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Iugoslavia
Stato della penisola balcanica, nell'Europa sudorientale, costituito nel 1918 e disgregatosi nel 1991 a causa di conflitti politici ed etnici; ufficialmente noto, a partire dal 1945, come Repubblica federale di Iugoslavia, era formato dalle sei repubbliche di Bosnia-Erzegovina, Croazia, Macedonia, Slovenia, Serbia e Montenegro, e dalle due province autonome del Kosovo e della Vojvodina.
Storia
Gli slavi del Sud (o iugoslavi) rappresentano uno dei cinque maggiori gruppi etnici della penisola balcanica, comprendendo serbi, croati, sloveni e montenegrini. Sebbene il movimento per l'unificazione politica di questi popoli risalga all'inizio del XIX secolo, gli slavi del Sud rimasero a lungo separati e subirono la dominazione di varie potenze straniere, tra cui quella di Turchia, Italia, Austria, Ungheria e Bulgaria. Nel quadro politico che preesisteva allo scoppio della prima guerra mondiale, Serbia e Montenegro erano stati indipendenti, mentre Bosnia ed Erzegovina sottostavano alla sovranità dell'impero austroungarico, Croazia e Slovenia erano state in parte autonome sotto il controllo dell'Ungheria e successivamente della corona austriaca, la Dalmazia era un possedimento austriaco. Malgrado queste divisioni e le profonde differenze etniche e culturali, le popolazioni slave meridionali aspiravano a riunirsi in una sola nazione.
Le origini della Serbia risalgono al Medioevo, quando i serbi ' ritagliarono ' dei principati indipendenti ai confini settentrionali dell'impero bizantino. Ben presto dovettero far fronte alla penetrazione dei turchi ottomani nei Balcani: nel 1459 tutta la Serbia, compreso il Kosovo, era caduta sotto il dominio turco.
A seguito dell'indebolimento dell'impero turco nel corso dell'Ottocento, la Serbia riguadagnò l'indipendenza: nel 1878 col Trattato di Berlino. Dopo la guerra balcanica del 1912 contro la Turchia, la Serbia occupò Macedonia e Kosovo.
Nel 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale che segnò il crollo dell'impero austro-ungarico (di cui facevano parte Slovenia, Croazia e Bosnia), venne fondato il regno di serbi, croati e sloveni, che nel 1929 prese il nome di Iugoslavia e rimase politicamente dominato dai serbi.
Durante la seconda guerra mondiale la Serbia venne occupata dai tedeschi, il Kosovo da italiani e albanesi. Al termine del conflitto nacque la Federazione iugoslava, Stato socialista guidato dal maresciallo Tito.
Nel 1990 la Iugoslavia abbandonava il sistema di potere monopartitico e il suo particolare socialismo auto gestito. La morte del maresciallo Tito (1980), la forte influenza esercitata dell'economia tedesca sulle industrializzate Slovenia e Croazia, la stessa recessione internazionale che inaspriva la concorrenza tra le varie regioni e per finire un'inflazione salita al 2000% nel corso del 1989, portarono rapidamente alla disgregazione dello stato federale. Al recriminato predominio serbo si sottraevano la Slovenia, poi la Croazia, la Macedonia e la Bosnia-Erzegoviana (1991-92). In quest'ultimo caso però l'estremo frazionamento etnico e religioso alimentava una sanguinosa guerra civile, che portò spesso alla 'pulizia etnica'.
Kosovo (Albanese, Kosove), territorio autonomo situato nella Serbia sud occidentale, ricco di giacimenti di piombo, zinco, lignite, cromite e magnesite, il Kosovo è una delle regioni più povere d'Europa.
