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L'Italia dei comuni
Il Comune
Si ritiene abitualmente che l'anno 1000 sia un termine divisorio tra un periodo di contrazione economica, che si prolungava almeno dal V secolo, e il «grande sviluppo dell'Occidente» dall'XI al XIII secolo, seguito a sua volta dalle «crisi» del XIV e XV secolo.
La storiografia recente porta a rivedere , almeno in parte, questa periodizzazione. Da una parte, sembra che non vi sia stata una contrazione globale dell'economia nell'Alto medioevo; e d'altra parte il grande sviluppo dell'Occidente aveva avuto inizio ben prima dell'anno 1000. Se vi fu una recessione negli scambi, e soprattutto negli scambi a lunga distanza, tra il V e il X secolo, numerosi indizi testimoniano una crescita nell'economia rurale dalla fine dell'antichità in poi.
Dopo una serie di calamità, tra le quali le grandi epidemie di peste del VI e del principio del VII secolo, si cominciano a notare nuove terre messe a coltura. La prima metà del IX secolo sembra segnare una sosta nel processo di espansione economica, nel momento in cui si situa il breve apogeo politico dell'impero carolingio. Ma se vi fu interruzione nel processo di crescita, essa fu breve. Prima del 900, almeno nel sud dell'Europa, era già cominciata la grande espansione dell'Occidente che sarebbe durata almeno fino al XIII secolo
La fase della storia del Medioevo che coincide con la nascita e l'affermazione dei comuni in Europa occidentale, include il periodo che va dall'XI al XIV secolo, ed è contrassegnata dalla ripresa del ruolo politico delle città, dal lungo e sanguinoso conflitto tra poteri feudali e poteri corporativi cittadini e dal trionfo di forme di autogoverno cittadino.
Il movimento comunale è preceduto dalla nascita dei borghifranchi e delle villenove, originali insediamenti con funzioni militari e produttive che sottraggono parte dei tradizionali poteri sulla popolazione locale alla vecchia feudalità.
L'età dei Comuni iniziò sul finire del X secolo anche grazie al consolidamento del potere imperiale da parte degli Ottoni. Esso comportò una maggiore sicurezza delle strade e dei rapporti commerciali e, soprattutto, la sottrazione delle città al dispotismo della nobiltà feudale locale grazie alla nomina imperiale di vescovi-conti che le si sostituivano.
Ne trassero giovamento le attività tipicamente urbane come la produzione artigianale e manifatturiera, la mercatura, l'intermediazione finanziaria e tutti gli uffici, soprattutto di carattere giuridico, a esse collegate.
A queste attività si volsero parte della vecchia aristocrazia e nuovi gruppi sociali formati da villani, inurbati per sfuggire alle sopraffazioni feudali nelle campagne. I vescovi, sia che fossero a loro volta protetti dall'imperatore, sia che invece si appellassero al papa, arrivarono ad avere milizie proprie, a battere moneta, a emanare leggi e statuti.
I nuovi ceti urbani tesero dapprima a salvaguardare le proprie attività creando apposite associazioni di mestiere (che, a seconda dei luoghi prendevano il nome di arti, corporazioni, gilde) che si davano propri codici di comportamento.
Quindi, sulla base di queste associazioni, si costituirono strutture di amministrazione cittadina tendenti a governare l'insieme dell'assetto urbano, soprattutto nei rapporti con il potere feudale e con quello vescovile, di volta in volta giocando sull'appoggio di questi due poteri impiegati l'uno contro l'altro.
Questo tipo di sviluppo toccò soprattutto le città dell'Italia centro-settentrionale, della Francia settentrionale, dell'Inghilterra meridionale, delle Fiandre, della Germania fluviale e baltica, ma esemplare fu lo sviluppo delle città italiane, sia nella forma assunta dai Comuni che in quella delle Repubbliche marinare.
L'autogoverno cittadino, che raramente o solo per brevi periodi riuscì ad affermarsi in assoluta autonomia, ebbe dapprima forma collegiale (con i consoli, modellati sulla suprema magistratura della Roma repubblicana); in tali comuni che potremmo definire "aristocratici" non vi era tuttavia chiarezza sull'estensione dei poteri comunali.
