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La crisi dei fondamenti
Con l'espressione "crisi dei fondamenti" si indica quel periodo di crisi degli inizi del XX sec. in cui la matematica viene minata proprio alle radici, ritenute, fino al secolo precedente, completamente indistruttibili.
In primo luogo, è necessario precisare che il fatto che questa profonda crisi si manifesti proprio agli inizi del XX sec. non è affatto un caso; nel corso del XIX sec., infatti, si erano ottenuti importantissimi risultati:
La crisi nasce, perciò, in un momento di grande fermento della matematica, dovuto soprattutto alla necessità di puntualizzare e formalizzare i risultati fino a quel momento ottenuti.
Questa necessità di chiarire le basi della matematica, arrivati ad uno sviluppo così notevole, porta a due principali linee di pensiero:
logicismo;
formalismo.
Nell'ambito del formalismo, il personaggio di maggior rilievo è stato, senza dubbio, il matematico tedesco David Hilbert (1862-1943). Nei 'Fondamenti della geometria' del 1899, Hilbert aveva ridotto il problema della coerenza della geometria a quello della coerenza dell'insieme dei numeri reali. Studiando assiomaticamente i numeri reali si era dimostrato che la coerenza della loro teoria discendeva dalla coerenza dell'aritmetica, cioè dal sistema di assiomi, proposti dal matematico italiano G. Peano, che definiscono l'insieme dei numeri interi naturali.
Dunque, nell'agosto del 1900, Hilbert, partecipando al Congresso internazionale di matematica di Parigi, nel suo intervento, presentò una lista di problemi che la matematica era chiamata a risolvere. La lista contava 23 problemi che apparivano, all'attuale stato della scienza matematica, irrisolti (alcuni di essi sono tuttora irrisolti). Il secondo di questi problemi era, appunto, l'Entscheidungsproblem (letteralmente 'problema della decisione'): dimostrare cioè, come si era fatto per gli assiomi della geometria euclidea, che gli assiomi dell'aritmetica dei numeri naturali sono coerenti. Questa questione coinvolgeva direttamente i fondamenti stessi della matematica. Fino ad allora le prove di non-contraddittorietà erano sempre state prove di coerenza relativa, cioè avevano semplicemente ridotto la coerenza di un certo sistema di assiomi a quella di un altro. Hilbert si rese conto che con l'aritmetica non si poteva più fare riferimento a un altro sistema di assiomi, si era giunti cioè al fondamento logico della matematica e a quel punto bisognava affrontare il problema in termini del tutto generali, non più relativi.
I logicisti, parallelamente, pensavano che, come nel caso della geometria, i problemi e le ambiguità dell'aritmetica fossero dovuti all'utilizzo di concetti d'uso quotidiano anziché di termini rigidamente fondati sulla logica. Essi cercavano di attuare un'opera di sistematizzazione della matematica attraverso la sua "traduzione" nella logica stessa: il sistema formale risultante sarebbe, allora, stato scevro da imperfezioni. Tale tentativo, tuttavia, presenta ben presto dei problemi.
Quando, infatti, il matematico tedesco Friedrich Ludwig Gottlob Frege (1848-1925) tenta di basare tutta la costruzione della matematica sulla logica, ponendo le basi per il suo progetto nel primo volume dell'opera "I fondamenti dell'aritmetica"(1893), il matematico gallese Bertrand Russell (1872-1970) stronca alla base il suo tentativo in una lettera inviatagli poco prima della pubblicazione del secondo volume. E' lo stesso Frege a commentare: "A uno scienziato non può capitare praticamente nulla di meno desiderabile che vedersi crollare le fondazioni del proprio lavoro proprio quando era terminato. Sono stato posto in questa posizione da una lettera del signor Bertrand Russell quando il mio lavoro era praticamente in corso di stampa."
Infatti, tutto il ragionamento di Frege si basava sull'idea di insiemi come estensioni concettuali di una proprietà (e, perciò, fanno parte di un insieme tutti quegli elementi che condividono una determinata proprietà) e sulla possibilità di sceglierli arbitrariamente; Russell sfruttò questi presupposti proponendo, nella sua lettera, il paradosso passato alla storia come l'antinomia di Russell.(che apre, a tutti gli effetti, la crisi dei fondamenti): se si considera l'insieme A di tutti gli insiemi che non appartengono a sé stessi (e questo è lecito per i presupposti prima esplicitati), si giunge ad una contraddizione, poiché, se si suppone che A appartenga a sé stesso, allora non può appartenere a sé stesso, mentre, se si suppone che A non appartenga a sé stesso, allora deve appartenere a sé stesso. A questo famosissimo paradosso ne seguirono altri, altrettanto famosi, tra cui alcuni per opera dello stesso Russell (come il paradosso del barbiere).
Risulta chiaro, a questo punto, che la teoria degli insiemi (almeno nella formulazione Cantoriana fino ad allora accettata) e, quindi, la logica non sono più in grado di sostenere l'intero edificio della matematica.