La formazione dello stato iugoslavo
L'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria per mano di un nazionalista serbo fu l'episodio che scatenò la prima guerra mondiale, con la dichiarazione di guerra dell'impero austroungarico alla Serbia nel 1914: l'occupazione del paese da parte della coalizione degli Imperi centrali e la conseguente formazione di un comitato per l'unità nazionale formato da slavi in esilio furono la premessa alla creazione dello stato iugoslavo. I princìpi politici dell'unità furono enunciati nella Dichiarazione di Corfù (1917), firmata dai rappresentanti del comitato e del governo in esilio, che proclamava l'istituzione di una monarchia federale costituzionale sotto la dinastia dei Karagjeorgjevic del trono di Serbia. La dissoluzione dell'impero austroungarico alla fine della guerra diede grande impulso al movimento indipendentista slavo. Nell'ottobre del 1918 i rappresentanti delle regioni soggette alla monarchia austriaca e ungherese si riunirono a Zagabria, organizzando un governo provvisorio e approvando una risoluzione per l'unione con la Serbia; nel novembre dello stesso anno, anche l'assemblea nazionale del Montenegro aderì all'iniziativa e Alessandro, principe di Serbia, in attesa che si ristabilisse il padre ammalato, Pietro I, assunse la guida del governo provvisorio (1° dicembre 1918). Fu quindi proclamato il nuovo stato, ufficialmente denominato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
La questione delle frontiere del nuovo stato fu dibattuta alla conferenza di pace di Versailles (1919-20), in cui l'Italia reclamò l'annessione al suo territorio dell'Istria, delle isole dalmate e di alcuni tratti della costa adriatica, sulla base degli accordi del patto di Londra del 1915. La presa della città di Fiume (Rijeka), una delle aree più contese, da parte di un contingente di volontari guidati da Gabriele d'Annunzio, e le pressioni internazionali portarono infine alla formulazione del trattato di Rapallo (1920) con il quale l'Italia ottenne l'Istria, mentre Fiume fu dichiarata città libera sotto il controllo della Società delle Nazioni (solo nel 1924, tuttavia, la controversia si sarebbe definita con l'annessione di Fiume all'Italia e la cessione al regno iugoslavo della costa dalmata). Nel novembre 1920 il governo provvisorio elesse l'Assemblea costituente; malgrado l'aspra opposizione dei croati, che sostenevano un assetto costituzionale di tipo federalista, una coalizione conservatrice di centro sostenuta dai serbi approvò una forma di governo fortemente centralizzata.
Battaglie del Kosovo Due battaglie combattute nel Kosovo, regione sudoccidentale della Serbia.
La prima battaglia si concluse con la vittoria dell'esercito turco-ottomano, al comando del sultano Murad I, sull'esercito serbo guidato dal re Lazarus, presso Kosovo Polje ('Campo dei Merli') nel 1389. Durante la battaglia Murad venne assassinato, scatenando così l'ira dei turchi che inflissero una dura sconfitta alla Serbia. Lazarus venne a sua volta giustiziato e i serbi furono costretti a pagare un tributo e a prestare servizio nell'esercito turco.
Nel 1448 un esercito di cristiani ungheresi, comandati da Janos Hunyadi, combatté nuovamente contro i turchi nel Kosovo nel tentativo di salvare Costantinopoli, da questi minacciata, ma durante un momento decisivo dello scontro gli alleati valacchi disertarono passando al nemico. Cinque anni più tardi i turchi conquistarono Costantinopoli.
