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Inca o Incas, Civiltà
Gli Inca o Incas appartengono, con i Maya e gli Aztechi, alle grandi civiltà precolombiane. Abitavano il Perù e all'epoca della conquista spagnola avevano fondato un grande impero e raggiunto un alto grado di civiltà. Il nome Incas originariamente apparteneva ad un certo numero di tribù che vivevano nelle vicinanze di Cuzco e parlavano la lingua quecúa. Sulla base delle relazioni dei cronisti spagnoli del XVI e XVII sec., i quali forniscono le liste degli imperatori, si è calcolato che la dinastia i. cominciò a Cuzco intorno al 1200 d.C. Per i primi due secoli gli Incas si diedero a piccole incursioni a scopo di saccheggio ed a guerriglie con i loro vicini (Chanca, Lupaca, Colla, Quechúa) senza operare stabili conquiste. La prima espansione si ebbe sotto l'imperatore Pachacuti, che sconfisse i Chanca e ne occupò il territorio. Nel 1460 il suo impero si estendeva sugli altipiani del Perù, dalle vicinanze del lago Titicaca fino al lago Junin. Il figlio Topa Inca, proseguendo le imprese paterne, arrivò fino a Quito, donde invase la parte centrale della costa ecuadoriana fino a Manta, sede di un famoso santuario. Di qui attaccò l'impero Chimù e lo sottomise senza grandi difficoltà, continuando poi verso Pachacamac, al sud. Conquistò poi gli altipiani della Bolivia ed il nord-ovest dell'Argentina, da dove discese verso il Cile, stabilendo le frontiere meridionali dell'impero sul fiume Maule, a ca. 35° di lat. S. Alla morte di Topa Inca (1493), salì al trono il figlio Huaynacapac, che estese il suo dominio sugli altipiani a nord di Quito e sulle pianure costiere dell'Ecuador. Quando nel 1527 morì di peste, già gli era stato annunciato l'arrivo a Tumbez della prima spedizione spagnola. La lotta per la successione al trono dei suoi figli Huascar e Atahuallpa fu determinante per il rapido crollo dell'impero. L'esercito, diviso in due parti, una all'ordine del sovrano legittimo Iluascar e l'altra al seguito dell'usurpatore Atahuallpa, non fu in grado di opporre una valida resistenza ai conquistatori spagnoli. E quando Atahuallpa, ormai vittorioso, stava per godere il suo trionfo, venne catturato da Pizarro.
In tutti i luoghi in cui si diffusero, gli Incas lasciarono tracce tangibili della loro civiltà. Bisogna però tener presente che l'intera area da essi occupata era già sede di fiorenti culture (Chavin, Nazca, Tiahuanaco, Chimù, Chinca) che si erano sviluppate dal 500 a.C. Ad un alto livello di perfezione erano giunte la ceramica, la tessitura, la costruzione di strade, di templi, di abitazioni, di canali per l'irrigazione. A queste conquiste di ordine tecnico bisogna aggiungere che i popoli preincaici avevano una notevole organizzazione sociale, politica e religiosa. Gli Incas quindi beneficiarono di un cospicuo patrimonio culturale che svilupparono ulteriormente.
LA «STRADA DEL SOLE».
