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La struttura interna della Terra
Il modello della struttura interna della Terra è stato accuratamente riprodotto grazie allo studio delle onde sismiche e alla fabbricazione di più sofisticati sismografi. Le onde sismiche riescono a determinare la struttura, lo stato fisico e la composizione del globo terrestre.
La velocità dei vari tipi di onda varia a seconda della densità del materiale attraversato, inoltre le onde possono seguire percorsi complessi, venire rifratte o riflesse, subire variazioni di velocità nel passaggio da uno strato ad un altro. Attraverso lo studio dei dati raccolti nei sismogrammi, del tempo che intercorre tra la produzione di un onda e il momento in cui viene registrata, si tenta di capirne il percorso.
Dai dati raccolti si è notato che non sempre a un doppio percorso corrisponde un doppio tempo di arrivo i materiale attraversati trasmettono le onde con velocità diverse.
In base ai dati raccolti si è costruito un modello terrestre con densità e stato fisico tali da giustificare il comportamento delle onde, poi si è cercato di capire la composizione dei materiali, studiabili solo in laboratorio creando condizioni di temperatura e pressione simili alla Terra.
Analizzando le onde P e S si è visto che subiscono variazioni di velocità a determinate profondità, dove vengono riflesse o rifratte si è supposto che dove avvengono questi cambiamenti ci sia un passaggio da uno strato all'altro con differente densità o rigidità.
Le superfici che separano zone con caratteristiche diverse si chiamano superfici di discontinuità. Le due principali separano la crosta dal mantello e il mantello dal nucleo.
Nel 1909 Mohorovicic notò che le dromocrone delle onde P a una data profondità si incurvavano verso l'alto. Ne dedusse che ad una profondità di 50 km le onde venivano accelerate bruscamente stabilì l'esistenza di uno strato che non ha le caratteristiche chimiche e fisiche uguali alla crosta, la discontinuità di Moho, che separa la crosta dal mantello. Al livello di tale discontinuità anche le onde S accelerano. Tale discontinuità non ha una profondità costante ma varia da regione a regione. Studiando le rocce della superficie e quelle raccolte in profondità si sono notate differenze nella composizione chimica delle rocce che provocherebbero appunto il cambiamento di velocità. La Moho è dunque una superficie di discontinuità chimica.
Nel 1924 Gutenberg scoprì una seconda discontinuità al livello della quale la velocità delle onde P diminuisce sensibilmente e le onde S vengono completamente fermate. Questa discontinuità venne ipotizzata per spiegare la presenza di un cono d'ombra nei terremoti, cioè una zona dove non si avvertono gli effetti delle onde P. In realtà gli effetti si avvertono ma in maniera molto debole per Gutenberg fu una prova per dimostrare l'esistenza di un nucleo con caratteristiche diverse rispetto al sovrastante mantello: la discontinuità di Gutenberg che separa appunto queste due zone. La sua profondità è costante. Il fatto che le onde P perdano velocità induce a pensare che il nucleo si trovi allo stato fuso (infatti le onde P perdono velocità passando da un solido ad un liquido). Questa discontinuità è dunque un limite fisico, che separa uno strato solido da uno liquido, e un limite chimico, tra mantello e nucleo con composizione molto diversa.
Esistono anche discontinuità minori, la più importante delle quali è la discontinuità di Lehmann, che divide il nucleo esterno dal nucleo interno.
La Terra risulta costituita da zone concentriche separate dalle superfici di discontinuità.
La crosta, la zona più superficiale e la più conosciuta. Ha composizione eterogenea e vario spessore. Il suo limita inferiore è la discontinuità di Moho.
Il mantello, la zona sotto la crosta, compreso tra la discontinuità di Moho e quella di Gutenberg. Ha densità maggiore rispetto alla crosta. Nella zona superiore prevalgono silicati ferro-magnesiaci, nelle zone più profonde solfuri, ossidi e silicati.
Il nucleo, la zone più interna della Terra costituita da ferro e nichel. Ha densità elevata.
La crosta terrestre è l'involucro del nostro pianeta, non è omogenea per composizione e ha notevoli variazioni di spessore: lo spessore è massimo in corrispondenza dei continenti (in particolare delle catene montuose), e minimo sui fondali oceanici. Ma le differenze tra crosta continentale e oceanica non si limitano allo spessore.