Storia moderna
Il regno di Alessandro I
Il regno di Alessandro I, salito al trono alla morte del padre, Pietro I, nell'agosto del 1920, fu caratterizzato da feroci lotte politiche, dovute in particolare all'egemonia in parlamento dei serbi sulle altre etnie e alla negazione dell'autonomia richiesta da croati, sloveni e da altre minoranze.Sotto la guida di Stjepan Radic, i croati e i loro alleati condussero una strenua opposizione al governo centralista.La prima fase degli scontri si concluse nel giugno 1928, quando un deputato del parlamento nazionale del Montenegro sparò allo stesso Radic, colpendo a morte anche altri due parlamentari. La guerra civile sembrava imminente, ma nel gennaio del 1929 Alessandro I sospese la Costituzione e, sciolto il parlamento, instaurò un regime dittatoriale. Il re inoltre, nel tentativo di salvaguardare l'unità nazionale e di rafforzarla, abolì le divisioni amministrative e mutò il nome allo stato stesso, da Regno di Serbi, Croati e Sloveni a Regno di Iugoslavia
La dittatura
Malgrado la dittatura avesse soppresso ogni forma di opposizione, manifestazioni di scontento popolare divennero sempre più frequenti da un capo all'altro del regno. Alessandro attenuò il suo regime autoritario il 3 settembre 1931, promulgando una nuova Costituzione che, di fatto, manteneva nel regno la monarchia assoluta, limitando vistosamente il potere parlamentare e introducendo misure restrittive che miravano a perpetuare la supremazia regia. Le tensioni crebbero al punto che lo stesso sovrano, che si trovava in Francia in missione diplomatica, cadde per mano di un terrorista legato al gruppo nazionalista croato degli ustascia, il 9 ottobre 1934. L'erede al trono Pietro II, ancora molto giovane, governò sotto la reggenza dello zio, il principe Paolo. Verso la fine degli anni Trenta il governo manifestò una svolta filonazista che portò la Iugoslavia a stringere relazioni con la Germania di Hitler.
La seconda guerra mondiale
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il governo iugoslavo dichiarò la propria neutralità anche se, in seguito alle pressioni avanzate dalla Germania, nel marzo 1941 il paese accettò di aderire al Patto tripartito tra Germania, Italia e Giappone. La reazione popolare suscitata da tale atto culminò in un colpo di stato (26-27 marzo 1941), che depose il consiglio di reggenza, e gli insorti, appoggiati dal re Pietro II, formarono un governo il cui principale obiettivo era il mantenimento della neutralità.
La reazione da parte delle potenze dell'Asse non si fece attendere e fu spietata: con l'appoggio delle truppe italiane, ungheresi e bulgare, in aprile l'esercito tedesco invase la Iugoslavia, provocando la fuga del sovrano e dei membri del governo. Decimato l'esercito e arresosi l'alto comando, il regno conquistato fu velocemente smembrato: l'Italia occupò la Dalmazia, parte della Slovenia e il Montenegro, mentre la Germania ottenne il resto della Slovenia e la Serbia, in cui fu insediato un governo fantoccio a cui venne affidato il controllo sulla regione. L'Ungheria occupò la parte occidentale della provincia serba della Vojvodina e la Bulgaria ebbe gran parte della Macedonia iugoslava.Un regno indipendente filofascista, infine, sotto la guida del nazionalista Ante Pavelic e sotto la protezione dell'Italia, fu costituito in Croazia, alla quale spettò il territorio della Bosnia. Nei due anni successivi alla spartizione della Iugoslavia, nacquero gravi conflitti che opposero alle forze occupanti o collaborazioniste , gruppi di resistenza. Sotto il generale filomonarchico Draca Mihajlovic, i nazionalisti serbi (vedi Cetnici) combatterono contro lo stato fantoccio croato e a essi si unirono altri partigiani di matrice comunista e antifascista guidati da Tito; nel dicembre 1941 il governo iugoslavo in esilio riconobbe Mihajlovic quale comandante in capo dei contingenti della resistenza nazionale.
