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Maya




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Maya


Popolo amerindiano stanziato nell'America centro-settentrionale, fondatore della più antica civiltà precolombiana. Gli attuali Maya (ca. 2.000.000), dediti in gran parte all'agricoltura, parlano ancora la lingua dei loro predecessori e abitano le antiche sedi in cui fiorì la più splendida cultura del Nuovo Mondo.

La regione in cui si sviluppò la civiltà dei Maya comprende attualmente gli stati dello Yucatán, del Campeche, del Tabasco, la parte orientale del Chiapas e il territorio di Quintana Roo, nella Repubblica del Messico; il dipartimento di Peten e gli altipiani adiacenti, a sud, nel Guatemala; la parte occidentale dell'Honduras e tutto l'Honduras britannico, per un totale di ca. 320.000 kmq.

A differenza della civiltà degli Aztechi, che all'arrivo degli Spagnoli era storicamente ancora giovane, quella dei M. ebbe inizio in epoca remota. Per S. G. Morley (Gli antichi Maya, Firenze, 1958) essa si estende lungo un considerevole arco di tempo. Secondo questo eminente studioso, sulla base di ricerche archeologiche, etnologiche e antropologiche, il corso storico di tale civiltà sarebbe passato attraverso tre periodi: età pre-classica (ca. 1500 a.C. - 317 d.C.); età classica (317 d.C. - 889); età post-classica (889- 1697), che termina quando furono sottomessi gli ultimi M. organizzati.

L'età pre-classica ci attesta la presenza nella regione di Peten dei primi Maya Essi forse giunsero originariamente dal nord (Toltechi?) o subirono l'influenza di immigrati che provenivano dal Messico. Erano probabilmente tribù di nomadi che si trasformarono in sedentari ed agricoltori. Si ritiene che il loro stabilizzarsi in sedi permanenti sia da mettere in relazione con la scoperta della coltura del mais. Infatti, negli altipiani del Guatemala cresce una pianta selvatica, chiamata in lingua azteca teosit (erba degli dei), che secondo i botanici è da considerarsi la progenitrice del mais. Vasellame e resti di costruzioni sono testimonianze di questo periodo.

Dal 317 d.C. fino all'889 la civiltà dei Maya si sviluppa e raggiunge il massimo del suo splendore nell'odierno Guatemala e nelle zone adiacenti. Le rovine, fino a qualche decennio fa sepolte nelle foreste, a Palenque, Piedras Negras, Yaxchilan, Tikal, Uaxctum, Copan e Quiriguà, determinano l'estensione di quello che fu il dominio dei M., forse non un'unità politica, ma un complesso di città-stato. Sul finire del IX sec., in ca. 50 anni, tutte queste città furono abbandonate. Molte ipotesi sono state formulate per spiegare tale esodo: terremoti, modificazioni del clima, sopraggiungere di malattie epidemiche, guerre civili, invasioni di popoli stranieri, rivoluzioni interne, rovesciamento del potere sacerdotale, decadenza intellettuale, esaurimento del terreno agricolo. Congetture tutte plausibili, ma nessuna risolutiva. E' certo che dagli inizi del X sec. i Maya non costruirono più monumenti, templi e palazzi nel territorio dell'antico impero. In tal modo ha termine il periodo del loro massimo splendore.

Il terzo periodo, o età post-classica, vede il centro della civiltà dei Maya spostarsi più a settentrione, nella penisola dello Yucatán. Qui ebbe sede quello che è chiamato il nuovo impero. Le nuove condizioni ambientali devono aver influito in senso negativo sulla originaria cultura dei M., se possiamo constatare che in quest'epoca essi non raggiunsero l'antico splendore ed erano già in piena decadenza quando arrivarono gli Spagnoli.

Difficile è ricostruire l'organizzazione politica e sociale dei Maya durante il periodo classico e post-classico. E' probabile che le varie città fossero unite in una confederazione di governi, in cui un'alta casta sacerdotale doveva avere una parte preponderante. Infatti la mancanza di un'organizzazione militare e il rilevante peso della religione nella vita pubblica hanno fatto ritenere che i sacerdoti di un culto rigido e dogmatico abbiano avuto parte prevalente nel governo. La popolazione, costituita principalmente da agricoltori, abitava in piccoli gruppi nelle vicinanze dei terreni coltivati; nei giorni di mercato e in occasione di cerimonie religiose affluiva nelle città, centri religiosi e amministrativi. Il loro ordinamento sociale era rigidamente gerarchico, dominato da una casta ereditaria, ma tutte le risorse erano messe in comune. La casta privilegiata derivava il suo potere da una pretesa origine divina; aveva alla sua testa un capo politico, che rivestiva contemporaneamente la carica di sommo sacerdote. Costui, chiamato Halc-uinic (giusto uomo), con l'aiuto di numerosi funzionari, decideva sull'amministrazione del territorio e delle città a lui sottoposte, dirigeva le cerimonie, ordinava la costruzione dei templi, soprintendeva all'agricoltura e ai commerci.