Tra le opere che ancora oggi testimoniano la potenza incaica vi sono le costruzioni murarie e le strade. Palazzi, templi, fortezze e mura di cinta venivano eretti con blocchi poligonali di roccia ignea, perfettamente adattati gli uni agli altri nelle commessure. Con la stessa tecnica si costruivano le strade, che ebbero capitale importanza per il consolidamento e la stabilità dell'impero. Una strada costiera seguiva il litorale in tutta la sua lunghezza da Tumbez a Arequipa, spingendosi oltre, fino al Cile. Per mezzo di deviazioni questa arteria si congiungeva alla grande «strada del sole» degli altipiani. Al momento della maggiore estensione dell'impero essa andava dall'attuale frontiera settentrionale dell'Ecuador, discendeva attraverso Quito, Cajamarca, Cuzco ed altre cittì, fino al lago Titicaca, dove si biforcava: un ramo si dirigeva a nord-est del lago, attraverso gli altipiani della Bolivia, in direzione delle regioni nord-occidentali dell'Argentina, e l'altro seguiva la sponda opposta del lago per poi discendere lungo la costa cilena. Benché non molto larghe, queste strade possono considerarsi capolavori di ingegneria. Esse seguivano, nei limiti del possibile, un tracciato rettilineo. Superavano le montagne per mezzo di scalini, attraversavano in gallerie speroni di roccia o giravano attorno alle scogliere; nelle pianure erano racchiuse tra alte mura, mentre i fiumi venivano oltrepassati per mezzo di ponti sospesi, costruiti con fibre vegetali. L'esempio più famoso di tali ponti è quello che superava la gola del fiume Apurimoc, a nord-ovest di Cuzco. Esso era formato da cinque grandi cavi di fibre vegetali, di cui tre sostenevano il fondo e due servivano da scorrimano. Passava sopra quattro torri di pietra, due ad ogni estremità, al di sopra di una piattaforma che serviva di base, in cui erano incastrati dei pali ai quali si attaccavano i cavi. La manutenzione del ponte era assicurata dalla popolazione che abitava nelle sue vicinanze; essa doveva rinnovare i cavi ogni due anni, impresa enorme se si pensa che il ponte misurava ca. 70 m di lunghezza. Lungo le strade esistevano posti di ristoro chiamati tampu, collegati a depositi e magazzini governativi, e costruiti a intervalli da 6 a 12 km, per ospitarvi i funzionari o lo stesso imperatore quando viaggiavano. Posti di sosta, consistenti in capanne che potevano alloggiare due messaggeri (chasqui), erano situati a intervalli di un miglio e mezzo. I chasqui avevano il compito di portare messaggi collegando rapidamente la capitale con la periferia dell'impero.
Organizzazione politica e sociale. L'imperatore era un monarca assoluto ed il titolo veniva trasmesso di padre in figlio, ma non necessariamente al figlio maggiore. Benché il monarca venisse chiamato inca, senza qualificarlo ulteriormente, il suo vero nome era sapa inca, che vuoI dire «inca supremo». Egli però veniva chiamato anche in altri modi, tra cui intip cori, «figlio del sole», con riferimento alla sua presunta discendenza dall'astro solare, in virtù della quale era adorato come una divinità sia in vita che dopo la morte. Aveva diverse mogli, di cui una di primo rango, chiamata roya (da Topa Inca in poi era la sorella stessa del sovrano). La numerosa figliolanza, assicurata dalle varie mogli, formava un ayllu reale e costituiva l'aristocrazia di nascita di sangue incaico. L'ayllu si riscontra d'altra parte in tutte le tribù andine. Esso rappresentava un gruppo di consanguinei, una famiglia con tutto il parentado, o un gruppo di famiglie con discendenti nella linea maschile; i matrimoni erano conclusi nell'ambito del gruppo. Ogni ayllu possedeva terre divise in tre porzioni, una per l'imperatore, la seconda per il sole e la terza per l'ayllu stesso. La coltivazione delle prime due rappresentava la più comune forma di tassazione ed i prodotti venivano devoluti al mantenimento del governo ed al culto. Gli ayllu erano raggruppati in province, divise in due o tre parti quando avevano una grande estensione. A loro volta le province erano riunite, seguendo approssimativamente i quattro punti cardinali, nei numerosi quarti (o quartieri) dell'impero: Chinchasuyu a nord-ovest, Cuntisuyu a sud-ovest, Antisuyu a sud-est e Collasuyu (che comprendeva l'area di Titicaca) a nord- est. Un elevato numero di funzionari era preposto all'amministrazione di queste divisioni e suddivisioni ed al momento della conquista spagnola si era delineata una doppia classe di nobili formata dagli incas, che avevano le più alte cariche, e dai curacas (funzionari), meno importanti. Tutti erano contraddistinti da speciali bende per il capo e da grandi ornamenti per gli orecchi, donde il nome di orejones o «orecchioni», dato loro dagli Spagnoli. I quattro quartieri e le province erano sotto l'amministrazione degl'Incas di sangue reale, mentre nell'interno delle province gli ayllu erano raggruppati e divisi in unità che comprendevano approssimativamente 10.000, 5000, 1000, 500 e 100 contribuenti o capi-famiglia, ognuno sotto il curaca di grado appropriato. Il popolo era ulteriormente diviso in 12 gruppi secondo l'età, ognuno dei quali aveva doveri e privilegi ben definiti. La normale forma di tassazione era il lavorò agricolo, ma esisteva anche una tassa speciale, la mit'a, consistente in prestazioni varie, per l'esercito, le strade, altri lavori pubblici e le miniere. Specialisti in diversi campi pagavano il tributo dovuto utilizzando la propria destrezza ed abilità: così per esempio i corridori, che erano scaglionati lungo le strade per portare messaggi dandosi il cambio, o i lavoratori in metallo o i tessitori di tappeti.