La crosta continentale si estende su tutta la superficie dei continenti e sulle piattaforme continentali fino al limite della scarpata. E' suddivisa in strati con diversa composizione. La zona superiore della crosta continentale è composta prevalentemente da rocce sialiche ricoperte da sedimenti, le rocce sono eterogenee per composizione e genesi (magmatiche, sedimentarie, metamorfiche). La crosta ha subito e subisce effetti deformanti: le regioni più deformate sono in corrispondenza delle catene montuose. Lo studio della zona più profonda della crosta è ancora incerto: secondo ipotesi anch'essa avrebbe una struttura eterogenea dominata dalla presenza di rocce metamorfiche.
La crosta oceanica ha spessore molto ridotto ed ha composizione più uniforme e regolare. Ha composizione prevalentemente femica ed ha densità più elevata. È costituita da strati sovrapposti: uno strato superficiale di sedimenti, uno strato di basalti (il vero pavimento oceanico) e uno strato di gabbri. Lo strato più esterno è formato da sedimenti incoerenti con spessore ed età variabili. Al di sotto troviamo una copertura basaltica generata dall'attività vulcanica sottomarina delle dorsali. Ancora più in profondità troviamo lo strato di gabbri (con composizione mineralogica uguale ai basalti hanno la stessa origine).
Il mantello, compreso tra le due discontinuità principali, ha uno spessore considerevole. Separa il nucleo dalla crosta. Le informazioni su esso sono state ricavate dallo studio del magma basaltico che si produce in questa zona. Anche le onde sismiche ci hanno fornito numerevoli informazioni: grazie alle numerose variazioni di velocità che queste subiscono, si è rilevata la presenza di più strati, ed in particolare la distinzione tra un mantello superiore ed un mantello inferiore. La composizione del mantello è piuttosto omogenea ma le enormi variazioni di temperatura e pressione provocano differenze notevoli.
Il mantello superiore ha composizione simile alle peridotiti che contengono prevalentemente olivina e pirosseni. La zona sottostante la Moho, detta mantello litosferico, è rigida e più densa della crosta ( dimostrato dall'incremento di velocità delle onde). Il mantello litosferico, dal punto do vista dinamico, è in continuità con la crosta sovrastante, si comportano come un unico e rigido blocco. A questo involucro, composto dalla crosta e dalla parte rigida del mantello superiore viene dato il nome di litosfera. La litosfera è caratterizzata da velocità elevate e crescenti e una buona capacità di trasmettere le vibrazioni sismiche. La litosfera ha spessore diverso sotto le aree continentali ed oceaniche a causa del loro diverso spessore. Non è un involucro continuo: una serie di fratture la attraversano per l'intero spessore e la suddividono in placche rigide a contatto l'une con le altre.
Sotto la litosfera è stata individuata una zona entro la quale la trasmissione delle onde è difficoltosa. Questa zona è detta astenosfera, dove la velocità delle onde si riduce per la maggior plasticità del mezzo di propagazione, parzialmente fuso. Tra astenosfera e mantello litosferico non sembra che vi siano differenze di composizione. La distinzione è invece fisica: a una zone rigida (litosfera) si oppone un'astenosfera viscosa, non completamente allo stato fuso. La mobilità della litosfera è legata alla presenza dell'astenosfera sulla quale galleggia.
Sotto il limite inferiore dell'astenosfera i materiali riacquistano rigidità e ritornano allo stato solido aumento della velocità delle onde. Questa zone è detta mesosfera. L'accelerazione delle onde sismiche avviene per un cambiamento dell'organizzazione cristallina dei materiali: l'olivina sotto l'influenza della forte pressione e temperatura, lascia il posto allo spinello, minerale con la stessa composizione ma organizzazione spaziale degli atomi più compatta che aumenta la densità.
Un nuovo incremento di velocità si osserva nel passaggio tra mantello superiore e inferiore.
Nel mantello inferiore è probabile che si verifichi un ulteriore cambiamento dell'organizzazione spaziale degli atomi, più adatta alle condizioni fisiche esistenti: dai silicati di ferro e magnesio si formerebbero ossidi metallici semplici. La velocità delle onde sismiche aumenta gradualmente.
Fenomeni orogenetici pag. 336
Le montagne sono organizzate in catene lunghissime con rilievi aventi tutti la stessa età e caratteristiche geologiche simili si sono formate contemporaneamente.