Il progetto logicista, tuttavia, non viene abbandonato definitivamente: molto interessante, anche dal punto di vista filosofico, è, infatti, la risposta che Russell stesso dà per tentare di risolvere questo tipo di antinomie. Dopo un'attenta analisi dei paradossi logici fino ad allora proposti, Russell comprende che tutti hanno in comune la caratteristica dell'autoreferenzialità: il fatto che, cioè, in un linguaggio, e più in generale in una teoria, fosse possibile dire qualcosa attorno al linguaggio o alla teoria stessa. In collaborazione con Alfred North Whitehead (1861-1947), egli tenta, sulla scia di Frege, di realizzare la riduzione logicista nei "Principia Mathematica", un sistema assiomatico con cui tutte le affermazioni della matematica potevano essere costruite (sistema, tuttavia, rimasto incompleto). All'interno di tale progetto, Russell elabora la teoria dei tipi logici che, in modo forse un po' artificioso, chiude il problema della antinomie: Russell sostiene, infatti, che le classi (cioè una generica collezione di oggetti che possono essere univocamente identificati, ad esempio tramite una proprietà) debbano essere divise in varie (infinite) gerarchie, in modo tale che una classe di tipo superiore non può far parte di una classe di tipo inferiore; così facendo, l'antinomia di Russell stessa perde di consistenza, in quanto la caratteristica di autoreferenzialità non ha più senso nella teoria dei tipi (infatti, un insieme, che è un tipo particolare di classe, non può essere elemento di se stesso, poiché i suoi elementi sono di tipo inferiore rispetto all'insieme stesso, che è di tipo superiore) Russell stesso afferma: 'qualunque cosa presupponga tutti gli elementi di una collezione non deve essere un termine della collezione'. Questa teoria dei tipi logici ha, perciò, delle implicazioni matematiche ed epistemologiche fondamentali: il superamento delle antinomie, che fino a poco tempo prima sembravano degli ostacoli insuperabili, rende nuovamente l'assetto logicista uno dei possibili assetti alla base dell'intera matematica, riaprendo così la possibilità di approdare ad una disciplina fondata sul concetto di classe e di insieme Cantoriano.
Russell stesso, tuttavia, nota che questa teoria dei tipi logici non si poteva applicare anche ai paradossi linguistici in genere ed arriva, nel tentativo di risolvere anche questo altro tipo più generale di antinomie, ad anticipare la teoria dei livelli di linguaggio di Alfred Tarski, utilizzata anche dai formalisti, tra cui Hilbert, nel loro tentativo di formalizzazione dell'aritmetica. Russell stesso, nell'introduzione da lui aggiunta al Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein afferma, esplicitando un discorso di Wittgenstein stesso, che 'ogni linguaggio ha, come dice Wittgenstein, una struttura della quale nulla può dirsi in quel linguaggio, ma che vi può essere un altro linguaggio (che sarà poi chiamato da Tarski metalinguaggio) che tratti della struttura del primo linguaggio e possegga a sua volta una nuova struttura, e che tale gerarchia di linguaggi può non aver limite".
Di vera e propria teoria dei livelli di linguaggio si può parlare, tuttavia, soltanto in relazione ad Hilbert ed al programma da lui proposto: in sostanza, infatti, egli proponeva, come possibile soluzione al problema della decisione, di trovare una teoria della dimostrazione, o metamatematica, che dovesse servire a dimostrare la coerenza di un qualsiasi sistema formale matematico. Le principali caratteristiche di una teoria assiomatica metamatematica (che analizza, cioè, una teoria matematica) consistono nel fatto che essa deve possedere un linguaggio formalizzato, cioè un insieme finito di simboli base assieme a delle regole che permettono di costruire formule o asserzioni 'corrette' costituite da un numero finito di simboli, e delle regole di inferenza per costruire prove formali di nuove formule a partire dagli assiomi (le prove formali sono successioni finite di formule). La metamatematica analizza soprattutto la consistenza (o coerenza) e la completezza di una teoria matematica. La teoria è consistente se è impossibile formare, a partire da essa, una contraddizione, ossia se è impossibile avere la formula F e la formula non-F. Essa è inoltre completa se è possibile, per ogni formula F, dimostrare F o non-F. Facendo uso di questi metodi 'finitisti', nel senso che in essi si utilizzano soltanto successioni finite di formule che a loro volta sono successioni finite di simboli del linguaggio formalizzato, Hilbert si proponeva di ottenere dei risultati metamatematici che potessero essere accettati come metodi di analisi di teorie matematiche.
Il programma di Hilbert e, con esso, tutti i tentativi fatti da Russell e dai suoi collaboratori crollano definitivamente con l'intervento del matematico statunitense Kurt Gödel (1906-1978) nel congresso sull'epistemologia delle scienze esatte tenuto a Königsberg nel 1930. Gödel presenta, in tale occasione, i risultati ottenuti nel corso dei suoi studi in relazione al programma di Hilbert, che lo avevano portato, in un primo momento alla dimostrazione della completezza di una parte della logica matematica, il calcolo dei predicati del I ordine (risultato che alimentava le speranze di Hilbert). Tali risultati, molto rivoluzionari, consistevano principalmente nei due teoremi di incompletezza, che mostrano come non si possa dimostrare a partire dall'aritmetica che l'aritmetica stessa sia consistente e, perciò, come non si possa raggiungere una soluzione al problema della decisione fondata sull'aritmetica stessa.