Le donne.
Neanche le donne sfuggivano all'organizzazione. Un funzionario i. visitava i villaggi a intervalli regolari per esaminare tutte le ragazze di ca. 10 anni. Quelle particolarmente belle o promettenti erano inviate in speciali istituti dello stato per esservi educate, le altre rimanevano nel paese natale, sposando poi, a tempo debito, gli uomini del villaggio, fra cui il curaca sceglieva per ognuna il compagno destinato. Le ragazze che venivano allontanate erano internate nelle accla huasi, le case delle «donne scelte», situate nelle capitali provinciali o a Cuzco, e lì apprendevano la filatura, la tessitura e l'arte culinaria. Alcune di queste, destinate al sacrificio in caso di calamità o di malattia dell'imperatore, destavano invidia, perché era loro assicurata un'esistenza agiata e confortevole nell'aldilà. Le altre erano divise tra quelle che sarebbero state sposate da nobili o guerrieri per grazia dell'imperatore e quelle chiamate mamaconas, che erano destinate ad essere le serve o le concubine dell'imperatore, o erano votate ad una perpetua castità ed alla custodia dei templi e dei santuari.
Economia.
Il calcolo della popolazione e dei suoi prodotti richiedeva il lavoro di una speciale categoria di contabili, i quipucamayac, abilissimi nell'annotare le cifre sul quipu, sistema di cordicelle annodate di vari spessori e colori, sulle quali si registravano i numeri per mezzo di nodi di diversa grandezza. Una specie di quipu è ancora oggi usato dai pastori andini per controllare le greggi, ma i vecchi esemplari trovati provengono tutti dalle tombe. Non vi sono tracce di un sistema di pesi, nè nel popolo i., nè in nessun altro popolo peruviano, e non sappiamo con certezza in quale modo si misurassero le quantità. A parte la forma di baratto locale, nel periodo i. non esisteva commercio, poiché il movimento e la distribuzione delle derrate e di altri beni di consumo erano controllati dallo stato ed il trasporto veniva assicurato grazie ai mit'a. Le monete erano ignorate.
Religione.
Non è possibile capire il carattere dell'impero i. senza avere un'idea della religione, su cui era basata tutta la sua esistenza e della quale l'imperatore era parte integrale. Alla testa della gerarchia soprannaturale era un dio creatore che aveva generato non solo tutte le cose terrestri, ma anche tutte le altre divinità. Aveva diversi titoli, ma è più conosciuto sotto la versione ispanizzata di uno di essi, cioè viracocha, che significa «signore». Tra le divinità inferiori vi era Pachamac, la divinità del grande santuario costiero dallo stesso nome che godeva di grande influenza sul litorale. Venivano inoltre onorati corpi celesti: il sole, la luna, alcune stelle, tra cui Venere, nonché la terra e il mare. Il sole rivestiva una particolare importanza per gli abitanti degli altipiani, in parte perché era necessario per portare i cereali a maturazione, poi per il freddo che avvolge la rarefatta atmosfera delle Ande dopo il tramonto ed infine perché era la divinità particolare, anzi l'avo dell'imperatore e della sua famiglia. Le effigi in oro degli dei erano custodite nei templi e venivano trasportate sulle piazze delle città in occasione delle grandi cerimonie pubbliche.
A parte le principali divinità, esistevano un gran numero di santuari locali e oggetti di culto chiamati Aucas
I templi e i santuari erano curati da sacerdoti con un ben definito ordine gerarchico, alla cui sommità stava un gran sacerdote, generalmente parente stretto dell'imperatore. Le mansioni di questi ministri del culto erano molteplici; essi dovevano fare profezie, sacrificare alla divinità, compiere guarigione, ascoltare la confessione dei peccati e proporre cerimonie religios. Pubblicamente il culto si manifestava per mezzo di celebrazioni, fra le quali vi erano quelle connesse ad ognuno dei 12 mesi dell'anno, oltre a quelle speciali fatte in caso di emergenza, come in periodo di siccità o pestilenza. I mesi erano lunari, ma 12 lunari sono di ca. 11 giorni più corti di un anno solare, e non si sa in quale modo si conciliassero i due sistemi. La preparazione per le celebrazioni comprendeva l'astinenza da alcuni cibi e da contatti sessuali e,le cerimonie stesse assumevano generalmente la forma di processioni, sacrifici e danze. Le più comuni vittime di tali sacrifici erano i lama, talvolta però sostituiti da altri animali, come le cavie, o da beni di consumo, come la birra di mais chiamata chicha. Si praticavano anche sacrifici umani, ma soltanto in momenti di grave crisi o in occasioni particolarissime e le vittime erano bambini o ragazze designate tra le «donne scelte». La colpa era cancellata confessando i peccati di parola e di pensiero al sacerdote, confessione seguita da una penitenza e da una abluzione in acqua corrente.