Il termine orogenesi significa formazione delle montagne e si riferisce ai processi che sono rivolti alla costruzione di una catena montuosa.
Secondo la tettonica a zolle le forze che creano le catene montuose agiscono lungo i margini di convergenza, dove la subduzione provoca una compressione dei sedimenti e delle rocce e causa un'intensa attività magmatica.
Subsidenza fenomeno tettonico di lento e continuo abbassamento di una zona della crosta terrestre. In seguito a questi fenomeni si originano delle depressioni detti bacini.
Geosinclinale area estesa e allungata del fondale oceanico in cui si verifica un'intensa sedimentazione. A causa del peso dei sedimenti il geosinclinale è soggetto a sprofondamento, fenomeno spiegabile con l'isostasia: accumuli di sedimenti appesantiscono la crosta e determinani uno sprofondamento lento e graduale.
L'orogenesi si attua essenzialmente lungo i margini convergenti delle zolle e, a differenza della teoria delle geosinclinali, la teoria della tettonica a zolle non prevede un processo regolare di eventi per la creazione di una catena montuosa.
Le geosinclinali si attuano lungo i margini continentali ove interagiscono zolle e zone di subduzione.
Una catena montuosa si forma quando c'è subduzione di litosfera oceanica lungo il margine continentale o quando due continenti entrano in colllisione. Dai due fenomeni si creano catene montuose con caratteristiche diverse.
Nella tettonica a zolle quando la litosfera oceanica scivola sotto un continente, lungo la costa si forma una fossa di subduzione, separata dal continente da un bacino sedimentario (intervallo arco-fossa) fossa non troppo profonda per il continuo deposito di sedimenti. I sedimenti che si accumulano sulla piattaforma continentale vengono deformati e sollevati (trascinati dalla placca oceanica), formando un corrugamento sul bordo del continente. Si formano pieghe e sovrascorrimenti che innalzano sequenze di sedimenti continentali o di mare (torbiditi), insieme a frammenti di fondale oceanico che si salda con la crosta. Quando la litosfera oceanica in subduzione raggiunge il mantello, comincia a fondere e a formare magma che risale, causando la frattura della crosta sovrastante. Una parte di magma solidifica in profondità formando batoliti, un'altra parte alimenta vulcani, formando così sul continente una cordigliera, cioè un arco magmatico che talvolta può trovarsi staccato dal continente da un bacino marino. La risalita del magma provoca rigonfiamenti e fenomeni metamorfici e il notevole ispessimento della crosta.
Spesso la regione retrostante alla catena di deforma oppure si forma una depressione chiamata bacino retroarco che possono andare incontro a subsidenza ed essere invasi dalle acque marine.
La catena montuosa è dunque il frutto di un'intensa attività magmatica. E' formata da rocce anche sedimentarie depositatesi nel bacino retroarco o nella fossa. Queste rocce subiscono metamorfosi per le alte temperature e le compressioni. Lo scontro di due blocchi continentali provocano la chiusura del bacino oceanico che le separava, nessuna delle due placche scende verso la litosfera, ma il movimento continua finché una delle due placche scivola sull'altra.
L'aspetto della superficie terrestre pag.496
L'aspetto della superficie terrestre è il risultato di una lunga serie di trasformazioni. La superficie terrestre è il luogo in cui i processi dinamici che riguardano atmosfera, idrosfera e biosfera (processi esogeni) interferiscono con la litosfera e in cui le grandi strutture primarie generate dai processi endogeni vengono modificate e intaccate dalle forze esogene.
Le forme della Terra sono in continua evoluzione, dal loro studio si hanno informazioni sui fattori che le hanno determinate, sulle condizioni climatiche in cui si sono evolute.
Geomorfologia scienza che studia la configurazione generale della superficie terrestre, l'evoluzione del paesaggio e i processi che lo modellano. L'oggetto di questa scienza sono gli agenti esogeni, la cui azione si articola in degradazione, erosione, trasporto e sedimentazione.
L'insieme delle modifiche operate sui rilievi è il modellamento e i processi con i quali si modificano sono i processi morfogenetici.
Non si devono comunque sottovalutare gli agenti endogeni che determinano le caratteristiche primarie del paesaggio, la natura e le proprietà delle rocce su cui agiscono gli agenti esogeni.
I processi esogeni ed endogeni richiedono energia: per la dinamica endogena l'energia proviene dal calore residuo e dal decadimento degli elementi radioattivi, l'energia dei processi esogeni proviene dal Sole.
