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La follia della natura




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La follia della natura


Anche in natura si può parlare di follia, una follia provocata dall'uomo e dal suo comportamento nei suoi confronti. Ha provocato il riscaldamento globale che, dovuto all'effetto serra, costituisce una delle principali minacce di carattere ecologico incombenti sull'umanità. Nonostante i primi allarmi, i livelli di anidride carbonica nell'atmosfera stanno crescendo rapidamente e ciò comporta un elevato aumento della temperatura che, dagli inizi del '900, sottopone la Terra a continui cambiamenti climatici creando significativi squilibri negli ecosistemi e nella salute umana. Sembra quasi che il clima stia impazzendo: è imprevedibile, muta repentinamente. Aumenta il pericolo di alluvioni, trombe d'aria, tifoni dopo periodi anomali di lunga siccità, i terreni franano, non reggono più le persistenti aggressioni erosive e umane. Dell'azione umana ne risente soprattutto la natura che diventa sempre più debole e si risveglia apparendo una folle entità.

Anche l'attività sismica e vulcanica della Terra può sembrare all'uomo pura follia.


I terremoti.


Un terremoto, o sisma, è una vibrazione più o meno forte del terreno prodotta da una rapida liberazione di energia meccanica in qualche punto all'interno della Terra. Questo punto in cui l'energia si libera è detto ipocentro ( o fuoco ) del terremoto: da esso l'energia si propaga per onde sferiche che, pur indebolendosi, attraversano tutta la Terra e possono essere registrate dagli strumenti in tutto il mondo.

Queste onde elastiche sono causate dalla deformazione o frattura di masse rocciose nel sottosuolo, che si deformano progressivamente fino a che non viene raggiunto il limite di rottura: allora si innesca una  lacerazione a partire dal punto più debole e si crea una faglia, lungo il cui piano le rocce possono scorrere le une contro le altre in direzioni opposte. Le due parti della massa rocciosa originaria reagendo elasticamente riacquistano il loro volume e la loro posizione di equilibrio, con una serie di rapide vibrazioni che si trasmettono alle masse rocciose circostanti. Il comportamento delle rocce ai due lati della faglia è simile a quello di un elastico che si deforma quando viene teso e che, se si rompe, ritorna bruscamente nelle condizioni iniziali. Secondo il modello del rimbalzo elastico con il brusco ritorno all'equilibrio, l'energia accumulata durante la deformazione si libera, in parte sottoforma di calore prodotto dall'attrito lungo la superficie della faglia, in parte sottoforma di violente vibrazioni che si propagano come onde sismiche verso tutte le direzioni.

Questa energia si disperde nel terreno dall'ipocentro in tutte le direzioni in forma di onde che possono essere di due tipi: le onde P e le onde S. Le onde P (primarie o longitudinali) provocano al loro passaggio delle oscillazioni delle particelle avanti e indietro nella stessa direzione di propagazione dell'onda; la roccia subisce rapide variazioni di volume, comprimendosi e dilatandosi. Sono le onde più veloci e possono propagarsi in ogni mezzo.

Le onde S (secondarie o trasversali) provocano l'oscillazione delle particelle perpendicolari alla direzione dell'onda; la roccia subisce variazioni di forma ma non di volume. Sono  meno veloci delle onde P e non possono propagarsi attraverso i fluidi dove si smorzano rapidamente.

Le onde P e S si generano nell'ipocentro e sono chiamate onde di volume o interne, ma non sono le sole onde in un terremoto.

Quando le onde interne raggiungono la superficie si trasformano in onde superficiali che si propagano dall'epicentro lungo la superficie terrestre, mentre si smorzano rapidamente con  la profondità. Sono le onde di Rayleigh, onde R, in cui le particelle compiono orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione. Onde superficiali sono anche le onde di Love, o onde L, in cui le particelle oscillano trasversalmente alla direzione di propagazione, ma solo nel piano orizzontale.

La registrazione del movimento sismico si chiama sismogramma, una traccia lasciata da un pennino su una striscia di carta che ruota a mezzo di un rullo solidale con il suolo: si registrano così le vibrazione del terreno rispetto ad una massa sospesa che tende a rimanere immobile. Questo strumento si chiama sismografo e ne esistono di tre tipi che funzionano contemporaneamente nelle stazioni sismiche: uno libero di muoversi soltanto lungo la verticale; gli altri due liberi di muoversi solo sul piano orizzontale, lungo due direzioni tra loro perpendicolari.

Nell'area prossima all'epicentro il sismogramma appare molto complicato o confuso, sia per l'ampiezza delle oscillazioni, sia per l'arrivo dei vari tipi di onde. A una certa distanza dall'epicentro, invece, i gruppi di onde cominciano a separarsi e nel sismogramma si riconosce una struttura fondamentale.