La concezione feudale della sovranità, che confondeva l'investitura personale con l'autorità politica, creava una molteplicità di poteri spesso sovrapposti e facilmente contrapponibili tra loro. Ciò permise un gioco di alleanze esterne e interne alle città, che comportò quasi ovunque lo scontro tra fazioni cittadine facenti capo a famiglie rivali, alleate ciascuna a potentati estranei interessati al controllo della città: i feudatari locali, il vescovo, il re, l'imperatore, il papa.
Per cercare di ovviare a queste dispute, in molte città italiane le corporazioni cercarono nell'XI-XII secolo di accordarsi, delegando il potere cittadino a una personalità di città diversa, il podestà (comune podestarile); ciò non mise tuttavia fine alle rivalità intestine e allo stesso tempo pose le città in balia delle ambizioni del nuovo venuto.
Gli scontri che ne derivavano andavano poi a intrecciarsi con la lotta per le investiture tra papa e imperatore.
A seconda dell'autorità alla quale si appoggiavano, le fazioni familiari cittadine prendevano nome dai due grandi partiti dei guelfi o dei ghibellini (di cui tratteremo ancora successivamente).
Anche in Germania sorsero numerose città libere, molte delle quali, particolarmente floride, formarono la famosa e potente Lega anseatica, che formava una sorta di stato federale di fatto all'interno dell'impero, autonomo dai principati locali. Le città anseatiche godettero di diritti di autogoverno autonomo fino alla proclamazione del Reich tedesco (1871) e, in una certa misura, anche dopo.
In Italia la Lega lombarda, costituita nel 1167 dalle città di Cremona, Mantova, Bergamo e Brescia, cui si unirono successivamente Parma, Padova, Milano, Verona, Piacenza e Bologna, riuscì a sconfiggere l'imperatore Federico I Barbarossa nel 1176 a Legnano e a strappare, con la successiva pace di Costanza (1183), il riconoscimento di molte prerogative comunali (come vedremo meglio nella prossima lezione).
Sullo scorcio del XIII secolo, infatti, in quasi tutti i maggiori Comuni italiani prendevano il sopravvento le fazioni guelfe, che estromettevano le famiglie ghibelline e finivano, attraverso alterne e non uniformi vicende, a imporre la propria signoria sulla città.
Questo fu il caso del maggior Comune dell'Italia settentrionale, Milano, dove i Visconti si imposero sui Torriani, e quelli di Padova, con i Carrara, di Verona (Scaligeri), Treviso (Da Camino) e altri.
Questo segnò quindi la progressiva fine dei comuni e il trapasso dall'età comunale all'età delle Signorie, trapasso che non fu però ovunque omogeneo e contemporaneo.
Altrove invece l'autogoverno comunale si irrigidì nella forma di repubblica oligarchica (Genova e Venezia).
A Firenze, in forma più manifesta che altrove, lo scontro tra le fazioni familiari si intrecciò a profondi rivolgimenti sociali, che determinarono l'ingresso sulla scena politica di nuovi soggetti, sempre più svincolati dal possesso della terra e legati alle nuove attività propriamente urbane, sia artigianali che mercantili e finanziarie. Una volta vinto lo scontro con i ghibellini, i guelfi fiorentini si divisero a loro volta in Bianchi e Neri. Il precario equilibrio di potere oligarchico tra ceti aristocratici e borghesia emergente per governare il Comune fu spezzato nel 1378 dal tumulto dei Ciompi, da cui prese le prime mosse l'egemonia dei Medici, una famiglia di banchieri che cercò prevalentemente l'appoggio dei ceti popolari (come vedremo meglio in seguito).
Nel campo dell'arte, in Italia, le autonomie cittadine riuscivano a esprimersi nella dignità e nella potenza delle forme romaniche e gotiche attingendo movimento, luci e ombre dal pulsare della vita quotidiana, trovando la sua massima espressione negli affreschi di Giotto e della sua scuola.
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