La liberazione
Nel 1942 i partigiani di Tito, avendo ottenuto de facto il controllo su parte della Bosnia, istituirono un governo provvisorio, il Comitato di liberazione nazionale, che in seguito accusò i cetnici di collaborazione con il nemico, provocando violenti scontri armati tra le due fazioni di opposte tendenze ideologiche, filomonarchici i primi e comunisti i secondi. Il Comitato continuò le operazioni militari per tutto il 1943, costituendo un esercito di oltre 100.000 soldati e conquistando più di 100.000 km2 di territorio iugoslavo, ottenendo inoltre, alla fine dello stesso anno, il completo appoggio militare delle forze britanniche e americane. Nel mese di dicembre il Comitato, rifiutando di riconoscere l'autorità del governo regio in esilio, istituì un parlamento nazionale; la rottura tra i due governi fu ricomposta, grazie alla mediazione inglese, nell'estate del 1944, quando il regime provvisorio ricevette una rappresentanza del governo in esilio e Tito, già nominato maresciallo, prese il posto di Mihajlovic come comandante ufficiale dell'esercito iugoslavo.
Nel settembre 1944 le forze Alleate e l'esercito di Tito lanciarono un'offensiva contro le truppe di occupazione tedesche: Belgrado e le altre maggiori roccaforti tedesche in terra iugoslava furono liberate prima della fine di ottobre. Il mese seguente, dopo alcuni incontri a Mosca tra i delegati sovietici, britannici e iugoslavi, fu annunciata la fusione tra il governo regio di Iugoslavia e il Comitato di liberazione nazionale. Le caratteristiche del nuovo governo includevano l'autonomia locale per i diversi gruppi etnici e un consiglio reggente che avrebbe esercitato i poteri del re.
Nel marzo 1945 venne istituito un nuovo governo, con il maresciallo Tito come premier e le cariche maggiori coperte da rappresentanti del Partito comunista, sotto il quale fu iniziato un moderato programma di riforme sociali ed economiche. La monarchia fu abolita nell'agosto successivo e il re rimase in esilio.
Il governo di Tito
Nel 1945 si tennero nel paese le elezioni per l'istituzione dell'Assemblea costituente che decretarono la vittoria dei candidati del Fronte popolare che ottenne più dell'80% dei consensi; il 29 novembre la Costituente appena eletta proclamò la fine della monarchia e la costituzione della Repubblica federale di Iugoslavia, riconosciuta nelle settimane successive dai governi di Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia. Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione nel gennaio 1946, si insediarono un nuovo parlamento nazionale e un gabinetto, con il maresciallo Tito come primo ministro e una rappresentanza comunista sostanzialmente accresciuta rispetto al passato. Poco dopo la fine della guerra, il governo di Tito nazionalizzò vari settori dell'economia e del terziario, avviò una riforma agraria e diede alla politica estera un orientamento filosovietico; nel contempo, furono sciolti i partiti d'opposizione e soppressi i giornali contrari al governo. Una nuova Costituzione fu promulgata nel 1953, in base alla quale Tito fu eletto presidente della Iugoslavia e nel 1963 lo stesso nome dello stato fu modificato in Repubblica federale socialista di Iugoslavia. Nei decenni successivi vennero apportate modifiche al governo, molte delle quali riguardavano l'assegnazione delle funzioni governative alle repubbliche costituenti.
La Iugoslavia dopo Tito
Tito morì il 4 maggio 1980, dopo una lunga malattia; in accordo con la Costituzione del 1974, il governo fu assunto dalla presidenza collegiale e dovette immediatamente affrontare con programmi di austerità la difficile situazione economica del paese, oppresso da un debito estero che superava i 15 miliardi di dollari e da un costante aumento dell'inflazione e della disoccupazione. Le difficoltà incontrate dal governo e la grave situazione economica alimentarono le istanze separatiste avanzate dalle repubbliche. Le tensioni scoppiarono nella provincia più povera della federazione, il Kosovo, che nel 1968 aveva ottenuto l'autonomia dalla Serbia; le aspirazioni a una maggiore indipendenza e alla formazione di una repubblica autonoma portarono la maggioranza della popolazione, di origine albanese, allo scontro con serbi e montenegrini, durante i quali si incrinarono i rapporti tra la Iugoslavia e l'Albania, intervenuta a difesa degli insorti. La repressione della contestazione, portata avanti anche dagli studenti, fu molto dura da parte del governo che, oltre a effettuare arresti di massa, isolò la regione per lungo tempo; alla fine degli anni Ottanta la Serbia riaffermò il suo controllo sulle province autonome del Kosovo e della Vojvodina, ponendo fine alla loro autonomia.
