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L' italia di depretis, crispi, giolitti




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L' ITALIA DI DEPRETIS, CRISPI, GIOLITTI


Dal 1861 al 1876 la Destra Storica portò a compimento l'unificazione nazionale. Ma a 15 anni dall'avvento al potere la Destra non riusciva più a rappresentare compiutamente gli interessi ed i bisogni del ceto industriale che, con la creazione del mercato nazionale, si era andato sviluppando. Fu così che nel marzo del 1876 la presidenza del consiglio fu assunta da Agostino Depretis, un imprenditore agricolo che aveva guidato per tutti quegli anni l'opposizione di sinistra.


Sul piano sociale, a quel tempo, gli esponenti della sinistra si differenziavano di molto da quelli della destra. Quest'ultima tendeva a rappresentare gli interessi degli agiati commercianti e dei grandi proprietari ed imprenditori agricoli centro-settentrionali, che si riconoscevano pienamente nella politica liberistica voluta dal governo.

Dopo il 1873 una grande crisi del capitalismo mondiale aveva spinto i paesi industriali ad abbandonare il liberismo economico ed a ricreare politiche protezionistiche e così gli industriali italiani si rivelarono i più pronti a cogliere questo profondo mutamento dell'economia internazionale.


Il programma della sinistra tentava perciò di esprimere questi nuovi orientamenti e queste spinte provenienti dai settori più dinamici delle classi dirigenti. Con l'avvento della sinistra l' Italia definì meglio i suoi connotati di moderno Paese industriale.  Le ragioni della crisi che agitarono l'economia europea erano da ricollegarsi alla concorrenza del grano americano ed asiatico sul mercato europeo ed alla sovrapproduzione dei prodotti industriali rispetto alla possibilità di assorbimento del mercato.

Data la struttura ancora prevalentemente agricola dell'economia italiana, la crisi economica assunse i connotati di una gravissima crisi agraria. Infatti, sui mercati europei si scaricarono milioni di tonnellate di grano a basso prezzo, per cui in Italia il prezzo del grano si dimezzò, trascinandosi dietro quelli di tutta la produzione agricola.

Si fecero strada perciò in tutti gli Stati Europei, nuove linee di politica agraria protezionistica. La sinistra varò così, nel 1887, una nuova politica doganale atta a difendere il grano ed ancor più le industrie nostrane.


Attraverso un cauto riformismo, la sinistra abolì la tassa sul macinato, sancì l'obbligatorietà e la gratuità dellla scuola primaria (legge Coppino, 1877) ma, soprattutto, modificò la legge elettorale, aumentando la base elettorale. Tuttavia l'azione riformatrice si arenò soprattutto a discapito della popolazione delle campagne del Mezzogiorno. Tra il 1884 ed il 1886 le campagne padane furono teatro di un vasto movimento di lotte di braccianti e contadini che chiedevano salari più elevati; venne così a formarsi il Partito Operaio Italiano che si tramutò dopo poco in Partito Socialista Italiano.


Per quanto riguarda la politica estera, dopo il 1870 i legami tra Francia ed Italia si allentarono soprattutto per il fatto che quet'ultima aveva dato il via alla formazione di un proprio impero coloniale. Così nel 1881 la Francia giocò un tiro mancino all' Italia occupando la Tunisia. I governi della Sinistra conclusero, nel 1882, la Triplice Allenza con Austria e Germania e diedero così il via alla conquista coloniale dell'Abissinia. L' esercito italiano venne battuto dalle truppe abissine e nel 1887 il re affidò l'incarico di formare un nuovo governo a Francesco Crispi.


Crispi fu un vero leader politico dei pochi gruppi imprenditoriali del Sud. Giunto a capo del governo, nel 1887, avviò una politica autoritaria accentrando su di sé quasi tutti poteri. Represse con grande fermezza ogni movimento popolare che in quei giorni era rappresentato soprattutto dai lavoratori che diedero vita a scioperi ed a vasti movimenti di piazza per protestare contro il rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità, dovuto alla politica protezionistica crispina.


Crispi usò il pugno di ferro per reprimere il malcontento popolare. Nel 1893 inasprì la legislazione contro le organizzazioni operaie, compreso il PSI di Turati. Tuttavia venne colpito anche il movimento sociale cattolico; infatti, nel decennio crispino si assistette all' ingresso dei cattolici nella vita politica e sociale della nazione. In realtà, tenuto conto del divieto del Papa ai fedeli di partecipare alla politica, l' azione cattolica si sviluppò prevalentemnete in campo sociale.


Una delle linee guida del governo crispino concerneva l' acquisizione di nuove colonie, divenute ormai indispensabili per il bisogno dei mercati di sbocco e d'approvvigionamento del nuovo capitalismo italiano.

Riprese così l'espansione coloniale in Abissinia, che però segnò la sconfitta ad Amba Alagi, ed a Adua: Crispi rassegnò le dimissioni e si esaurì la 2° fase della politica coloniale italiana.


Cominciò così una luna crisi che si protrasse per 5 anni, quando nel 1900 alle elezioni politiche fu nominato capo del governo Giuseppe Zanardelli. Fu una tappa molto importante nello scenario della storia politica dell'Italia unita.

La politica di Zanardelli di liberalismo progressista, secondo la quale per risolvere i conflitti sociali era necessario permettere l' inserimento dei ceti subalterni nella vita politica del Paese, fu continuata e rafforzata dal suo successore, Giovanni Giolitti.


