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Capo Horn
A questo punto è doveroso spendere qualche parola per descrivere quel luogo che per la gente di mare, quella che ha cavalcato davvero le onde, rappresenta il punto di svolta tra chi è davvero un marinaio e chi invece soccombe. Si tratta di Capo Horn, già all'epoca dei grandi velieri era croce e vanto per coloro che dovevano doppiarlo.
Si trova a 56° di latitudine Sud, fa parte della Terra del Fuoco, detta anche fine del mondo. Questo capo è diventato leggendario per le condizioni pessime che si possono trovare, che mettono alla prova i marinai e i loro mezzi, spesso costringendoli a rinunciare a doppiarlo, se sono ancora in tempo. A causa delle violente basse pressioni presenti sul continente antartico, i venti che si sviluppano sono molto variabili come direzione e sicuramente tra i più forti per quanto riguarda l'intensità; la sommatoria tra queste condizioni di vento e le forti correnti che impattano contro la piattaforma continentale, produce un mare violentissimo ed imprevedibile che nasconde onde altissime che improvvisamente si scagliano contro i piccoli natanti. Queste onde, chiamate dai naviganti "barbe grigie", sono caratterizzate da creste che a volte si trasformano in frangenti che con la forza del loro impatto possono causare il naufragio dell'imbarcazione. Ricordiamo, inoltre, che le tempeste in questa zona, spesso avvengono durante l'inverno australe: la lunga assenza del sole nascosto dalle nubi temporalesche, le poche ore di luce che sono concesse a quelle latitudini e la vicinanza all'Antartide, abbassano notevolmente la temperatura fino a far congelare gli spruzzi sulla coperta della barca e sulle vele più basse. Questo mette a dura prova le strutture dell'imbarcazione.
Sono questi i motivi che resero celebre Capo Horn, oltre ai molti naufragi dei quali si ha conoscenza in prossimità della fatidica isoletta. Ecco perché tra i marinai è diventato motivo di vanto essere un "horner", ossia un doppiatore del terribile capo.
I velieri mercantili
L'appellativo "windjammer" suonava come un insulto, e tale infatti era nelle intenzioni degli equipaggi dei piroscafi, che lo usavano con disprezzo per descrivere gli enormi scafi a vele quadre che sfidavano tenacemente l'avvento del vapore sulle rotte mercantili. Quei mostri, dicevano, erano troppo goffi e ingombranti per muoversi con eleganza nel vento. Ma il sarcasmo si trasformò in plauso allorché, nei cinquantanni della loro operosa esistenza, quei maestosi velieri rivelarono per intero la loro effettiva supremazia toccando, dopo secoli di gloriosa evoluzione, il punto più alto nell'arte della vela.
In fuga sotto i sibili delle raffiche di capo Horn o volando veloci al soffio degli alisei, questi imponenti vascelli dalle bianche ali erano senza pari per dimensioni, forza e bellezza. Pur con scafi di lunghezza doppia raggiungevano quasi la stessa velocità degli eleganti clipper di legno che li avevano preceduti. Grazie alle immense velature sospese ai loro alberi giganteschi, trasportavano nelle capaci stive migliaia di tonnellate di nitrati, guano, carbone, granaglie e legname, raggiungendo ogni angolo del mondo.
Fin dall'inizio, quando doppiavano il tempestoso capo Horn e battevano i mari del sud, il fascino degli windjammer attrasse la gente di mare e di terra. E anche giunti al tramonto, il loro spirito indomito li spinse a navigare più veloci di ogni rivale.
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