Nel gennaio 1990, mentre i conflitti etnici scoppiavano in tutto il paese, la Lega dei comunisti della Iugoslavia aprì il sistema politico al multipartitismo che portò, alle elezioni dello stesso anno, all'affermazione di gruppi nazionalistici e conservatori. Nello stesso anno la Serbia elesse presidente della propria repubblica Slobodan Milosevic, sostenitore di un acceso nazionalismo, che inaugurò il suo mandato ripristinando la legge marziale nel Kosovo e ponendo rigide restrizioni ai privilegi e ai diritti di cui la provincia aveva goduto. Nel maggio del 1991 si aprì una crisi costituzionale quando la Serbia si oppose alla nomina di un rappresentante croato alla presidenza del governo, a cui seguirono, il 25 giugno, le dichiarazioni di indipendenza della Croazia e della Slovenia, contro le quali fu inviato l'esercito federale. In Slovenia la guerra si concluse dopo pochi giorni con la sconfitta dell'esercito, mentre in Croazia, dove alle truppe federali si erano unite milizie della minoranza serba presente nel paese, gli scontri si protrassero per sette mesi, concludendosi nel gennaio 1992 con un cessate-il-fuoco. La Croazia perse il controllo su più di un terzo del proprio territorio e subì gravissimi danni, tra cui la quasi completa distruzione dell'antica città di Dubrovnik.
La sopravvivenza della Repubblica iugoslava fu messa ulteriormente in discussione dalla dichiarazione di indipendenza da parte della Repubblica di Macedonia nel settembre 1991 e da quella della Bosnia-Erzegovina nel 1992, mentre scoppiava una sanguinosa guerra civile. Il 27 aprile 1992 Serbia e Montenegro, le repubbliche fedeli alla federazione, concordarono di unirsi e annunciarono la formazione della Repubblica federale di Iugoslavia. Con questo atto era implicitamente ammessa l'indipendenza delle quattro repubbliche separatiste, che erano state nel frattempo riconosciute dalla comunità internazionale. Dopo aver imposto pesanti sanzioni alla Serbia e al Montenegro, il 22 settembre l'Assemblea generale delle Nazioni Unite votò a larga maggioranza l'esclusione dall'Assemblea stessa della recente Federazione iugoslava, cui si contestava la pretesa di assumere in toto l'eredità della precedente, pur concedendo il diritto di presentare la richiesta per il rientro nell'organizzazione stessa. La sospensione delle sanzioni e il riconoscimento ufficiale della Repubblica federale di Iugoslavia da parte della comunità internazionale sono stati concessi solo il 14 dicembre 1995 con la firma degli accordi di Dayton.
Situazione attuale
Nel marzo 1999, si sono tenute in Francia le trattative per porre fine ai massacri nel Kosovo. Le due parti però non hanno raggiunto nessun accordo. La Serbia non ha accettato alcuna condizione proposta dal Kosovo e dall'Europa, è ha continuato le operazioni di pulizia etnica. Scaduto l'ultimatum imposto dalla NATO le città della Federazione Iugoslava si sono ritrovate sotto una pioggia di bombe. Secondo quanto affermato da Clinton, i bombardamenti sulla Serbia continueranno fino a quando Milosevic non deciderà di sedersi al tavolo delle trattative. L'attacco della NATO, non ha incontrato il favore positivo della Russia, che non esclude di inviare aiuti militari alla Serbia, se il conflitto dovesse estendersi. L'Italia non prende direttamente parte agli attacchi in quanto i nostri aerei hanno il compito di difendere il nostro spazio aereo, però dalle basi aeree italiane decollano gli aerei della NATO destinati a bombardare la Serbia. Per questo motivo si temono rappresaglie contro il nostro paese, soprattutto lungo la fascia adriatica.