L'inizio delle oscillazioni e la parte del sismogramma corrispondono all'arrivo dalle onde P; nella parte centrale all'arrivo delle onde P si sovrappone quello delle onde S; nell'ultima parte compaiono prevalentemente le onde superficiali, più lente ma più ampie.

Dalla lettura di un sismogramma si possono ricavare varie informazioni come la potenza e la durata di un terremoto, la posizione dell'epicentro, la profondità dell'ipocentro, la direzione e l'ampiezza del movimento lungo la faglia che ha generato un terremoto, l'orientamento e l'estensione di quest'ultima; si ricavano dati anche sulla struttura interna della Terra.

L'uomo ha sempre cercato di valutare la forza di un terremoto, attraverso i danni e gli effetti provocati e basandosi, quindi, sulla sua intensità.

In Europa e in America la scala d'intensità più usata è la scala Mercalli, divisa in 12 gradi, basata solo sull'entità e sulla quantità dei danni prodotti su persone, su manufatti e sul terreno.

Sono i dati macrosismici di un terremoto e si riferiscono all'area entro cui esso è stato percepito.

Questo tipo di studio viene effettuato rilevando, attraverso l'uso di opportuni questionari, i danni e le reazioni delle persone confrontando i dati raccolti con la scala d'intensità.

Ad ogni località viene assegnato un grado d'intensità che risulterà massimo nella zona dell'epicentro e via via decrescente in località sempre più lontane.

Si riportano i valori d'intensità su una rappresentazione grafica e si tracciano delle linee di confine tra le zone in cui il terremoto si è manifestato con intensità diverse: si ottiene così una serie di curve, definite isosime, la più interna delle quali contiene l'epicentro.

Le registrazioni strumentali dei terremoti hanno fornito anche il mezzo per poter valutare la "forza" di un terremoto.

Se per due terremoti distinti ma con lo stesso epicentro si mettono a confronto i sismogrammi registrati in numerose stazioni poste a varie distanze, si osserva che il rapporto tra l'ampiezza massima registrata è sempre la stessa, a parità di distanza dalla sorgente, quindi, un terremoto più forte di un altro fa registrare sul sismogramma oscillazioni più ampie.

L'ampiezza massima delle onde ( indicata con A) può essere usata come misura di "grandezza" di un terremoto se viene messa a confronto con l'ampiezza massima (A0) delle onde fatte registrare da un terremoto standard che produce onde di ampiezza massima di 0.001 mm su un sismografo standard posto a 100 km di distanza dall'epicentro.

Poiché i valori che si ottenevano erano troppo grandi, Charles F. Richter, sismologo che si propose di misurare la magnitudo di un terremoto, decise di utilizzare la scala logaritmica: la magnitudo è espressa dal logaritmo in base dieci del rapporto fra l'ampiezza massima del terremoto e l'ampiezza che verrebbe prodotto da un terremoto standard alla stessa distanza epicentrale.


M = log10 A - log10 A0

Bisogna però precisare che intensità e magnitudo non dipendono l'una dall'altra, dato che la prima si riferisce agli effetti provocati da un terremoto in una certa zona e la seconda è una misura strumentale della forza del terremoto nel punto in cui si è originato.

Sono state trovate solo delle relazioni empiriche che legano questi due concetti.




Una constatazione che risulta evidente dall'osservazione della distribuzione a scala planetaria dei terremoti è che essi non avvengono con la stessa frequenza su tutta la Terra, ma sono concentrati in alcune aree ben definite da un punto di vista geologico. I terremoti avvengono principalmente in una ristretta fascia che circonda l'Oceano Pacifico ed è connessa alle recenti catene a pieghe, che formano il margine pacifico del continente americano, ed una serie di isole vulcaniche che bordano la costa pacifica del continente asiatico e dell'Australia. Il 75 % dell'energia associata a terremoti con ipocentro meno profondo di 70 Km. avvenuti tra il 1904 ed il 1952 è stata liberata nella fascia circumpacifica. Un ulteriore 23 % dell'energia sismica liberata nello stesso periodo è concentrato nella fascia di catene montuose recenti che va dal Mediterraneo all'Himalaya e negli archi di isole connessi (Egeo, Eolie). Il restante 2% è legato in gran parte a terremoti che avvengono lungo le dorsali medio - oceaniche. Appare quindi chiaro che l'ubicazione dei terremoti caratterizza i tratti fondamentali delle strutture litosferiche, giacchè: a) segue perfettamente l'andamento delle varie dorsali oceaniche; b) delinea i margini dell'intero oceano Pacifico e dell'oceano Indiano orientale, caratterizzati da vistosi fenomeni recenti di tettonica compressiva; c) si addentra nelle masse continentali rivelando l'instabilità delle grandi linee di sutura in corrispondenza delle catene corrugatesi durante il ciclo Alpino - Himalayano. Nella teoria della tettonica a zolle la distribuzione degli epicentri sismici è considerata marcare i limiti tra zolle di litosfera, in moto relativo tra di loro, nelle quali è divisa la superficie terrestre. Una suddivisione ancora più netta si ottiene se si prendono in considerazione solo i terremoti intermedi (profondità compresa tra 70 e 300 Km.) e profondi (profondità superiore a 300 Km.). Questi, infatti, sono ancora maggiormente concentrati lungo la cintura circumpacifica. Il terremoto più profondo è avvenuto, ad una profondità di 720 Km.. Se gli ipocentri dei terremoti intermedi e profondi che avvengono in una determinata regione vengono proiettati su di un piano verticale orientati perpendicolarmente alla direzione dell'arco di isole, essi definiscono un piano che immerge con un angolo variabile tra 30° e 70° al di sotto dell'arco di isole verso il bacino marginale. Questo piano è chiamato 'Benioff' o 'Benioff-Wadati' dal nome dei primi geofisici che ne hanno mostrato l'esistenza. Lo spessore del piano di Benioff, definito dalla distribuzione dei terremoti, è variabile da circa 25 Km. nel caso delle Tonga a più di 100 Km. nel caso del Giappone e di altri archi di isole. E' possibile però che almeno parte della variazione sia dovuta a dispersione degli ipocentri dei terremoti a causa di errori nella loro ubicazione. La teoria della tettonica a zolle interpreta questi piani come zolle litosferiche subdotte nell'incontro tra due zolle di litosfera in movimento convergente. La distribuzione dell'energia sismica liberata non è però uniforme per tutta la lunghezza del piano di Benioff. Spesso l'attività sismica raggiunge un minimo a profondità comprese tra 150 e 250 Km. e tra 400 e 500 Km, indica

