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I maestosi discendenti dei leggiadri clipper
Dopo il ritiro dei clipper, divenuti ormai antieconomici, la maggior parte degli armatori impiegò navi a vapore. Ma non mancarono però alcuni appassionati che vollero continuare ad avere fede nell'inalterata competitività dei velieri, purché di tipo giusto. Sul finire dell'Ottocento i cantieri europei produssero una splendida flotta di velieri, conosciuti con il nome di windjammer. Discendenti in linea diretta dai clipper, i nuovi velieri non avevano però scafi in legno, bensì in ferro e in acciaio; le loro dimensioni erano notevoli sotto ogni aspetto. In quasi tutti lo scafo raggiungeva i l00 m e alcuni superavano i 120 m. L'alberatura, con un diametro di un metro alla base torreggiava fino a più di 60 metri dalla chiglia. Le vele più grandi pesavano una tonnellata da asciutte, molto di più se bagnate. La lunghezza complessiva di cavi, catene e cime di canapa per le manovre era di migliaia e migliaia di metri.
Sulle lunghe distanze in cui soffiavano alisei forti e regolari, queste nuove navi erano in grado di trasportare carichi enormi, fino a 8000 tonnellate, a grande velocità.
Il loro grande vantaggio consisteva nel fatto di poter trasportare in grandi quantità da località remote e di difficile accesso, le materie grezze necessarie proprio a quell'industria meccanica la cui affermazione avrebbe decretato la loro fine.
Cile, Perù, Australia e America nord-occidentale distavano migliaia di miglia dall'Europa, sulle rotte più pericolose del globo. Le navi che partivano dall'Europa dirette a occidente dovevano combattere contro i forti venti di burrasca, ben noti con il nome di "quaranta ruggenti", che quasi di continuo imperversavano lungo il 10° di latitudine.
In quei primi anni della navigazione a vapore i grandi velieri presentavano molti vantaggi. Potevano superare ogni tempesta ed emergere indenni da ondate spaventose che avrebbero sbriciolato ciminiere, allagato caldaie, accartocciato eliche come fossero di latta. Tra il 1880 e il 1890 in condizioni di bel tempo i piroscafi tenevano una media di 7 nodi. I velieri facevano spesso di meglio, salvo in caso di bonaccia o di brezze contrarie. Inoltre il vento era gratuito mentre le stazioni di rifornimento per il carbone nei mari del Sud erano rare e imponevano prezzi molto alti. Anche i costi di gestione dei piroscafi erano elevatissimi, e seppur il prezzo del carbone saliva a mano a mano che ci si allontanava dal proprio porto, era necessario fare continui trasporti per ricavare il profitto necessario a coprire le spese dell'imbarcazione. I velieri al contrario avevano un costo di gestione irrisorio e potevano stare per settimane in rada in attesa del carico, per poi salpare verso casa. Il grande segreto della loro costruzione era l'acciaio. Paratie, piastre per lo scafo e perfino alberi di acciaio conferivano loro un'enorme robustezza e rendevano possibili dimensioni tanto imponenti. Anche le linee dello scafo iniziavano a cambiare, favorendo le murate alte e verticali con fondi piatti, che consentivano un carico maggiore, piuttosto che fianchi e fondo arrotondati. Le alberature erano aumentate da tre a quattro e addirittura cinque, e i piani velici si stavano modificando, con l'introduzione delle cosiddette vele di taglio posizionate tra i vari alberi, che aumentavano molto la manovrabilità. Rispetto ai clipper, si ebbe anche una riduzione della velatura che permise la diminuzione dell'equipaggio, senza limitare tuttavia la velocità dell'imbarcazione.
Le migliorie tecniche apportate aumentarono anche la sicurezza degli equipaggi: si costruì una zona rialzata a centro barca (tuga) che spezzava i marosi e consentiva al capitano e agli ufficiali di dormire in una zona più comoda. Inoltre vennero creati i cosiddetti "flying bridges", ossia ponti voltanti che collegavano la zona centrale al castello di prua e consentiva alle persone a bordo di evitare l'acqua sul ponte.
Sicuramente non potevano eguagliare le punte di velocità dei leggendari clipper, ma le nuove navi a vela erano molto vicine ai predecessori per quanto riguarda le prestazioni. Ne è un esempio la nave Herzogine Cecilie, comandata dal capitano Sven Eriksson, che riuscì in condizioni di mare calmo e vento forte, a percorrere 164 miglia in 13 ore, tenendo una media di circa 13 nodi, con punte di 21.
La vita di bordo per i marinai era durissima. Turni massacranti, il dover imbrogliare e sbrogliare le vele appena si avvertiva un cenno di peggioramento o miglioramento del tempo, erano compiti piuttosto ardui e gli incidenti erano molto frequenti. Capitava spesso, durante una tempesta, di rimanere per più di sette ore in cima ai pennoni per imbrogliare una vela fradicia e pesantissima, e causa la stanchezza e il rollio della nave, altrettanto spesso si poteva cadere.
Oltre a ciò ricordiamo che ad ogni fischio dell'ufficiale i mariani dovevano correre per manovrare (ruotare e regolare) le vele, specie quando il vento cambiava spesso direzione.
Vento e mare erano gli unici elementi a influenzare le caratteristiche di governo di un veliero; perciò la posizione degli alberi, il taglio delle vele, qualche lieve differenza nella forma della carena, potevano provocare un diverso rendimento in velieri gemelli. Un carico stivato senza troppa cura poteva far assumere alla nave un cattivo assetto trasformandola in una goffa carcassa, poco maneggevole. Addirittura se il carico si spostava durante una tempesta poteva far ingavonare la nave, il che l'avrebbe probabilmente fatta colare a picco, a causa dell'acqua che entrava dai boccaporti. Anche l'ormeggio era molto difficoltoso, ma una grande dose di bravura del capitano e dell'equipaggio, e la grande manovrabilità di queste navi, facevano effettuare ormeggi bellissimi e spettacolari che certamente rendevano orgogliosi i comandanti.
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