Il primo teorema di incompletezza stabilisce, in sostanza, che in ogni formalizzazione coerente della matematica, che sia sufficientemente potente da poter assiomatizzare la teoria elementare dei numeri naturali, è possibile costruire una proposizione sintatticamente corretta che non può essere né dimostrata né confutata all'interno dello stesso sistema. Il secondo teorema di incompletezza afferma, invece, che nessun sistema coerente, sufficientemente espressivo da contenere l'aritmetica, può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza. E' molto importante notare, in primo luogo, come i due teoremi enunciati possano essere applicati solo a sistemi formali consistenti e abbastanza "potenti" da includere l'aritmetica: per tutti gli altri sistemi formali "minori" tale limitazione non vale (come nel caso del calcolo dei predicati del primo ordine); inoltre, è opportuno sottolineare che il secondo teorema, in modo più diretto rispetto al primo, mina alla base il programma di Hilbert, poiché implica che l'aritmetica non possa dimostrare la sua stessa coerenza.
Di
grande interesse è, sicuramente, il filo logico seguito da Gödel nella
dimostrazione di questi importantissimi teoremi, che si può sintetizzare anche
tralasciando l'aspetto puramente matematico, di difficile comprensione e
trattazione. Gödel inizia la sua dimostrazione introducendo il numero di Gödel che, in sostanza,
permette di codificare (univocamente) tramite numeri non soltanto simboli e
formule aritmetiche, ma anche proposizioni della metamatematica. Tra le varie
formule esistenti, Gödel deriva una particolare formula F che, decifrata,
stabilisce che "la formula F non è dimostrabile": si giunge, cioè, ad un
analogo dell'antinomia di Russell, poiché, se F è dimostrabile, allora non è
dimostrabile e, se non è dimostrabile, allora la formula F è dimostrabile. Ne
deriva una conclusione fondamentale: se il sistema formale considerato è
consistente (e questa caratteristica è fondamentale per il programma di
Hilbert), come stabiliscono le ipotesi del teorema, allora F non è decidibile
(non si può dimostrare , poiché, se lo fosse si giungerebbe ad un assurdo. Perciò,
F non è un teorema (perché non è dimostrabile): il sistema formale coerente
considerato non può, quindi, essere completo, perché esiste al suo interno F
che è indecidibile. Dimostrato il primo teorema di incompletezza, Gödel nota,
inoltre, che esiste, all'interno di ogni sistema formale coerente che comprenda
l'aritmetica, un'ulteriore formula A che stabilisce che "l'aritmetica è
consistente" e che tale formula A implica
I teoremi di incompletezza pongono fine, una volta per tutte, al programma di Hilbert di fondare la matematica sull'aritmetica: essi mostrano, infatti, come l'aritmetica non possa dimostrare autonomamente la propria consistenza. Esiste, perciò, un limite invalicabile al processo di formalizzazione e di costruzione su basi logiche della matematica: senza ricorrere ad una metateoria, che utilizza strutture più complesse di quelle utilizzate nella teoria, come aveva già anticipato lo stesso Hilbert, non si può dimostrare la consistenza della teoria stessa. Questo implica, in conclusione, che non esista nessuna "teoria definitiva", capace, cioè, di fondare tutte le teorie, inclusa se stessa, poiché tale possibilità è esclusa dal secondo teorema di Gödel.
Nessuno può, in ultima analisi, obiettare il fatto che i risultati ottenuti da Kurt Gödel abbiano avuto un'importanza fondamentale nella storia del pensiero umano: essi hanno, infatti, fatto crollare, in modo definitivo, tutti le convinzioni che l'uomo aveva maturato, in modo molto ingenuo, riguardo una scienza matematica che potesse essere autosufficiente e che potesse trarre da se stessa i propri fondamenti, a vantaggio di una concezione più matura del sapere matematico che è, ancora oggi, nel pieno del suo sviluppo.
BIBLIOGRAFIA
Testi scolastici:
Walter Maraschini, Mauro Palma. ForMat, SPE. Paravia.
Massimo Bergamini, Anna Trifone, Davide Neri, Rosanna Tazzioli. Le geometrie non euclidee e i fondamenti della matematica. Zanichelli.
Approfondimenti:
Francesco Berto. Tutti pazzi per Gödel. Laterza.
Bertrand Russell. Principia Mathematica. Newton&Compton.
Ludwig Wittgenstein. Tractatus Logico-Philosophicus: Introduzione https://en.wikisource.org/wiki/Tractatus_Logico-Philosophicus/Introduction (in inglese)
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