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Movimento naturale della popolazione. la natalitÀ




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MOVIMENTO NATURALE DELLA POPOLAZIONE. LA NATALITà


La natalità: influenza dei fattori biologici e demografici

Lo studio deI movimento naturale della popolazione si basa sull'analisi di quelle che ne sono le due componenti fondamentali: la natalità e la mortalità. L'accelerazione dell'incremento demografico è dovuta alla ritirata della morte: l'esplo­sione demografica deriva da questa eccedenza di nati, rinforzata dall'efficacia della lotta contro le malattie. A differenza della mortalità verso la quale l'uomo non può esercitare che un'azione difensiva, la natalità può essere governata dall'iniziativa umana.

La natalità si definisce in valore assoluto come 'numero dei nati in un anno' e in valore relativo (indice di natali­tà) come rapporto fra il numero dei nati in un anno e il totale della popolazione. Per calcolare l'indice o tasso di nata­lità, si moltiplica per mille il numero dei nati in un anno e si divide il prodotto per il numero complessivo degli abitanti.

Una popolazione normale, senza l'uso di pratiche restrittive delle nascite, dovrebbe avere un indice di natalità oscillante intorno al 50 per mille. Questa natalità 'naturale' (senza limitazioni volon­tarie) può variare sotto l'influenza dell'ambiente geografi­co, sulla cui efficacia non è possibile addivenire alla formulazione di leggi costanti. Più incisivi sono gli effetti della volontà umana, che in alcuni paesi fanno diminuire l'indice di natalità a livelli vera­mente bassi. È questo un fatto culturale: mentre le società dei paesi sottosviluppati si adattano alla procreazione illimitata, la limitazione volontaria delle nascite è una scelta propria dei paesi progrediti, quando diventa chiara la concorrenza tra l'aumento del numero di abitanti e l'innalzamento deI tenore di vita.

La natalità è diversa da un luogo all'altro o da un'epoca all'altra per fattori di ogni genere: demo­grafici e biologici, politici e religiosi, economici e sociali. In primo luogo entra in gioco il tasso di fecondità, il quale esprime l'atteggiamento collettivo di fronte al problema della procreazione: le popolazioni con un modesto tasso di fecondità limitano le nascite, men­tre una bassa natalità potrebbe derivare più dall'invecchiamento della popolazione che da pratiche contraccettive. La fecondità segue un andamen­to a parabola, con una rapida ascesa dai 15 ai 20 anni, un'acme tra i 20 e i 30, e un declino fino al 49° anno.

La natalità è tanto più elevata quanto più precoce è la nuzialità.

L'interpretazione della natalità deve risalire alla struttura della popolazione per età e per sesso. Su tale struttura incidono i movimenti migratori, che possono determinare rapide va­riazioni nel numero dei nati. Un caso limite è quello dei fronti pionieri e cioè delle zone da valorizzare in cui migrano quasi esclusivamente giovani adulti: si viene ad avere un'abnorme dilatazione delle classi giovanili e, nella misura in cui si realizza l'equilibrio dei sessi, si raggiungono tassi di natalità eccezionali, superiori a quelli della madrepatria.

Anche il clima può esercitare una certa influenza sulla natalità.

L'influenza dei fattori "culturali"

I più alti livelli di natalità caratterizzano le po­polazioni più povere e sottoalimentate deI mondo.

Negativa è l'influenza della guerra, che costringe molti uomini giovani a vivere lontano dalle mogli e crea sempre situazioni familiari e sociali per nulla favorevoli alla procrea­zione. Negli anni deI dopoguerra si osserva un rialzo del­la natalità al disopra dei valori normali grazie alle nascite ritardate, cioè quelle che non avevano potuto realizzarsi nel periodo bellico e che vanno ad aggiungersi alle nascite normali; cre­sce anche il tasso di nuzialità con l'arrivo dei reduci e dei prigionieri.

I fattori religiosi, politici e sociali influiscono su una natalità 'volontaria'. Le religioni 'universali' (quelle che si ritengono depositarie della vera fede da diffondere in tutto il mondo) adombrano nei loro comandamenti l'obbligo di procreare per estende­re il numero dei 'fedeli'. l popoli profondamen­te religiosi presentano tassi di natalità molto elevati.

L'influsso deI dettato religioso può sor­tire maggiore o minore efficacia in rapporto al grado di osservanza, cioè al rafforzarsi o all'indebolirsi della religiosità. L'insegnamento della Chiesa cattolica, pur sottolineando il principio della procreazione responsabile, è contrario a tutti quei mezzi artificiali che impediscono il corso della natura circa la procre­azione, e respinge l'interruzione volontaria della gravidanza.

Sono i paesi islamici a detenere la palma dei massimi indici di natalità: la religio­ne islamica è natalista poiché insegna che la famiglia ha come fine la procreazione e che l'aborto equivale all'infanticidio; ma lo è anche perché consente al marito di ripudiare la moglie sterile (e quindi sposare un'altra donna) e perché ammette la poligamia.

L'attuale dinamica demografica dei paesi europei non è più in gra­do di assicurare il rinnovo delle generazioni e si va perciò alla ricerca di misure promozionali alla maternità.