La NATO sta facendo due guerre parallele in Yugoslavia. Una è la guerra contro il Kosovo, e il caos che ha finora creato serve da giustificazione per l'altra guerra parallela, la guerra contro la Serbia. Il conflitto fra Serbi e Albanesi in Kosovo non è di quelli semplici da capire. Non si tratta del fatto che 'i Serbi maltrattano gli Albanesi'. Nel 1980, la maggioranza albanese in Kosovo rendeva difficile la vita ai Serbi per costringerli ad andare via e creare così un Kosovo 'etnicamente puro' che alla fine si sarebbe potuto unire con la vicina Albania. Questa è stata una delle ragioni per cui il Parlamento Serbo ha ridotto la grande autonomia che era stata garantita alla provincia nel 1974 ; la politica di Tito, a quell'epoca, era diretta a garantire più potere ai leaders dei partiti etnici di Yugoslavia per poter distogliere l'attenzione dalle richieste di democratizzazione. Da allora i secessionisti albanesi in Kosovo hanno amplificato il boicottaggio delle istituzioni serbe (le consultazioni elettorali, i curriculum scolastici, le tasse, ecc.) già attivo da anni. Questo boicottaggio, che è stato esteso anche all'eccellente servizio sanitario pubblico serbo in Kosovo con detrimento della salute dei bambini, è stato presentato al mondo intero come un 'apartheid' imposto dai Serbi; quest'immagine è stato creata dalla fortissima lobby d'etnia albanese in Germania e negli Stati Uniti, dove, già nel 1980, poteva contare sull' influente patrocinatore senatore Robert Dole. Gli obiettivi: dividere la storica provincia serba dalla Yugoslavia e farla diventare una terra totalmente albanese. Il boicottaggio delle istituzioni fu anche presentato al mondo come un'azione non violenta di tipo gandhiano. Ma questo tipo di disobbedienza civile era in linea con lo storico rifiuto, da parte dei clans dell'Albania settentrionale e del Kosovo, di rispettare qualsiasi altra legge che non fosse quella del loro tradizionale 'Kanun', le regole patriarcali di condotta non scritte che spaziano dai rigidi obblighi di ospitalità fino alle implacabili e sanguinose faide. L'assenza totale di regole che regna in Albania attualmente ne è una testimonianza. Il conflitto fra Serbi e Albanesi, che è più culturale che storico ( e la religione c'entra ben poco), avrebbe richiesto una mediazione molto paziente e saggia da parte di forze esterne che non hanno interessi diretti nella regione. Al contrario è stato mediato da istituzioni che si potenziano attraverso il conflitto: i media e la NATO. Entrambe hanno trasformato un problema difficile in una catastrofe. Prima dei bombardamenti NATO non esisteva alcuna 'pulizia etnica' verso gli Albanesi del Kosovo. Vi erano semmai delle operazioni della polizia serba contro l' 'Esercito di Liberazione del Kosovo' (KLA) , che per oltre un anno aveva ucciso sia poliziotti che privati cittadini, inclusi degli albanesi che non collaboravano. Gli attacchi del KLA erano una classica provocazione per scatenare le azioni poliziesche per poi denunciarle sistematicamente come attacchi contro la popolazione albanese. Le vittime da entrambe le parti sono state nell'ordine di centinaia. Molte case sono state distrutte dal momento che le case rurali albanesi sono costruite per un doppio uso: come dimora e come difesa. E' possibile spesso vedere le case albanesi recintate da mura con feritoie ai piani superiori. Rolly Keith , ex-osservatore dell'OCSE in Kosovo, ha dichiarato in aprile che fino a che la missione non è stata espulsa dal Kosovo 4 giorni prima che