenzione particolare merita Umberto Galimberti (professore di Filosofia della storia e psicologia dinamica all'Università di Venezia). L'autore del libro "L'ospite inquietante. Il nichilismo tra i giovani"(per l'appunto Galimberti) analizza la condizione giovanile nei suoi molteplici aspetti, descrivendola come "una landa desolata, ove il vuoto, il non senso, l'aridità emozionale, l'incapacità di stabilire rapporti significativi con gli altri, l'indifferenza nei confronti della generazione dei padri, delle tradizioni da essi trasmesse e dell'ordinamento sociale, l'assenza di qualsivoglia progetto che vada al di là del vivere alla giornata, rimbombano drammaticamente, spingendo i soggetti ad adottare qualunque soluzione che allevi l'insostenibile angoscia di essere nessuno."
La tesi di fondo, che anima questo libro, sta nel far vedere come il mondo di oggi, in particolare quello dei giovani di oggi, sia pervaso dal nichilismo e dall'assenza di valori e di senso. Il nichilismo infatti è quell'ospite inquietante, descritto da Nietzsche alla fine dell'Ottocento, che oggi torna ad aggirarsi nella vita dei giovani, cancellando ogni prospettiva, annullando le emozioni e indebolendo l'anima. I giovani oggi sono sfiduciati, disinteressati alla scuola, impoveriti nell'animo. Solo il mercato sembra interessarsi a loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove però - a dirla con le parole di Galimberti - "ciò che si consuma è la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa".
Il futuro non viene più percepito come promessa ma come minaccia.
Qui nasce la crisi, dato che la psiche è considerata sana, quando è aperta al futuro. Ma se il futuro chiude le sue porte o si presenta come incertezza, inquietudine, precarietà, insicurezza; ogni iniziativa si spegne, l'energia vitale si scarica, e la speranza svanisce: dominano la demotivazione e l'impotenza. Questa crisi è tanto più profonda, in quanto attacca i fondamenti stessi della nostra società "civile". Crollano la visione ottimistica del mondo, la convinzione che la storia dell'umanità sia una storia di progresso e di salvezza. Il mondo precipita in una "casualità senza direzione e orientamento": inquinamento, disastri economici, disuguaglianze sociali, violenza, intolleranza, razzismo e guerra sono i responsabili di questo dramma dell'umanità.
E il giovane che, come dice Galimberti, percepisce ogni avvenimento come un assoluto, che percepisce ogni sensazione come un "tutto o niente", svuotato di ogni sogno, abbattuto in ogni suo progetto, da scommessa della società e dell'umanità si trasforma in oggetto di un soggetto esterno. È un oggetto che cerca di riempire quel vuoto lasciato dai sentimenti, ubriacandosi di emozioni sempre più forti (purtroppo però queste sono emozioni che hanno un effetto solamente passeggero, un effetto che non riesce a fermarsi e a radicare niente nel ragazzo, ma anzi scava sempre più in profondità lasciando un vuoto sempre più difficile da colmare), cadendo così in una trappola, a lui tesa da cacciatori esperti, che lo porterà a quella spersonalizzazione comune ormai a molti giovani. E tutto questo perché se a guardare al futuro si prova sempre più timore (grazie anche a volte alla magari benevola ma pressante ossessione dei professori di "preparare questi nostri giovani alla giungla della società dove tutti si è in guerra con gli altri"), non resta che guardare al passato (con tutti i suoi orrori) o non guardare (vivendo il presente di giorno in giorno cercando di rubare al tempo un qualche lacerto di piacere). Sono queste le sole cose che si riescono a fare: accecarsi con visioni strazianti per poi poter non guardare più oppure chiudere gli occhi e fingersi già ciechi.
Quello che Galimberti scorge negli atteggiamenti giovanili, tra le righe non scritte dei loro atti è un analfabetismo emotivo, un inaridimento dei sentimenti, una mancanza di forza d'animo; e più grave e evidentemente nascosta una pubblicizzazione dell'anima intima della persona (che diventa di dominio pubblico e, condizionata a sua volta dal pubblico stesso, si trasforma nel pubblico stesso). Questo è il grido muto dei ragazzi: il loro cedere alla seduzione della droga, il gesto omicida e quello suicida, l'angoscia, la maledizione e l'insensatezza nichilista, tutte disperate esibizioni di quegli occhi che non sono ancora del tutto ciechi.
Ma l'analisi di Galimberti è molto più ampia, e si allarga fino a comprendere anche il terrorismo ideologico e la cosiddetta "generazione X" degli indifferenti (una tribù di giovani "svuotati", con scarsa autostima, con nessuna sensibilità, introversa, indolente, trascinata nell'inerzia per eccessiva esposizione agli influssi della televisione, preoccupata soltanto di avere molto tempo libero per affogare nel nulla); sempre nel suo saggio si parla della "generazione Q" dal basso livello intellettivo ed emotivo, degli squatter che non credono al cambiamento del mondo, non gridano rivoluzione, ma sono rannicchiati in una disperata rassegnazione; dei ragazzi dello stadio con la loro violenza nichilista.
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