Il modellamento del rilievo ha inizio con la degradazione meteorica disgregazione e disfacimento delle rocce affioranti, attraverso processi chimici e fisici. Così si formano i detriti. La degradazione non livella i rilievi con velocità costante ovunque infatti diverse rocce resistono in modo differente e possono subire trasformazioni diverse in varie condizioni climatiche. I detriti possono accumularsi e formare una coltre o essere trasportati altrove. La coltre col tempo si arricchisce formando il suolo che subisce una trasformazione diversa (condizionato dalla presenza o meno di vegetazione).
L'erosione consiste nella rimozione dei detriti ed è operata dai medesimi fattori che in seguito possono trasportarli altrove. Erosione e trasporto modellano la superficie terrestre più efficacemente della degradazione. Il trasporto è regolato fondamentalmente dalla gravità.
La sedimentazione dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche dell'ambiente e dell'agente di trasporto che ha operato. Gli ambienti di sedimentazione sono classificabili in tre categorie: ambienti continentali, marini, di transizione.
La sedimentazione non rappresenta l'ultimo stato perché i sedimenti possono andare ancora incontro a nuove trasofmazioni.
Tutte le rocce esposte all'azione di agenti atmosferici e degli organismi, subiscono degradazione. La resistenza di una roccia alla degradazione varia in base alla composizione mineralogica e dipende dalla natura degli agenti atmosferici a cui viene esposta. La degradazione meteorica comprende i processi di alterazione fisica e chimica e il prevalere dell'una o dell'altra dipende dal clima. L'alterazione chimica è influenzata dalle condizioni climatiche (temperatura, umidità, precipitazioni). Per individuare meglio le cause e gli effetti vanno studiate singolarmente.
L'alterazione fisica, detta disgregazione, comporta la frantumazione e lo sgretolamento della roccia compatta e dà luogo alla formazione di frammenti di varie dimensioni con composizione identica alla roccia da cui derivano.
I processi che la causano sono le variazioni diurne di temperatura, l'azione di gelo e disgelo, la precipitazione di sali in seguito all'evaporazione, la variazione di pressione e l'attività degli organismi.
La frantumazione delle rocce a causa delle brusche variazioni di temperatura nell'arco di una giornata, è detta termoclastismo. Ad un aumento di temperatura corrisponde una dilatazione termica, e ad un rapido raffreddamento una contrazione della roccia. Il processo non avviene in modo omogeneo perché la parte esterna ed interna della roccia reagisce in modo diverso, come anche i singoli minerali che la compongono. Le escursioni termiche sono più efficaci se la roccia è impregnata d'acqua (gelando aumenta il volume e provoca la rottura della roccia). Questo processo è chiamato crioclastismo o gelivazione.
In modo analogo agiscono i sali che possono essere disciolti nelle acque superficiali o sotterranee: quando l'acqua evapora intensamente i sali precipitano e cristallizzano esercitando pressione che allarga le fratture. Il fenomeno è detto aloclastismo.
La diminuzione di pressione è responsabile delle dilatazioni e della formazione di fessure lungo le superfici di discontinuità del blocco.
Anche l'azione di organismi (soprattutto vegetali le cui radici s'infiltrano nelle spaccature) contribuisce alla disgregazione.
L'alterazione chimica di una roccia, detta disfacimento, avviene quando l'aria e le acque interagiscono con i minerali delle rocce formando nuove specie più stabili alle condizioni climatiche del luogo dove la roccia si trova. Il disfacimento non avviene contemporaneamente per tutti i minerali costituenti la roccia. I processi chimici possono produrre effetti diversi:
formazione di nuove specie mineralogiche
la perdita di ioni ed elementi che vengono asportati
la conservazione di alcuni minerali iniziali
L'azione dell'acqua dà luogo a fenomeni d'idratazione, idrolisi e dissoluzione.
L'azione dell'ossigeno determina l'ossidazione di alcuni minerali presenti nelle rocce.
Le acque superficiali
La caratteristica più evidente delle acque superficiali è il movimento: l'acqua che non penetra nel sottosuolo viene convogliata al mare chiudendo così il ciclo. Queste masse d'acqua rappresentano il mezzo di trasporto dei sedimenti e il più importante fattore di modellamento della superficie terrestre. Le acque correnti non sono distribuite uniformemente, ma secondo il clima e la morfologia del territorio.