cominciassero i bombardamenti non ha visto alcun segno di genocidio o di pulizia etnica. Altri osservatori OCSE hanno confermato la stessa cosa, ma sono stati marginalizzati dal capo della missione William Walker . Da quando gli osservatori OCSE sono stati espulsi e la NATO ha iniziato a fare a pezzi il Kosovo con le sue armi ad alta tecnologia è impossibile sapere esattamente che cosa stia succedendo. I rifugiati stanno fuggendo dall'inferno della guerra. Fra tutte le cose terribili che stanno avvenendo è probabile, che le forze serbe stiano espellendo tutti gli Albanesi da molte aree del Kosovo, considerandoli la 'quinta colonna' della NATO. Le sofferenze dei profughi civili, assolutamente prevedibili dopo i bombardamenti NATO, sono state accolte prima di tutto con le telecamere piuttosto che con interventi di soccorso. Di conseguenza i media hanno potuto far risuonare le corde del sentimento della gente per bene e creare l'impressione che la NATO stesse facendo la guerra per fermare la pulizia etnica, che peraltro stava proprio iniziando. Attraverso le immagini televisive sono stati scambiate le cause con gli effetti. Ora, quale che sia il tipo di pulizia etnica che i Serbi stanno veramente facendo, è comunque amplificata fino a diventare 'genocidio'. Il concetto viene sfruttato propagandisticamente dalla NATO per entrare in Albania ed occuparla, all'apparenza per scopi 'umanitari', ma pronta per un'invasione 'umanitaria' di una Yugoslavia totalmente devastata. Lo spettacolo dei rifugiati ha toccato i cuori degli Europei e degli Americani come mai prima era successo. Questo genere di spettacolo serve come schermo dietro a cui la NATO nasconde l'altra guerra parallela: la totale distruzione della Serbia. I bombardamenti sono presentati all'Occidente come una necessità perché 'Milosevic si ritiri'. In realtà le azioni dicono assai più che le parole, specialmente in tempo di guerra. Il bombardamento dei ponti che collegano la Serbia centrale al nord con la provincia della Voivodina, al sud con la Macedonia e all'ovest con la Bosnia , fa chiarezza sull'obiettivo strategico della NATO: isolare la Serbia centrale dalle province periferiche e dagli stati confinanti. Il bombardamento di fabbriche ed infrastrutture dice altrettanto chiaramente che lo scopo è di impoverire quel che rimane della Serbia in tal modo isolata e distruggere il futuro della sua gioventù. La VERA guerra è quella per distruggere la Serbia. La guerra parallela in Kosovo ne è solo il pretesto con cui sfondare. La gente di Belgrado, lo capisce fino in fondo. Non capisce quello che succede dalla televisione, lo capisce dalle bombe che le cascano sulla testa. Un'altra terza guerra parallela è di tipo propagandistico. La NATO è andata tanto oltre da mirare alla televisione serba. 'La televisione serba ha riempito per anni l'etere con odio e bugie è pertanto un obiettivo legittimo di questa campagna', ha dichiarato il comandante dell'aviazione NATO David Wilby. Gli americani e gli europei non hanno nessun modo per sapere se questo è vero o no. Non guardano la televisione serba. I Serbi invece guardano le televisioni occidentali, specialmente la CNN in questi giorni, per sapere in anticipo che cosa sarà bombardato. Essi possono comparare quello che dicono entrambe le fonti televisive. I Serbi sono molto ben informati e quello che sta succedendo non è una sorpresa per loro. Sapevano che sarebbe successo perché hanno osservato il comportamento degli Stati Uniti in tutto il mondo. Gli Stati Uniti bombardano.