L'arte divinatoria.
Le predizioni assumevano diversi aspetti, che andavano dalla solenne consultazione da parte dell'imperatore di uno dei grandi oracoll ufficiali del suo tempio, prima di intraprendere una campagna, fino al conteggio, praticato anche dai più umili contadini, di un mucchietto di chicchi di mais per determinare, secondo il numero pari o dispari, se la giornata sarebbe stata propizia o no per le colture.
L'esercito.
Per il combattimento a distanza gli Incas si servivano di fionde e di bolas. Abitualmente non usavano l'arco, ma vi erano alcuni guerrieri, provenienti dai confini delle foreste orientali, che se ne servivano. Per la battaglia all'arma bianca utilizzavano mazze dall'estremità irta di punte, fatte di pietra o di rame su manico di legno, bastoni pure di legno particolarmente duro, asce da guerra di pietra o di rame di varie forme e lance. Si proteggevano per mezzo di armature di cotone imbottito, copricapo di cotone imbottito o di canne intrecciate e scudi di piccole dimensioni, rotondi o quadrati, ricoperti di pelle o di stoffa.
Quando le conquiste i. furono iniziate, il fattore dei ripetuti successi degli Incas fu la continuità del loro atteggiamento offensivo, che contrastava con le sporadiche scorribande sempre praticate sugli altipiani. A ciò si aggiungeva una rilevante superiorità nei trasporti, dovuta, come è stato detto, ad una efficiente rete stradale.
A parte la ben selezionata guardia del corpo dell'imperatore, composta di nobili, non vi era csercito permanente. Il grosso di ogni truppa era formato da coloro che pagavano il mit'a, organizzati in squadre, secondo la provincia dalla quale provenivano, e suddivisi ulteriormente secondo lo stesso sistema decimale usato per dividere la popolazione, sotto il comando di ufficiali dello stesso grado. Molti studiosi delle civiltà precolombiane dell'America meridionale si sono posti il quesito di una valida spiegazione dell'aggressività continua degli Incas. La risposta a questa domanda è da ricercarsi nello spirito imperialistico che pervase la classe dirigente incaica nel momento in cui ebbe coscienza della propria potenza. Ai componenti dell'ayllu reale si insegnava con ogni cura l'arte della guerra e, poiché il loro numero aumentava continuamente, erano necessarie sempre nuove guerre per dare ad essi privilegi e posti nell'amministrazione.
La fine dell'impero I. L'impero era ancora in evoluzione quando fu distrutto. Esso offriva però vari punti deboli. Così non esisteva un modo ben definito per designare il successore dell'imperatore, in quanto ognuna delle sue mogli poteva scegliere uno qualunque dei suoi figli. Inoltre la struttura piramidale era costruita su pilastri instabili e quando la si colpì alla cima, cioè nella persona dell'imperatore, andò in pezzi. Prima dell'arrivo degli Spagnoli ciò non aveva molta importanza, perchè era inconcepible che un nemico straniero osasse mettere le mani sul divino imperatore, ma gli Europei lo considerarono come un pagano vissuto nell'errore e non ebbero scrupolo. Dopo la morte di Atahullpa (1532) la resistenza continuò qua e là per altri 40 anni. Pizzarro fece di MAnco Capac, nipote di Huayna Capac, un sovrano di paglia, ma egli si ribellò e riuscì a unire intorno a sé un considerevole numero di seguaci, fissando il suo quartier generale a Cuzco e a Lima. Questa rivolta rappresentò una seria minaccia per gli Spagnoli; essi però riuscirono a sventarla e Manco Capac dovette fuggire nella valle Urubamba, rifugiandosi poi in un luogo inaccessibile chiamato Vitcos, da dove credette ancora di poter governare. Ma gli Spagnoli divennero rapidamente sempre più forti e la più grande civiltà delle Ande sparì per sempre.
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