Il disegno politico di Giolitti mirava a conciliare gli interessi della borghesia industriale con le aspirazioni del proletariato urabano ed agricolo. Al fine di perseguirre questo obiettivo egli tentò di fare entrare nel governo Turati, leader del PSI, il quale però rifiutò.

Nel 1904 la politica giolittiana varò alcuni importanti provvedimenti di legislazione sociale, quali le leggi a tutela del lavoro delle donne e dei bambini, leggi sugli infortuni e sull'invalidià e vecchiaia.

Il settore dei lavori pubblici ricevette nuovo slancio con lo scopo ultimo di creare consenso attorno all'azione di governo fra socialisti e cattolici.


Il cosidetto "compromesso giolittiano" aveva innegabilmente come referente quelle aristocrazie operaie che erano la base di massa del riformismo socialista di Turati a discapito della stragarande maggioranza rappresentata dal proletariato urbano e rurale, il quale, era tagliato fuori dal compromesso giolittiano.

Furono proprio queste genti a dare  vita al Massimalismo, che si opponeva tenacemente a qualsiasi forma di collaborazione con il Governo in nome del perseguimento da parte del PSI del suo obiettivo massimo, ossia la rivoluzione socialista. Al congresso di Bologna del 1904 i massimalisti ottennero la maggioranza e quindi la guida del PSI, ma questa vittoria coincise con la sconfitta elettorale, a tutto vantaggio delle posizioni riformiste al suo interno.


La svolta giolittiana si situò in un contesto storico-economico dove la crisi economica mondiale poteva dirsi superata e si apriva una stagione di sviluppo altrettanto lunga. In Italia tale congiuntura coincisa con il decollo industriale dell'economia favorita dalla crescita demografica che diede l'impulso alla domanda di beni di consumo, ed alla maggiore economicità e velocità dei trasporti: i settori trainanti furono soprattutto quello siderurgico, quello tesile e quello idroelettirco. Anche la situazione finanziaria fu risanata: il bilancio tornò in pareggio e la lira acquistò forza grazie alla sua stabilità sui mercati internazionali. Con l'industrializzazione si assistette alla nascita del fenomeno dell'urbanesimo, il centro cittadino divenne così la sede del sistema economico ed in esso si crearono dei veri e propri ghetti in cui gli operai viveno ammassati ed in precarie condizioni igieniche.


Il riformismo giolittiano si rivolgeva essenzialmente ai lavoratori settentrionali e lasciava ai margini il Mezzogiorno d' Italia, interessato solo ad un intervento statale episodico e parziale e dallo sviluppo di pratiche clienterai che vedevano lo stesso Giolitti servirsi di gruppi mafiosi per assicurarsi appoggi e consensi.

Questa situazione portò all' ingigantimento del fenomeno dell' emigrazione delle masse dei lavoratori del sud e, nel giro di pochi anni, sotrasse milioni di contadini meridionali.


Fu in questo contesto che il Primo Ministro, sotto la spinta degli ambienti finanziari e culturali, cercò come valvola di sfogo al malcontento di cui era intriso il Paese la ripresa dell'avventura coloniale: Fu questo il periodo che vedeva come obiettivo finale la conquista della Libia e del Dodecaneso in mano ai Turchi.

Le ostilità vennero aperte nel 1911 ed in poco tempo l'Italia conquistò i territori costieri da Tripoli a Tobruk. Le operazioni militari si conclusero con la Pace di Losanna che riconosceva all' Italia la Libia e, temporaneamente, il Dodecaneso.


La conquista libica ebbe ripercussioni destabilizzanti nella vita interna italiana in particolare per quanto riguarda il socialismo: la maggioranza del partito rimase fedele alle proprie tradizioni pacifiste, ma l'estrema sinistra massimalista, capeggiata da Benito Mussolini, giunta alla maggioranza del partito, decretò la definitiva crisi del "compromesso giolittiano".


Nonostante questa scissione il PSI era tuttora in grado di imporsi sul piano elettorale, posizione avallata dalla riforma elettorale del 1912 che sanciva il suffragio universale: il diritto di voto veniva esteso a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni e che avessero prestato servizio militare e comunque anche agli analfabeti, purchè avessero compiuto 30 anni. Le donne rimanevano ancora escluse dal diritto al voto.



Con così forte allargamento del numero di elettori, una vittoria socialista non sembrava impossibile, ma questo avrebbe rischiato di fare saltare i delicati equilibri su cui si basava l'egemonia giolittiana. Fu così che Giolitti pensò di rivolghersi ai cattolici, ovvero all' Unione Elettorale Cattolica, unica formazione cattolica che aggirava al divieto posto ai cattolici di svolgere attività politica (NON EXPEDIT) Tramite un accordo con Vincenzo Gentiloni, Giolitti si assicurò l'appoggio cattolico alla propria formazione politica- patto Gentiloni-

Alle elezioni del 1913, come previsto i socialisti avanzarono, ma, fatto meno scontato, si verificò una considerevole affermazione dei candidati cattolici nelle liste del Partito Liberale. In questa nuova situazione Giolitti, prigioniero di quelle stesse forze conservatrici che aveva cercato di utilizzare e di manovrare in funzione anti-socialista, nel marzo del 1914 lasciò la presidenza del consiglio che passò così al liberale conservatore Salandra.



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