Se Milosevic è il 'nuovo Hitler' allora è un dittatore molto riservato. Mentre il vero Hitler tuonava e inveiva alla radio, Milosevic è praticamente invisibile. Anche i suoi peggiori nemici si sono dimenticati di lui. Sembra irrilevante. Nessuno parla neanche del Kosovo o degli Albanesi, eccetto i rifugiati serbi, zingari ed albanesi che sono scappati a Belgrado per gli incessanti bombardamenti nel Kosovo. Milosevic sembra anche irrilevante per la guerra che la NATO conduce contro la Serbia.
Attualmente, nello stato di guerra, sono rinforzate diverse restrizioni della stampa adottate di recente. I giornalisti stranieri sono stati autorizzati a ritornare in Serbia dopo la loro iniziale espulsione. Le condizioni di guerra producono restrizioni e censure. E questo è stato vero anche per gli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Ma oggi con le antenne satellitari, con le e-mail e il web, ascoltare quello che viene detto da entrambe le parti non è un problema per la gente che vuole essere informata. La NATO ha sganciato volantini sulla Serbia per spiegare le buone intenzioni della guerra, ma questo non ha fatto altro che ricordare alla gente i volantini che venivano lanciati dai nazisti durante il bombardamento di Belgrado nel 1941.
I Serbi, specialmente a Belgrado, di solito erano sempre molto divisi nelle continue discussioni politiche. Ora non c'è una sola persona che non pensi che i Serbi siano nel giusto. Forse, se ci fosse stato solo qualche avvertimento, una piccola dimostrazione di forza, le cose sarebbero andate diversamente. I Serbi sanno che non possono sconfiggere la NATO. Pensano che non ci sia niente da fare contro una tale potenza distruttiva. La NATO ha i suoi scopi e i suoi progetti e giura di perseguirli fino alla fine. I Serbi non pensano che sbarazzarsi di Milosevic o accettare questo o quell'accordo faccia qualche differenza. La NATO ha deciso di distruggerli per trasformare i Balcani in un mosaico di stati etnici clientelari o in insieme di protettorati da usare come basi NATO. All'Ovest il confronto che viene continuamente fatto è con l'Olocausto.
Milosevic, Slobodan , uomo politico serbo, presidente della Repubblica serba (1989-1997) e presidente della Repubblica federale di Iugoslavia dal 1997, è stato uno dei principali fautori della rinascita del nazionalismo serbo, all'interno dell'ex Iugoslavia. Iscritto al Partito comunista serbo dal 1959, direttore della banca più importante di Belgrado dal 1978 al 1983, ricoprì vari incarichi politici fino alla conquista della presidenza del paese nel 1989.
Alle prime elezioni dirette multipartitiche del 1990 il suo partito, ribattezzato Partito socialista serbo, conquistò la maggioranza dei seggi in Parlamento e Milosevic fu riconfermato presidente della Repubblica. Nel 1991, quando tutte le repubbliche della ex Iugoslavia, eccetto la Serbia e il Montenegro, proclamarono la loro indipendenza, le numerose minoranze serbe che vivevano in Croazia e in Bosnia-Erzegovina impugnarono le armi e invocarono l'intervento della Serbia, scatenando una sanguinosa guerra civile.
Milosevic mobilitò l'esercito iugoslavo (per lo più comandato da ufficiali serbi), assediò la Croazia e la Bosnia-Erzegovina e condusse la guerra con una brutalità che gli attirò le critiche della comunità internazionale. Riconfermato alle presidenziali del 1992, scatenò una dura contestazione per l'annullamento delle elezioni amministrative del 1996, nelle quali il Partito socialista serbo fu battuto dall'opposizione; la missione inviata dall'OSCE confermò la vittoria della coalizione democratica Zajedno. Altrettanto contestate, ma dal fronte opposto, furono le elezioni presidenziali del dicembre 1997, che videro l'affermazione di Milan Milutinovic, membro del Partito socialista e stretto alleato di Milosevic.
Il 15 luglio 1997 Milosevic fu nominato presidente della Repubblica federale di Iugoslavia, sorta nell'aprile del 1992 per sancire l'unione di Serbia e Montenegro.
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