L'erosione e il trasporto dipendono dalle modalità di movimento delle acque.
Le acque piovane, soprattutto se intense e violente, iniziano l'azione erosiva quando cadono al suolo: mentre una parte viene assorbita dal terreno, una parte scorre sulle rocce e sul suolo, staccando le particelle minerali che vengono portate a valle e determinando l'erosione della coltre. Le acque piovane non scorrono in un alveo ma si muovono disordinatamente, lungo la massima pendenza del territorio. Progressivamente l'acqua, acquistando velocità, inizia a scavare una serie di piccoli solchi nel terreno che via via diventano sempre più evidenti. Questo fenomeno è detto ruscellamento. Il fenomeno è più evidente dove le rocce sono formate da detriti argillosi o grana fine. La forza erosiva trova scarsa resistenza e i versanti sembrano solcati da canali che prendono il nome di calanchi. Quando l'acqua scorre su materiali poco omogenei si formano delle piramidi di terra, dovute al fatto che l'acqua trova dei massi che scansa scavandovi intorno. Nelle regioni in cui si alternano grandi periodi piovosi e di siccità si hanno alterazioni particolari: nei periodi di siccità si produce una coltre di sedimenti che le piogge del periodo di precipitazione porta via.
I detriti mossi in parte rimangono ai piedi del versante, in parte vengono trasportati verso i corsi d'acqua. Infatti le acque del ruscellamento confluiscono in solchi più grandi. Le acque incanalate erodono solo l'alveo in cui scorrono con effetti più forti (erosione lineare).
Con il passare del tempo, l'acqua che scivola sul versante incide un solco, l'alveo o letto che diventa il suo percorso definitivo. A queste acque che scorrono sotto la forza di gravità si dà il nome di corsi d'acqua. Oltre al letto si distingue la sorgente, il punto in cui si origina, e la foce, il luogo in cui termina e che può essere un mare, un lago o un altro corso d'acqua. I corsi d'acqua possono essere perenni (alimentati tutto l'anno) o intermittenti, nel primo caso sono i fiumi, nel secondo i torrenti.
Il bacino idrografico di un corso d'acqua è il luogo le cui acque confluiscono nello stesso alveo, è delimitato da una linea immaginaria di spartiacque (displuvio) che lo separa dai bacini contigui.
Nei bacini dei grandi fiumi, si riconoscono un corso principale e una rete di affluenti con un proprio bacino di drenaggio e un proprio displuvio secondario. Fiume principale e affluenti costituiscono il reticolo idrografico.
Le dimensioni del bacino idrografico possono modificarsi nel tempo.
Quando l'erosione del fiume è particolarmente intensa lo spartiacque può essere superato, si verifica una cattura fluviale.
Il clima mediterraneo (con estate secca) è tipico delle regioni costiere occidentali dei continenti compresi nella fascia tra i 30° e i 45° di latitudine. Sono interessate a questo clima le zone intorno al Mediterraneo (soprattutto le coste), la penisola Iberica, il Mar Nero, il Cile centrale, la California, Sudafrica e Australia meridionale.
In queste regioni le temperature medie sono abbastanza elevate e l'inverno non è molto rigido non ci sono escursioni termiche annue marcate. Caratteristica di questo clima è l'andamento delle precipitazioni, spesso con caratteristiche torrenziali, che si concentrano in autunno e inverno e molto scarse nel periodo estivo. Questa tipica distribuzione è causata dalla posizione di queste zone: tra le regioni subtropicali (con la presenza dell'anticiclone estivo), e le regioni umide delle medie latitudini (dominate d'inverno dai venti occidentali). L'anticiclone provoca un'estate calda (temperatura media sui 25°C) e secca. L'inverno è nel complesso tiepido (temperatura tra i 12°C e i 15°C) e umido. Le precipitazioni annue totali sono al di sotto dei 1000 mm annui.
In queste regioni si sviluppa la macchia mediterranea, fitta boscaglia di arbusti e piante sempreverdi. Tra gli alberi sono diffusi l'olivo, gli agrumi, il fico e il mandorlo insieme alla quercia da sughero e il pino marittimo. Dominano gli arbusti e la vegetazione bassa. Tra gli arbusti ricordiamo l'oleandro, l'erica, il ginepro, il mirto, il rosmarino e le salvia.
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