L'influenza dei fattori sociali s'intreccia con quella dei fattori economici. Nel nostro mondo rurale la divisione ereditaria tra i figli secondo il diritto latino ha tenuto a freno la natalità: i piccoli proprietari terrieri, per non do­ver frantumare il loro patrimonio in tante quote ereditarie, tendono à limitare il numero dei figli.

Le direttive politiche, favorevoli o contrarie alla natalità, fanno modificare in un senso o nell'altro il comportamento di grandi masse di uomini.

Gli indici: dalla natalità "naturale" al controllo delle nascite

Lo studio comparato degli indici di natalità prende luce da un esa­me sintetico delle condizioni demografiche, sociali ed economiche delle popolazioni. Si suole stabilire una graduatoria in tre categorie:

paesi ad alta natalità, con indici superiori al 30 per mille;

paesi a media natalità (da 20 a 30 per mille);

paesi a bassa natalità con indici inferiori al 20 per mille.

L'alta natalità è propria dei paesi sottosviluppati. La bassa natalità è caratteristica dei paesi evoluti, dove il numero dei figli viene volontariamente limitato, o 'pianificato'. Nei paesi industriali, la procreazione è volonta­riamente limitata, la bassa natalità è un fatto diffuso e omogeneo sen­za sbalzi tra una regione e l'altra, o tra campagna e città, o tra le diverse classi sociali. La contrazione della prole è connessa non tanto ai riflessi economici quanto alle im­plicazioni sociali della 'rivoluzione industriale': cambiamento dei modi di vita, allentamento dei vincoli tradizionali della religione e della famiglia, evoluzione dei concetti di religiosità e di morale familiare.

Gli indici intermedi, dal 20 al 30 per mille, denotano un controllo soltanto parziale e riguardano situazioni diverse tra loro: da un lato paesi dove la limitazione delle nascite è frenata da remore religiose; dall'altro quelli dove è abbastanza diffusa, ma ancorata a un discreto numero di figli; infine piccole isole molto frequentate dal turismo internazionale.

Politiche demografiche

Il potere politico può intervenire sull'andamento demogra­fico imponendo delle direttive finalizzate a determinati scopi: la popolazione può essere oggetto di provvedimenti politici che incidono direttamente sulla natalità e sugli spostamenti di popolazione, o che indirettamente creano condizioni tali da indirizza­re gli individui a comportarsi secondo gli obiettivi prefissati.

A seconda degli scopi che intendono perseguire, le politiche demo­grafiche si classificano come popolazioniste e antipopolazioniste, ov­vero come nataliste (favorevoli ad una elevata natalità) e antinataliste (malthusiane). Si parla anche di una politica demografica conservatri­ce per indicare un'apparente non-politica, consistente nel lasciare che i processi demografici seguano il loro corso.

La percezione dei problemi demografici è legata a ca­ratteri culturali e ad abitudini di vita della popolazione. Poiché la popolazione si articola in segmenti diversamente caratterizzati, diverse saranno le percezioni dei problemi.

Il problema dell'eccessiva crescita della popolazione si pone a scala internazionale. Un'azione organica per la pianifica­zione delle nascite a livello mondiale inizia nel 1952 con la creazione deI Population Council al fine di moderare la procreazione nei paesi deI Terzo Mondo.

La sensibilità verso il problema demografico è cresciuta in seguito all'iniziativa delle Nazioni Unite di organizzare nel 1974 a Bucarest una 'Conferenza sui problemi della popolazione', dando seguito al movimento mondiale di opinione sul progressivo divario tra produzio­ne alimentare e crescita della popolazione.

Il 'Piano mondiale d'azione', varato a Bucarest si basa sul riconoscimento di una du­plice impossibilità: impossibilità di risolvere il problema demografico senza sviluppo socio-economico; impossibilità di liberarsi dal sottosvi­luppo senza padroneggiare la crescita demografica.

Se la conferenza di Bucarest nacque dalla preoccupazione dei pa­esi ricchi per il boom demografico, quella di Città deI Messico (1984) venne convocata sotto la pressione dei paesi in via di sviluppo che chiedevano aiuto in materia di pianificazione delle nascite, evidenziando lo stato di povertà delle masse deI Terzo Mondo, la situazione dei rifugiati, i risvolti della condizione femminile. La conclusione a Città deI Messico fu che l'intervento sulla povertà e sulla prolificità dei paesi in via di sviluppo non può essere disgiunta dalla richiesta di cambiamento dei mo­delli di vita e di consumo per evitare il deterioramento dell'equilibrio tra popolazione, risorse, ambiente.

Quando la fecondità è talmente diminuita da bastare appena al rinnovo delle generazioni, si parla di 'crescita zero': parallelamente i progressi medico-sociali fanno prolungare la durata della vita, per cui aumenta la percentuale di persone anziane.

La procreazione è anche un fatto sociale, poiché senza un certo numero di nascite la società rischia una crisi di sottopopolamento: bi­sogna rimuovere gli ostacoli che si frappongono ad un suffi­ciente livello di natalità.



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