In taluni campi delle conoscenze i Maya ci hanno lasciato delle sorprendenti testimonianze. Essi svilupparono una complessa e ricca scrittura geroglifica e calcolarono esattamente i cicli lunari, con l'approssimazione di un giorno su un periodo di trecento anni. Crearono un sistema di numerazione vigesimale (per venti), che veniva espresso con tre soli segni: il punto, che equivaleva a 1, la linea, che equivaleva a 5, e un segno particolare che significava zero. In combinazione fra loro, i segni davano altre cifre. Così, due punti 2, un punto e una linea 6, tre punti e tre linee 18, e via di seguito. Collocando poi questi numeri gli uni sopra gli altri, se ne moltiplicava, secondo certe norme, il valore. In tal modo i Maya riuscivano ad esprimere grandissimi valori numerici. Ma l'applicazione più interessante della scrittura, delle osservazioni astronomiche e del sistema di numerazione si ebbe nella elaborazione della cronologia. Nel loro calendario essi dividevano l'anno in 365 giorni, con un giorno intercalare ogni 4 anni, cioè quanto bastava per l'uso normale, e con 25 giorni intercalari ogni 104 anni, quando si trattasse di periodi piu lunghi. Oltre all'anno, si aveva anche un ciclo di 260 giorni, chiamato tzolkin. Questo curioso e, a prima vista, arbitrario periodo corrispondeva al tempo compreso tra i passaggi del sole, in autunno e in primavera, allo zenit della città di Copan. Tale epoca coincideva con il periodo fra la maturazione del mais e l'inizio della stagione delle piogge: due date di grande importanza per i M. Ogni tzolkin era collegato con l'anno, in modo che ogni giorno era compreso entro il minimo comune multiplo di 260 e 365, cioè 18.980 giorni, pari a 52 anni.

A giudicare dai soggetti pacifici delle sculture dell'età classica, la religione dei M. durante questo periodo deve essere stata di un tipo elevato e non basata quasi esclusivamente sui sacrifici umani, come fu quella dei tempi posteriori. Infatti, testimonianze degli scrittori spagnoli del XVI sec. e ritrovamenti archeologici ci confermano che l'idolatria e la pratica dei sacrifici umani fu introdotta nello Yucatán dall'influsso degli Aztechi. Originariamente la religione era monoteista. Hunab Ku era il supremo creatore e aveva tratto dal mais il genere umano. In seguito un gruppo di divinità più o meno importanti si affiancò a tale essere supremo. Comparvero così: Itzamna, dio del sole e del firmamento; Kukulcan, dio della saggezza, inventore del calendario, rappresentato in sembianze di serpente piumato; HunaHan, dio della morte e dei nove inferi. C'erano poi divinità della pioggia, dell'agricoltura, del terremoto e delle stelle.

Il culto nel periodo classico si limitava ad offerte di fiori, frutti, cani e tacchini. In periodo post-classico la religione assunse un carattere cruento e comparvero i sacrifici umani. In un gigantesco pozzo di 60 m di diametro, conosciuto come il cenote di Chich'enltzá (Yucatán) venivano gettate, in particolari solennità, fanciulle vive, riccamente adornate, come offerte sacrificali. Anche in caso di grande bisogno per tutta la comunità erano sacrificate vittime umane, specialmente allo scopo di far venire la pioggia durante le prolungate siccità. Salassi e scarnificazioni avevano una parte rilevante nella osservanza religiosa. Il sangue così ottenuto, come quello delle vittime sacrificali umane, era cosparso sugli idoli. I Maya credevano nell'immortalità dell'anima e nell'altra vita. Si riteneva che i morti fossero confinati nel mondo sotterraneo (mitnal) come castigo per le colpe commesse in vita, mentre il paradiso celeste era il premio per una vita ben spesa.

Legato alle pratiche del culto, era praticato dai Maya il gioco rituale della palla. Veniva svolto nei grandi cortili adiacenti ai templi da giovani appartenenti alla casta privilegiata. Il gioco della palla, in parte simile all'odierna pallacanestro, consisteva nel far passare la palla attraverso anelli di pietra fissati ai muri laterali e apparteneva al culto, in quanto simboleggiava il cammino degli astri e soprattutto del sole.

La migliore informazione sulla vita dei Maya ci è data dalle imponenti costruzioni architettoniche, dall'arte scultorea, dalle ceramiche e dalle pitture. I centri residenziali, sia nelle città più antiche che in quelle del periodo post-classico, comprendono piramidi a piattaforma, sulle quali avevano luogo le cerimonie religiose; templi ornati con grande profusione di sculture, ai quali si accedeva mediante ripide scalinate; palazzi di pregevole fattura decorati all'interno con disegni policromi. Oggi, attraverso queste testimonianze, e particolarmente dalla perfezione delle sculture, si può desumere quale genere di vita conducessero gli antichi Maya nei tempi di maggiore splendore. Capi di città, potenti sacerdoti, principi alteri, volti chiusi e impassibili, copricapi piumati, vesti sontuose, collane, bracciali,, ogni sorta di ornamenti, insegne del grado, prigionieri prostrati ci mostrano l'immagine della potenza e della raffinatezza di questi misteriosi personaggi, che hanno sfidato l'usura del tempo e la vigoria invadente della foresta. Ed è proprio attraverso la loro perfezione artistica che i Maya ci ripropongono continuamente l'enigma, solo in parte svelato, della civiltà da essi raggiunta.



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