una possibile variazione della rigidità della litosfera in questi intervalli.

Sulla base dei dati sismici la Terra è stata suddivisa in quattro involucri principali: la crosta, il mantello, il nucleo esterno e il nucleo interno. La più importante discontinuità, a partire dalla superficie terrestre, è la discontinuità di Mohorovicic (scoperta appunto da questo sismologo Jugoslavo nel 1906) detta semplicemente Moho. In corrispondenza di questa la velocità delle onde P passa da 6.8 - 7.3 Km/s a circa 8 Km/s e si trova ad una profondità variabile tra i 5 e i 90 Km. La profondità a cui si trova questa discontinuità sarà più vicina alla superficie in corrispondenza della crosta oceanica e raggiungerà valori più alti al di sotto dei continenti. Recentemente lungo l'asse della dorsale media - oceanica atlantica, presso le Azzorre, si è misurato uno spessore della crosta di soli 3 Km. Nell'area delle Alpi e dell'Italia questa profondità varia notevolmente: al di sotto dei monti si trova a circa 55 Km di profondità, mentre per il resto dell'Italia si trova a circa 30 km.

Tale discontinuità divide quindi la crosta Terrestre dal mantello; quest'ultimo costituisce la maggior parte della Terra sia come volume (circa 84%), sia come massa (circa il 68%), ed è separato dal nucleo dalla discontinuità di Gutenberg alla profondità di 2.900 Km.
Nel mantello sono inoltre presenti altre tre discontinuità meno importanti (a 400 Km, a 650 Km, e a 1050 Km) che sono legate ad un mutamento della composizione del mantello stesso e creano una zona di transizione. Il mantello è principalmente diviso in mantello superiore, che va dalla discontinuità di Mohorovicic ad una profondità di circa 400 Km, e mantello inferiore, che arriva ad una profondità di 2900 Km. Tra i due si trova la zona di transizione (tra i 400 e 1050 Km). Il mantello superiore può essere a sua volta diviso in astenosfera, che si trova tra i 70 e 250 Km ed è costituita parzialmente da materiale fuso, e litosfera, che invece è rigida. Quindi è la roccia fusa nell'astenosfera che, risalendo attraverso fratture della litosfera, da vita ai vulcani e non solo. Al di sotto del mantello inferiore vi è il nucleo che si estende da circa 2900 Km fino al centro della Terra (6371 Km) ed ha un volume pari al 16% del totale, ma la sua massa è ben il 31% .E' diviso in nucleo esterno e nucleo interno dalla discontinuità di Lehemann.

Per analogia con le meteoriti metalliche, derivate dalla disgregazione di un corpo celeste di cui costituivano la parte più interna, si ritiene che il nucleo interno sia formato in prevalenza da ferro e nichel e che quest'ultimo sia presente in quantità comprese tra il 10 e 20%. Il nucleo esterno che è liquido (poiché le onde S non vi si propagano) è composto da una piccola percentuale di nichel (2%) e una quantità (al massimo del 15%) di un altro elemento più leggero, che potrebbe essere zolfo, silicio o ossigeno, e arriva a circa 5200 Km di profondità (è da questo che si origina gran parte del campo magnetico terrestre). Il nucleo interno è, infine, ritenuto solido.



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