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I Terremoti
Possiamo distinguere due tipi di terremoti: i terremoti vulcanici e quelli tettonici. I primi sono vibrazioni del suolo provocate dal magma in risalita e vengono generalmente indicati col termine di "tremori". Sono superficiali e riguardano aree di modesta superficie. I secondi, veri e propri terremoti, sono quelli determinati dai movimenti delle placche crostali.
Ecco perché le zone dove si hanno più di frequente terremoti sono quelle dove ci sono fratture della crosta terrestre, le stesse che consentono alla materia del mantello di risalire in superficie e di originare i fenomeni vulcanici.
Il primo ad associare i terremoti allo scorrimento di strati di roccia fu Harry Red.
Studiando il terremoto che nel 1906 distrusse la città di San Francisco lo scienziato collegò il sisma allo scorrimento di due lembi della faglia di Sant'Andrea, la lunga frattura che segna il confine fra la penisola californiana e il continente americano.
In corrispondenza della frattura erano evidenti le prove che i due blocchi scorrevano l'uno contro l'altro in versi opposti.
Bastava osservare l'allineamento di elementi del paesaggio collocati da parti opposte della faglia per rendersi conto che il territorio si era modificato nel tempo e continuava a farlo.
Se afferriamo le due estremità di un bastone flessibile e proviamo a piegarlo usando una certa forza, esso si deforma e accumula una certa quantità di energia (chiamata energia elastica).
Il lento movimento delle placche genera, lungo i loro margini, delle forze tali da comprimere o tendere le rocce. Queste si deformano accumulando un'enorme quantità di energia elastica, finché, superato un certo limite, si spezzano. A questo punto i bordi della frattura entrano in oscillazione liberando energia sotto forma di onde sismiche, vibrazioni che si propagano nel terreno provocando un improvviso e rapido scuotimento del suolo: il terremoto. Il punto o la zona interna della Terra in cui si ha la rottura si chiama ipocentro, mentre il punto della superficie posto sulla sua verticale si chiama epicentro.
Non hanno sempre le stesse caratteristiche e da ciò dipende il differenziarsi delle scosse che possiamo avvertire durante un terremoto.
Le onde sismiche possono essere registrate attraverso particolari strumenti chiamati sismografi e sono di tre tipi fondamentali: onde primarie, onde secondarie e onde lunghe.
Le onde primarie (le prime a essere registrate durante un terremoto) danno origine alle scosse sussultorie. Si tratta di onde longitudinali che investono le particelle dei vari strati di roccia e le fanno oscillare avanti e indietro. Le onde secondarie (registrate dopo le primarie) danno origine a scosse ondulatorie e sono più lente. Sono onde trasversali simili a quelle che si ottengono facendo oscillare una corda fissata a un estremo. Le particelle in questo caso oscillano in su e in giù.
Infine le onde lunghe o di superficie, che sono di ampiezza maggiore: più lente, durano più a lungo e causano i danni peggiori.
Il sovrapporsi di questi tre tipi di onde durante un terremoto può causare danni più o meno gravi a seconda dell'intensità di propagazione.
La zona dove gli effetti del terremoto sono maggiori è quella che si trova in prossimità dell'epicentro.
Intensità e magnitudo sono le due grandezze che descrivono i terremoti. La prima li valuta in base ai danni che essi provocano. Il grado di intensità aumenta con l'aumentare dei danni causati. Naturalmente più si è vicini all'epicentro, maggiore è l'intensità di un terremoto.
La magnitudo indica invece la quantità totale di energia che si libera durante il sisma.
I valori delle due grandezze sono detti gradi e vengono definiti rispettivamente dalla scala Mercalli e dalla scala Richter. La prima è divisa in 12 gradi, la seconda in 10.
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